lunedì 28 novembre 2011

Io sono qui - Brainstorming (Proto-Racconto)

Alla partenza del treno, o si sale o si resta al binario. Sono di quelle occasioni che possono capitare cento volte quanto un’unica sola. Il treno ha fischiato – è Pirandello, no?
Sicché, al fischio risvegliante della realtà e all’incedere della vita, qualcuno non comprende se si trova a bordo, ancora alla stazione ad attendere o, chissà, appeso con un gancio fuori dal finestrino.
Giù il paraocchi.


Dove sono?

Il fronte della pioggia avanza compatto, sostenuto da cumuli neri sullo sfondo. Una barriera d’acqua, che corre su un campo di soia ormai rinsecchita. C’è una voce che richiama, da lontano, perché si rientri in casa. Il vento fa malanni, di quelli come questo temporale sembra stia tenendo in serbo. Non in croato, in serbo. Viene spontaneo iniziare a divagare sulle lingue da qualsiasi appiglio riesca a trovare. Non posso farci nulla. Chiamatela scelta di vita, studio a perdita di tempo, mezzo per arricchirsi facendo girare benignamente l’economia, scuola di preparazione al precariato. Quel che vi pare. Mi è indifferente, posso oscurare l’orgoglio.

Dove mi trovo?

La stazione è praticamente vuota. Il sole riflette sui binari sgombri, non ci sono che rimasugli di nubi. Era un’illusione? Inizio a dubitare della realtà dei miei ricordi. Se foste al mio posto, come vi comportereste?
Sfoglio le pagine con l’indice, seppure conosca già quella storia. Salirei su un treno qualsiasi, se potessi. Partirei. Sarei ovunque e da nessuna parte. Tecnicamente, anche solo via treno, da qui una persona può sperare di arrivare a Vladivostok. Poi, prendendo il traghetto, passare alle isole Curili, al Giappone. O all’Alaska.
La cosa straordinaria dello stringere in mano un libro appena concluso è il riuscire ancora a viaggiare a mente aperta. Nonostante la trama si sia diramata, in qualunque tematica affondasse radici, permette un’estensione intellettuale di almeno mezzora. Il quanto, in realtà, dipende dal singolo e dalla sua propensione al perdersi in altri mondi.
Per quanto mi riguarda, se avessi tempo e voglia rimarrei isolata dalla società per ore e ore, solo per concedermi questo piacere. Ma ho la routine da tenere in mano, non posso perdermi. Fantasticare inizia ad essere un lusso.

Dove sto andando?

Pur se inizialmente rinfrescata dal fortunale, la giornata si trasforma in calda e umida nel lasso di poche fermate. Scendendo al capolinea, lo sbalzo tra dentro la vettura e l’ambiente esterno è palese. Non ci bado.
La fiumana di gente si separa tra le calli più frequentate, affollando Calatrava e ponte degli Scalzi. Senza contare le code ai vaporetti.
Tra tutte le città, Venezia. Tenuto conto che non so nuotare, un risvolto poco intelligente.
Ripongo malvolentieri il libro, sapendo che fine farà. Presagendo la meta alla quale siamo diretti, è più probabile fare marcia indietro o cambiare il gioco. Uno dei motivi  per cui rifiuto l’idea di un cosiddetto “destino”, o un percorso prestabilito. Sostanzialmente è assurdo doverci pensare. Se parliamo di scelte di vita e conseguenze, posso farcela, o almeno credo. Capisco che prefissarsi un obiettivo sia naturale e necessario, seppure il suo conseguimento sia opinabile. Fortemente opinabile.
Ma per quanto creda ci possano essere dei segni sulle cose che siamo portati a fare, per quanto possa affidarmi alla fortuna, agli altri, a Dio, non chiedetemi di confidare ciecamente nella Provvidenza. Né oggi, né mai. Che poi ci sia un aiuto superiore per scalzare determinati ostacoli o schiarire la mente,quello è un altro discorso. Quello è affidamento, self-confidence, rientrare in sé stessi, avere un lato spirituale in cui porre la propria fede. Il Fato è una balla.
Continuando a pensarla così, aggiro solo la cosa. Come faccio a definire il mio obiettivo ultimo in questo modo? E soprattutto, è mai delineabile una cosa simile?

Gli altri sono. E io?

Lei voleva esser medico: al secondo anno di specializzazione per Chirurgia è rimasta incinta, il compagno l’ha abbandonata nel panico e nella consapevolezza di voler continuare per la propria strada. Ora vive dell’autoscuola ereditata dai genitori, convivente con i suoi gemelli e l’unica donna che abbia mai scoperto di amare. In qualche modo, dice, ha trovato un suo equilibrio.
Lui si definiva poco di buono: mandato fuori a calci in culo dalla maturità dopo due anni da ripetente, fumato, trasognante una vita da perdigiorno; ha finito per approdare ad architettura e design, laureato con ottimi voti. Gli hanno affidato, alcuni mesi fa, il rinnovamento di una serie di costruzioni fuori Napoli. Ha già ricevuto lettere minatorie da qualche clan camorristico, ma pare non farci caso.
Chi sono io per definire il mio futuro a priori? I progetti, le ambizioni, le prospettive, persino la scelta di arrendersi. Qualsiasi cosa può essere spazzata via con una folata di vento. Lavoro intanto con quello che ho in mano, per  vedere se almeno, questo fantomatico futuro, lo posso costruire un po’ a modo mio.
Posso sperare, forse, di avere uno spettro di sviluppo d’ampio respiro, finché non mi troverò soffocata. E anche quello accadesse, probabilmente ritenterei per la stessa via o lungo qualche alternativa valida. Tutti sono consapevoli, a partire da un distinto momento della propria vita, di non “stare” e basta. Anche non avendo la più pallida idea di quel che la società riservi per loro, azzardano una delle tante opzioni che, siamo onesti, sono sempre disposte a ventaglio davanti agli occhi. Che poi si sia ciechi di fronte ad alcune…
Questo è un passaggio di definizione: dallo Stare puro e crudo, inconsapevole nonostante tutto, si vira bruscamente all’Esistere, l’Essere finalmente qualche cosa, anche se non sapremmo mai spiegare esattamente cosa. Non che sia un cammino semplice. Di frequente, il mondo è così avverso alle nuove Esistenze che finisce per soffocarne la voce, nel tentativo, di principio vano, di recarvi danno.
Digrigno i denti, percependo una fitta dentro la cassa toracica. Fa così da anni, ormai. Come se i polmoni urlassero per l’assenza di grida mie effettive. Come se stessero soffocando della loro stessa aria repressa.
Prima o poi, si finisce almeno una volta in gabbia, in fondo.

Io sono qui.

Lo stabilire un luogo preciso incorre in diverse limitazioni. Per definizione, non perché lo dica io. Ma già il riconoscere di essere arrivati a una tappa di un certo percorso, sia essa il capolinea o un tratto d’intercambio, come pure una fermata alla quale non siamo diretti, crea una consapevolezza indescrivibile.
Io esisto. Io sono. E non in un punto incerto e imperscrutabile dello spazio. Con tutti i miei dubbi, le mie divagazioni, i pensieri che a fiotti scorrono e si accavallano tra le mie terminazioni nervose e la mia anima.
Non avete mai provato a fare il punto della situazione? Ci si arriva. Giovani o meno, non c’è un’età. Si può raggiungere un caposaldo, per quanto innocuo, a tredici come a sessantatre anni. Senza presunzione, solo per assunto. Un momento di perfetta chiarezza che non si può esplicare a parole.
Potremmo non sapere cosa fare della nostra vita. Potremmo attenerci all’immaginazione per ricreare attimi che avremmo voluto diversi, o per reinventare il futuro. Potremmo anche delineare perfettamente il nostro percorso da quell’attimo in poi. L’unica cosa certa è quel che è stato, oltre che quel che è.
Io sono. Io esisto. Hic et nunc. E, almeno per un po’, di certo sarò.
Proseguo a piedi. Molti prenderebbero il vaporetto, nella prospettiva di dover camminare quaranta minuti abbondanti per attraversare mezza città. Nonsense.
Oltrepasso gli ultimi gradini dell’ennesimo ponte, scartando bruscamente nella direzione designata mentalmente in treno. So che è un parco frequentato in determinate ore della giornata, quello in cui mi inoltro. Inizio a sfilare il libro dalla borsa, prima di accomodarmi sul bordo di una panchina.
Fisso la copertina. Non ho idea del perché lo faccia. Ho sentito dire che più di qualcuno abbandona, per così dire, determinati libri sulle panchine, sul treno, sugli autobus. L’intento è di far girare quella storia, gratuitamente, perché passi di mano in mano, da immaginario a immaginario, macinando pagine davanti agli occhi di ciascun lettore occasionale. Ciascuno, poi, aggiunge la propria firma alla lista preesistente nella quarta e lo affida a un luogo. Io ho trovato questo nel portaoggetti del regionale che cinque giorni su sette mi ospita. La carrozza era vuota e il poveretto vagava inerte sulla grata. Aprendolo, ho scoperto di che si trattava. Il precedente lettore non ha una gran bella calligrafia – ancora sono incerta se si chiami Giorgio o Sergio. Il meccanismo, in fondo, mi piace. Pare quasi che una volta messo il mio nome su quelle pagine io possa andare ovunque e comunque, passando di mano in mano a qualsivoglia lettore decida di raccogliere la sfida come io stessa ho fatto.
Provo un moto d’affetto verso la maggior parte di ciò che sfioro o che, anche per breve tempo, ha un legame con me. Can’t help it. La connessione anche con le piccole cose fa sentire più veri, più vivi. Il passaggio per un luogo, per una sciarada di emozioni, per una compagnia: sono tutti generi di viaggio. E come tali, ogni loro parte può ottenere tutto un archivio di simboli, dal quale ripescare pensieri e ricordi, come impressioni, sensazioni e persone. Rimuginare su questo insieme di fogli scritti, con un suo percorso e una sua silenziosa meta variabile, rende il tutto ancora più interessante, poiché l’oggetto a me appartenuto in breve è al contempo di una miriade d’altre persone, di transito in chissà quanti “qui ed ora”. Ciascun suo possessore è ovunque, comunque, in una parte di Mondo.
Aspetto che passi una coppia di studenti, poi appoggio il volume, neanche tanto spesso, sul ferro verde. Riprendo la mia strada. Salgo a bordo.
Io sono qui.

Ma questo è il posto che mi piace, si chiama Mondo.(cfr.)

Le Voci di Shanghai (Racconto)

Mi stringo al sedile dell’aereo. Non è la prima volta che mi trovo a sorvolare territori e città da un punto invidiabile. Di certo, tuttavia, questa è la destinazione più lontana che abbia mai dovuto raggiungere, logisticamente e spiritualmente parlando. No, non ho sbagliato a usare i termini. Mi ero preparata, prima o poi, ad andarmene in Asia Orientale – non studio Giapponese per nulla, vero? Quel che mi ha lasciato perplessa è l’aver raggiunto prima la Cina. Strana la vita.

Sono dovuta arrivare quasi dall’altra parte del mondo per rendermi conto di così tante cose, che non saprei da dove iniziare. È stata una lavata a freddo, essere catapultata in una nuova realtà. La Cina è e rimane il fulcro potenziale dell’Asia, contrapposta a quell’essere Occidente che può essere un’Unione Europea o un’America. È facile pensare di passare ad una vita ormai globalizzata. Se si capitasse in Giappone, si potrebbe avere una sorta di via di mezzo tra Oriente e Occidente – la storia ne parla per noi. Ma arrivare a Shanghai e trovarsi in una metropoli dalle mille concezioni è un bel dire.

Percorro le strade alienata, insieme al gruppo di giovani con cui mi son ritrovata a condividere una magnifica esperienza. Vedo quartieri d’alto rango, vedo enormi Skyscrapers, posso toccare con mano ciò che negli ultimi anni ha lasciato senza parole l’economia mondiale, questa sete e fame di un posto nel mondo molto più avanzato rispetto a quanto si potrebbe immaginare. Dietro l’angolo, una voce mi sussurra che sui canali i bassi ranghi esistono.

Sì. È il progresso. Una corsa sfrenata per raggiungere ciò che di meglio si sia mai potuto anche lontanamente immaginare. Palazzi di vetro, acciaio e plexiglass svettano nello smog serale, le mille luci che allibiscono ogni qual volta ci si ritrova ad esserne circondati. Vita, vita affrettata, taxi che sfrecciano in folle, mentre stormi di bici arrivano a tagliare la strada, semaforo o no. Non una stella – non una, e se credete di intravederne è un satellite – che puntelli le nubi industriali ad alta quota. Frenesia.
…Da dove arriva la voce?

Le luci di Shanghai stregano, ammaliano. Il Bund risuona dello sfarzo dovuto a chi vi trascorre una, due, cento sere. Tutto questo è l’avanzamento, le infrastrutture che sorgono ad occupare quelle minime frazioni di spazio vitale, a supplire qualcosa che ancora non c’è con la costruzione di una garanzia promettente, invitante, che non può far altro che parlare da sé. La Garanzia…L’urlo dipanato dalle pareti in vetro, unito allo stesso lanciato da quella zona di “Città Vecchia” dedicata in esclusiva ai Turisti è forte e chiaro: vogliamo avere le carte in regola, più considerazione. Abbiamo bisogno di arrivare in alto per poter partire. Aneliamo quel vostro voto a dire, finalmente e in piena fede, “La Cina può farcela”, “è una Nazione del terzo millennio!”, “ha superato chiunque”. Chiunque, sé stessa e la sua gente in primo luogo. Grande sentimento nazionale, radici espiantate dalla rivoluzione culturale – ma sempre presenti, immancabilmente, o almeno così pare. Ci vuol niente a giocarci sopra per un’immagine posticcia rispettabile. Là in fondo, un’Expo da mille e un quartiere – Dio solo sa che cosa ne sarà dopo tutto lo sfarzo sfoggiato con orgoglio dalle nazioni per la popolazione; in centro, l’enorme manifesto della Cina, rosso e rigonfio delle potenzialità, dei sogni e dei ricordi di una popolazione. Da qualsiasi parte ci si giri, in mezzo al tripudio di Paesi ospiti, si respira un’Esposizione universale da record, molto differente dalle altre. Tutta per loro, tutta dei cinesi.

Ogni nucleo familiare ha un proprio biglietto d’ingresso alla Città nella Città – quella meraviglia che trascina ingenti porzioni di mondo in un unico luogo – ricevuto grazie alle direttive di stato. Tutti i cinesi possono accorrere ad assediare i Padiglioni, nella frenesia Culturale che li attornia. Può anche darsi che tu viva del tuo carretto, di ciò che vi friggi sopra, al margine del marciapiede – un passo dalle fogne, il legno tarlato del ripiano come tuo giaciglio. Avrai il tuo biglietto. È la tua assicurazione, pungente tanto quanto l’odore che si propaga dalla griglia bisunta, il lasciapassare per il futuro e il palcoscenico globale. Continua a far andare baracca e burattini, questo è il debutto che tutti aspettavano. Se il tuo presente non è roseo, lavora per tuo figlio, quell’unica creatura che nello studio può forse risollevarti, in vecchiaia, grazie proprio alla tua scommessa fatta in partenza. Voci, tante voci…

In mezzo ai palazzi imponenti, fuori dai padiglioni, ho modo di appropriarmi di quel che cercavo. Anche se, a dirla tutta, finché non l’ho avuto di fronte agli occhi non avrei mai detto che potesse essere questo il mio obiettivo. Tutto funziona, la dissidenza non si vede neanche col lanternino, e le condizioni sembrano nazionalmente accettate. Perché, se ci si sofferma così tanto su quel che è il presente, come si potrà mai raggiungere il futuro? Un passato in recupero può anche andare, una riscoperta d’identità millenaria, seppure in chiave nettamente diversa rispetto alla cosiddetta tradizione. La mattina noto, con la coda dell’occhio, un gruppo che si muove sinuosamente, in uno spiazzo seminascosto, andando verso la periferia. Cala il sipario, cambio scena. Nuove voci, ben poco recenti.

La vera Città Vecchia di Shanghai, non quella per gli stranieri, giammai tirata a lucido, aspetta dietro l’angolo. Muri, residui, templi sopravvissuti, casupole, frammenti d’umanità. Un sussurro tenace che si appiglia a ciò che è rimasto del tempo che fu, guardando i grattacieli lontani e offuscati, sognante, mentre cerca di tener in piedi quel che ha. Una voce d’orgoglio che la fa in barba ai pregiudizi di chi non sa cosa significhi la vita nei suoi meandri. Ogni oggetto, ogni possessione è trattabile con un po’ d’astuzia – la logica di mercato è intrinseca a chi non pensa lontanamente di averla anche toccata. La vita stessa, nel desiderio di arrivare a quell’inesistente classe media, può essere il gioco che vale la candela. Una pedina da sfruttare con arguzia.

Cammino sul marciapiede, senza ancora aver compreso a fondo tutto quel che è passato attraverso di me, come chi che m’è transitato al fianco, lungo la via. Sento suoni ancora estranei per il mio senso della lingua, ma la cui intensità pare trasmettermi messaggi ed emozioni note. Lontane, certo, eppure vagamente familiari, nella loro supposta stravaganza. Pochi giorni, non sufficienti per un’unione completa – ma con un segno decisamente indelebile.

Zhōngguó. Un gigante, da un miliardo e trecento milioni di voci, dalla pietra della muraglia alle venature del sud.
Diciotto milioni di grida che avanzano solo dalla Regina d’Oriente.


(Racconto 1° Classificato alla prima edizione de "L'emozione del Viaggio", premio Sparkasse - 2010)

giovedì 17 novembre 2011

Questione Di Tatto



{Posted on 11/09/11 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

Fáilte.

Ritorno dopo lunga riflessione e immensa pausa, lo so.
Ma in ogni caso, torno alla ribalta con questioni impellenti, quantomeno per me.
Potrei tirare in ballo il fatto che oggi è l'11 settembre, decennale delle Torri Gemelle oltre che compleanno di circa tre o quattro persone a me note. Forse quattro, non son sicura. Potrei altresì fermarmi a vedere come si stia evolvendo il mio cammino formativo personale, o come la mia carriera universitaria stia vivendo un momento chiaroscuro, quasi quanto le mie abilità scrittorie - messe peggio, oserei dire.
Ma no. Perchè fermarsi su cose tanto banali?

Soffermiamoci su qualche elemento particolarmente interessante. Ad esempio, perchè il tocco è galeotto? Mi spiego: io sono una persona che pone in una luce importante il contatto fisico. Lo vivo come momento di comunione con l'altro, per cui prima di arrivare a tanto ho bisogno di percepire quantomeno una sintonia apprezzabile. La cosa riesce meglio con certe ragazze, piuttosto che coi ragazzi. Questo presumibilmente per varie pare mentali riguardo al mondo maschile, mai sopite da che adolescenza fu. Discretamente comprensibile.
Esistono ometti il cui contatto ormai mi vale meno dell'acqua calda - anni di vicinanza aiutano. Esistono ragazze che, pur se note da poco, sono particolarmente tendenti alla vicinanza materiale, tanto da farla sembrare una necessità anche a me, empaticamente, quantomeno con le loro persone. Altrettanto, ricerco il contatto con chi pare averne assolutamente bisogno, anche se privo del coraggio di esporsi per primo, tanto che comunemente è l'altro che poi si abitua alla cosa - e qui la differenza uomo-donna ha poco rilievo, seppure ovviamente mantenga certe riserve verso l'altro sesso. Prima o poi le leverò.
Sostanzialmente, il fattore tatto è come il fattore C, ovvero va molto a momenti. Da quelli in cui non mi staccherei più da una persona, al totale opposto - in questi, se qualcuno osa toccarmi, potrei violare il mio status d'immacolatezza solo per staccargli la testa a morsi. Il che, umanamente parlando, si riduce ad allontanarsi materialmente dall'individuo, o scrollare di dosso con una certa stizza qualsiasi cosa mi stia sfiorando che non rientri nella mia personale sfera. Ultimamente, ho affinato la tecnica di autocontrollo, tanto da attuare il mio obiettivo con la più delicata possibile nonchalance. Incrociando le dita, l'altro non se ne dovrebbe rendere conto, o almeno non tanto da farmelo notare.
Lo stesso avviene quando qualcuno ricerca fin da subito un approccio fisico. Se ci limitiamo a presentazioni, due baci sulle guance e via, ce la posso fare. Sono programmata ad accettarlo (cielo, sembro una specie di automa). Se dopo cinque minuti stringi manina, ti appoggi addosso, mi scrolli amichevolmente eccetera eccetera, sappi che non sei nelle mie grazie. E soprattutto non ci entrerai solo perché tenti di fare il/la simpatico/a per via di contatti puri e crudi di questo genere.
Nnnnnno. Immaginati di avermi davanti, di parlare con me faccia a faccia; se ancora non comprendi, leggi il labiale: "Nnnnnno". Punto.

La traccia tattile di una persona rimane addosso più di quel che un individuo comune si immagina. Per "individuo comune", intendo chi non si cura troppo di ingorghi mentali quali i miei. Gente normale, apparentemente - ma non sostanzialmente - come me. Se la sensazione al tocco è quella che si ottiene con una qualsiasi nuova conoscenza o persona nota, ci si può non fare caso.
I problemi essenziali iniziano a sorgere quando si rileva un'impronta particolare. Essa lascia una strana impressione, tanto che può arrivare a creare due reazioni distinte: il fastidio da una parte e la nostalgia dall'altra.
Ovviamente, esistono le mezze vie, sane o meno, individuabili in cose come sentirsi in maniera obsoleta dopo il contatto, piccoli formicolii insistenti che lanciano segnali a intermittenza al cervello, e via dicendo. Le due reazioni essenziali consistono appunto nel fastidio, ovvero desiderare che quel contatto non sia mai avvenuto, o contrariamente nella nostalgia, volere nuovamente quel contatto, consci di quanto la nostra concezione ci imponga di rispettare le sfere personali e non sembrare maniacali.
Vivendola come la sottoscritta, la testa inizierà a non stare più dietro alle questioni da risolvere in merito.
Se provo fastidio, quale è mai la ragione, come posso risolvere la cosa, perchè non posso conoscere o simpatizzare comunque con questa persona senza avere il pensiero fisso di una pessima sensazione iniziale?
Se invece la cosa è volta alla nostalgia, cosa può significare per me una scarica simile, perchè non posso partire da un semplice grado di conoscenza senza il preconcetto che ci sia stata una qualche sorta di scossa, di legame istintivo derivato anche solo da una semplice stretta di mano?
Non che ci si salvi dalle mezze vie. Son problematiche anche quelle.
Si tratta di cose non semplici da gestire. Uno può pretendere che non sia successo nulla, per non impazzire dietro a sensazioni che lo distrarrebbero troppo, come pure pretendere in certi casi che il sentore di un qualche cosa ci sia stato, per autoconvincersi della presenza di un legame, negativo o positivo che sia.

Essenzialmente intoppi mentali, ma di quelli seri temo. Uscire da schemi di questo tipo non è facile, quanto non lo è rimanerne dentro. Si tratta di una sorta di circolo vizioso, in cui si deve sperare che le impressioni tattili siano solo leggere, quindi facilmente interpretabili, sviluppabili e manovrabili. Hai una sensazione carina? Bene, vorrà dire che tenterai una relazione buona. Ne hai una non tanto positiva? Altrettanto; cerca comunque di mantenere un tuo equilibrio relazionale, magari evitando di farti coinvolgere in cose che non reputi affini a te.
Se le impronte del tocco altrui si avvinghiano in modo forte, ossessivo, viene da domandarsi di tutto e di più, finendo col non poter reagire in alcun modo, sentendosi bloccati in una sorta di labirinto di idee, opzioni, pulsioni, nel quale i percorsi stessi sono la relazione te-altro, il centro è l'equilibrio relazionale e l'uscita la fuga a gambe levate, col distacco totale da quel legame. Soluzione drastica e spesso devastante, quest'ultima - decisamente più del doversi raccapezzare tra le siepi intrecciate del labirinto. A meno che non sia la relazione stessa ad essere per noi ampiamente nociva, cosa che si può capire solo dopo lunga e intensa autoanalisi, la fuga sarebbe sconsigliabile.
Solo che neanche rimanere bloccati nelle varie stradine è granchè simpatico. Ma non ci si può fare nulla. Sperare che anche l'altro sia stato in grado di percepire le stesse nostre impressioni potrebbe essere un'opzione, augurandosi che poi intenda collaborare alla risoluzione. Altrimenti, venire a capo da soli di queste sensazioni da tocco è un'impresa piuttosto seria.

Contorto.

La domanda sorge spontanea:
Perchè ho così tante pare mentali?

E Dietro Le Mura, Il Vento

{Posted on 27/05/11 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

Avete presente quei bei temporali estivi, di quelli che se non si trasformano in trombe d'aria è già tanto?
Sì, intendo di quelli che ogni tanto lasciano andare grandine. O di quelli che si scaraventano con tutta la loro forza contro le pareti della casa, serrata di corsa lavandosi da capo a piedi per l'improvvisa pioggia sferzante.
Comunque la vogliate mettere, mi instillano una voglia folle di piazzarmi in mezzo alla strada o al giardino a prendermi il fronte d'acqua proprio quando avanza. Adoro osservare l'effetto che fa vedersi correre incontro in un muro compatto la pioggia. Normalmente, per non correre rischi o apparire quantomeno sana di mente, mi limito a fissare il momento dalla finestra. So che arriva, riesco a capire ormai quando bisogna aspettarsi un acquazzone simile. Non saprei mai dire se è il caso che tempesti pure o meno. Ma il genere di storm mi è familiare.
Verrebbe voglia di documentarlo in toto, con qualsiasi mezzo a disposizione. In questi momenti non posso fare a meno di domandarmi come sarebbe trovarsi nei panni di chi insegue i cicloni o i tornado, quei folli a caccia di documentazione chiara su queste immani forze naturali. Arrivo fin a desiderare di provarne l'adrenalina, un giorno o l'altro. Chissà.
In ogni caso, pare che l'estate sia in arrivo.
Non ce n'eravamo accorti dai 30 gradi all'ombra degli scorsi giorni, deh. Manco Dio si fosse messo a fare dell'Italia una bistecca alla griglia.
Ma nel caso foste ancora in dubbio, siamo quasi a Giugno.
E io ho ancora due fottutissimi esami da dare.
D'arvit.
Notte.

La Moralità Dei Vecchi

{Posted on 09/05/11 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

Torno dopo due mesi, con la malsana idea di dedicarmi a una cosa del genere solo in periodo esami. Pessimo tempismo.

Lascia sempre più perplessi una cosa, tra le tante. Tra i discorsi che mi rimbombano in testa, come credo avvenga ormai a molti della mia generazione, c'è quello di non avere più alcun ideale, nessuna morale. Sapete, l'accusa della carenza di princìpi, quando la vecchia generazione - comunemente i nati fino agli anni '60 - punta il dito contro la nostra fascia d'età - dai primi anni '80 in poi, all'incirca. Sì, sono conscia di aver tralasciato una ventina d'anni, ma quella è una porzione a sè, che conosco solo limitarmente.
Ritornando a noi, ci definiscono totalmente disinteressati agli avvenimenti sociali (oltre che politici, ma quello è ormai da due turni che lo si trascina avanti) che caratterizzano la vita quotidiana, e, moreover, menefreghisti del futuro, insoddisfatti ma mai attivi per cambiare, eccetera.

Viene spontaneo domandarsi: se anche ciò fosse vero - e avrei molti esempi che potrebbero dimostrare il contrario - com'è che sono loro a farcelo notare e non ce ne rendiamo conto da soli?
Ho posto la domanda ad alcune persone, in Università, ricevendo perlopiù critiche verso il sistema politico-istituzionale. Probabilmente ho parlato con individui sbagliati, perchè la questione non va fatta orbitare attorno alle solite e scontate tematiche che fanno impazzire i media, almeno dal mio punto di vista.
Io sono di quelli, infatti, che accolgono l'accusa di volersi astenere dal prender parte politica, e con vanto. Ho anche io le mie cose da dire in merito, certo, ma devo proprio associarmi un partito, categorizzarmi per esser ritenuta un'opinione valida?
Qui il primo problema: le categorie. Ho avuto modo di carpire, tra una discussione e l'altra, che la cosa che non va giù a chi ci ha preceduti è il fatto che difficilmente i teenager o i ventenni d'oggi riescono ad essere categorizzati come i "vecchi" vorrebbero. Ovvero, di certo possiamo tra noi individuare gruppi di appartenenza, divisorie, elementi che ci smistano sotto l'uno o l'altro stereotipo; più palesi che mai sono le distinzioni tra truzzi, emo, bimbiminkia, rockettari, metallari, punkettoni, hiphoppari, o tutti quelli che continuano a spuntare come margherite, chennesoio. Siamo pieni di categorie anche nel nostro, visto che abbiamo imparato dai migliori. Solo che queste caratterizzazioni non sono chiare ai "membri esterni". Esterni a cosa, poi, devo ancora capirlo.
Il gap generazionale può anche starci, le incomprensioni da un'epoca all'altra sono sempre esistite e sempre continueranno a emergere. Quello che non si comprende è perchè, se davvero siamo così incomprensibili ai predecessori, essi debbano per forza inquadrarci in determinate maniere, pur non potendo entrare nella testa altrui, pur non riuscendo a riconoscere quel che facciamo o quel che siamo senza preconcetti, che chissà da dove sbucano. L'impressione è che si siano per forza di cose dovuti inventare uno scenario da applicarci, altrimenti non andavamo bene. E noi, bravi bravini, molto spessi ci siamo adattati senza fiatare. Ormai, le cose e le modalità esistenti erano quelle già pensate da loro, no?

Arriviamo ad un altro punto della questione, quello che ha fatto partire i miei ragionamenti a dirla tutta: può la vecchia generazione ritenersi superiore alla critica morale che essa stessa muove?
Mi spiego. Tutto ciò in cui i vecchi ci accusano di peccare non li riguarda e basta? Si sa, le prediche più forti tendono ad arrivare dal pulpito sbagliato, da chi quelle cose dice di riconoscerle proprio perchè ci è passato, o per non dover ammettere di esserci profondamente immerso. Non è valido per tutti, questo è sicuro. Generalizzare totalmente è sbagliato. Ma lo è da entrambe le parti.
Ho visto ragazzi con idee ferme, una propria struttura mentale, non per forza categorizzabile sotto una linea filosofica specifica, un credo religioso o un partito politico. Ragazzi convinti di avere qualche futuro, anche se non ancora definito, di poterci lavorare sopra senza paura, con volontà di agire in qualche modo per far capire che "Noi ci siamo". Possono aver fallito, possono essere caduti, ma difficilmente si sono fermati.
Ho osservato uomini, cinquanta-sessantenni, rovinare sè stessi e circondiario perchè non avevano più nulla a cui appigliarsi, una convinzione, un qualche tipo di speranza, azione. Automi in tutto e per tutto, talmente tanto si erano abituati al procedere inesorabile della vita. Vivevano - e vivono, anche se come termine è piuttosto errato - in modo passivo qualunque cosa, incapaci di abituarsi al cambio della guardia e al fatt che le cose non restano ferme. Il tempo procede; loro non restano solo indietro, no: rimanere indietro significherebbe potersi rimettere al passo, facendo una corsa un po' sforzata. Hanno così tanta paura del cambiamento e del non cambiamento allo stesso tempo da rimanere immobili, se non addirittura ridursi a scappare follemente verso qualcosa che è stato e non è più, o che magari nemmeno è mai stato, se non nella loro testa.
La cosa peggiore è che non se ne rendono conto, o se accade loro di avvedersene ignorano tutto e piuttosto cercano di scaricare le proprie pecche sulla pelle di chi ritengono possa essere più vulnerabile, più debole. Provano un piacere intrinseco a liberarsi di pesi del genere, opprimendo chi ha ancora davanti potenzialmente molti anni. Tentano, sostanzialmente, di stroncare sul nascere il cambiamento, di qualsiasi tipo esso sia.

Il vizio è stato acquisito da molti della generazione intermedia, quella della ventina d'anni che ho tralasciato. Molte critiche sono appellabili a loro, mentre forse in realtà questa frazione di cittadini è l'unica realmente neutrale, semi-indifferente, e a ragione. Come uscire dal circolo vizioso, se non arrendendosi in parte ad esso? Andrà forse meglio a chi verrà dopo, sempre che non venga coinvolto in questa spirale. Brutti affari.

Mi viene da pensare che la morale dei vecchi sia un'utopia che loro stessi si sono creati, per la maggior parte. Tanti si sono resi conto della deriva che hanno preso; alcuni hanno ingranato una marcia di riserva, iniziando a dare qualche vaga opportunità ai successori per riscattarsi ed entrare a far parte della vita comune.
Altri si sono totalmente persi. E quel che è peggio è che continuano a trascinare con sè molti altri.
Il perchè, poi, vallo a capire.
Ma in fondo, chi sono io, "ragazzina" ventenne, per permettermi di fare discorsi simili?

La Coerenza Dello Sciacallo

{Posted on 06/02/11 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

Ritorno di Fiamma dagli esami. Sì, son viva, nel caso i fantasmi ivi presenti se lo fossero domandati.
Tra una cosa e l'altra, sono saltate fuori parecchie cose. Per esempio, avete mai notato come molti nomi di libri siano legati agli animali, in qualche sorta di metafore? "L'eleganza del Riccio", "Il Peso della Farfalla", "Il Passo della Tigre"... Cose così, insomma. Credo sia quindi giusto dedicare almeno un post a questo luogo comune. Come titolo, intendo, visto che questa è e rimane solo una premessa. La solita per prender tempo e far mente locale sull'argomento che sul serio mi interessa trattare. Per farvi spendere secondi poco preziosi.

...Che dite? Che avete di meglio da fare quindi è meglio se mi sbrigo?? Puah! Figuratevi se abbocco. Se state qua non c'avete un biscaro da mettere all'amo! (non chiedete come mi sia venuta - nonono)

Mi piace tergiversare! Sono a disagio quando gli altri esagerano nel girare attorno alle cose senza arrivare al punto, ma se si tratta di farlo da me, sono più che contenta di mettere alla gogna l'interlocutore con assurdità - questo è un piccolo sfogo sadico, non ci posso far nulla. Anche se non sono poi così stressante nel far notare la prolissità altrui, se ho tempo e voglia da impegnare nell'ascolto (più un fattore di tempo, la voglia c'è spesso).
Sono asfissiante, lo ammetto, quando invece bisogna puntualizzare le cose. Pignoleria, chiamatela così.

Se una cosa è determinata in un modo a livello più o meno universale, non può variare per una singola persona. Non cambia nulla dire "Eh, ma secondo me funziona nell'altro modo perchè dalle mie parti si fa così". Sticazzi. Se dalle tue parti si fa così su certe questioni, ci sono errori a monte. Come ad esempio il fatto che non riesci ad ammettere di aver torto, o almeno di accettare l'opinione altrui (che, detto per detto, potrebbe essere anche quella più appropriata in quell'ambito). In casi simili rischio di diventare odiosa, drasticamente, poichè finchè non riesco a dimostrare la mia ragionevolezza sono sorda a compromessi. Potevi cavartela con un "Ah, può essere." e discorsi a seguito. Invece hai voluto fare il piantagrane ottuso. Bene, avrai a che fare con un'ottusità anche maggiore nel metter nero su bianco l'amara verità. Anche a costo di dimostrare che nemmeno io ho la totale ragione. Ammazzo parte dell'orgoglio molto volentieri.Di pari passo, mi inalbera avere a che fare con i predicatori malrazzolanti. Posso sbagliare nel fare qualcosa, e se qualcuno me lo fa notare con tono amichevole posso passarci sopra, se non anche imparare dall'errore. O far partire una pacifica condivisione di opinioni a riguardo, più o meno accesa. Ma se questa annotazione ha il tono di richiamo e perlopiù proviene da qualcuno che fa anche peggio di me in tale occasione, mi iniziano a girare le rotule. Ma tanto, anche. Inizia a mostrare un po' di coerenza con quel che vai a dire che poi ne riparliamo. Non ti levo il diritto di pensarla in un modo ed agire in un altro, ma almeno la saccenza dell'ipocrita bada di tenerla per te. Soprattutto quando la usi per riempire di merda un'altra persona di fronte a terzi, così, perché hai bisogno di un ruolo da Alfa o da Beta nonostante l'evidente incapacità di guadagnartelo lealmente, o perché hai qualche anno in più e hai fatto esperienze diverse dall'interlocutore tanto da ritenerti superiore a lui/lei.
Visto che comunque ho avuto risvolti negativi a partire da futili discussioni passate nate da questo ambito, ultimamente mi mordo la lingua e fingo indifferenza, rivolgendo insulti mentali e sussurrati in altre lingue al mio obiettivo. Aiuta a stirare i nervi ed evita conflitti che porterebbero solo a pessimi risultati.

Detto ciò.. Perché "Coerenza dello Sciacallo"? Nulla di contro al caro canide africano, per carità. Sfrutto solo la sua dieta alimentare per rapportarlo alle persone di cui sopra. Prevalentemente, difatti, ho notato che riescono ad approfittare dei mali altrui e sfamarsi con le loro carogne, grazie appunto all'escalation di ipocrisia.
Oh, quanto vorrei essere il non-morto di turno e azzannarli non appena tentano di affondare i canini nella mia carne imputridita! A parte che forse mi basterebbe metterli davanti a qualcosa di borioso o narcisista, un pavone, chessò...
Uhm... Ok, mi sa che sto perdendo coerenza anch'io. Ma il mio è un caso patologico, e funziona a livello prettamente personale. Non tiro in ballo altri.
Al massimo, sarò un po' coyote.

And That, Charlie Brown, Is What Boredom Is All About

{Posted on 27/12/10 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

Fa-la-la-la-la, la-la, la-la!
Non siete entusiasti di questa fantastica atmosfera? Come rinunciare all'annual rituale che da che anno zero è stato definito (il 525 d.C., può essere?) ci ricorda il 25 dicembre di 2010 anni fa? A ben vedere tuttavia ha ragione il dottor Cooper (guardatevi The Big Bang Theory), visto che la nascita di Cristo fissata in questo giorno è pura convenzione (Dionigi doveva esser alticcio il giorno della datazione, perché ha sbagliato anno e stagione assieme). E che, in effetti, la celebrazione, anche se con caratteristiche vagamente differenti, va avanti da ben prima della Natività. Che ci volete fare, siamo una civiltà festaiola - No Europe, No Party.

In ogni caso, posso essere felice di annunciare che l'amabile ricorrenza è passata, sia essa da intendere come Natale o come Newtonale(sì, ricorrenza della nascita di Newton - casca bella là). Certo, per chi non ha un tubo da fare all'Ultimo dell'Anno (vedi la sottoscritta - proposte??) toccherà sorbirsi pure l'ultima spanzata del 2010, ma è tutta un'altra storia. Niente regali, niente visite (teoricamente) al parentado, niente tempi morti nella giornata - che non è nemmeno un'intera giornata, ma giustappunto l'attesa mit vettovaglie per la mezzanotte.

Dato che sono in argomento, ci tengo a deviare dall'intenzione iniziale con cui mi sono messa a scrivere questo post per analizzare una questione essenziale: per "Capodanno" si intende Primo dell'anno, NON Ultimo. Sì, è un'affermazione e non una vera e propria controversia. La definizione è questa. Levatevi dalla testa l'idea che la notte di San Silvestro sia pari al Capodanno, per amor del cielo! Non avete idea di quante persone tuttora vengano a far discussioni a riguardo con me. Eppure mi pare ovvio: C A P O D A N N O, Capo dell'anno - testa, non coda; inizio, non fine; cima, non pendici. Insomma, avete capito. Toh, vi lascio pure la definizione di Wikipedia (la cui pronuncia è altro punto focale di altrettante discussioni, ma soprassediamo). In tutte le culture è così, tutte. Si parla di Capodanno Celtico, di Capodanno Cinese, Giapponese, Veneziano, Fiorentino (ci son rimasta di sasso quando ho constatato l'esistenza di questi ultimi). Apertura di una nuova dozzina mensile, ripresa di un ciclo - mestruale e non.
Se al cenone dell'Ultimo si parla di "Cenone di Capodanno" è perché si tratta di un evento pensato per trascorrere in compagnia le ultime ore dell'anno in declino per salutare assieme l'alba di quello nuovo, quindi il suo Primo Giorno. Trattasi della VIGILIA. Avviene una cosa del genere anche per il Natale, ricordate?
Rinsavite, o voi che avete smarrito la giusta via!!

In ogni caso, il clima delle feste non contribuisce alla voglia di studiare. Anzi. In compenso, fa lievitare il peso. Mi consolo, tuttavia, illudendomi di metter da parte le scorte per il tornato freddo e le energie da bruciare quando i miei neuroni saranno sul punto di schiattare per l'iper-sfruttamento.
Ho da imparare una lingua in meno di un mese. Sigh.
Ma allegria! A Natale puoi far quello che non fai mai, ergo si può Faaaaaare di più!! Devo tuttavia ancora definire "di più di che couusa??". Ma ci penserò. Cooon calma, e sangue fredd.. NO! Mi rifiuto di cantare quell'oscenità!

Happy Newtonmas everyone!


Per amor di cronaca, sì, il disegno è mio.

Anime Di Vetro

{Posted on 16/12/10 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

Ho sentito dire che ogni uomo è un’isola.
Costituzionalmente e di diritto non appartenente a razze, classi o quant’altro; socialmente presente a meno di esser rinchiuso in cantina (opportunità non trascurabile). Esteriormente costituito da un camuffamento comune, per quanto estroso possa parere.
E dentro? Una volta caduta la maschera, se mai essa riesca a cadere, si riesce a rilevare qualcos’altro?

In realtà, non ho nulla che mi permetta di dar fiato a qualche risposta. Ma m’han presentato un paragone di vita interessante. Ognuno nel proprio io è a suo modo solo, per quanto possa ingannarsi socialmente; ogni vaso che costituisce la nostra esistenza può essere fatto di qualsiasi materiale, forma, dimensione, e per quanto noi ci si sforzi nel riprodurre la vita in serie, nessun orcio sarà mai del tutto identico a un altro.

Ma i materiali conosciuti, in fin dei conti, son quelli. Limitati come l’esperienza umana. Prendiamo la creta. Non facile da modellare, discretamente fragile, ma per molti versi i suoi cocci son grossi e facilmente ricomponibili; e poi, come anche l’argilla ci si può lavorare egregiamente. Consideriamo altrimenti il ferro: duttile, forte, risonante; si può fondere e rifondere. O meglio ancora, il marmo, praticamente inattaccabile; salvo grazie a qualche acido o un buono scultore, ma è un discorso a parte.
E potrei continuare ancora con tutti i materiali esistenti. Volete un vaso di diamante? Se riuscite a scolpirlo, ben venga; è il materiale più duro esistente, seppur estremamente raro. La proposta degli ultimi decenni è la plastica, basilarmente sempiterna. Preferite invece un’anfora di carta? Purché riciclabile.. è piuttosto esposta alle intemperie, ma pazienza.
Non è difficile. Ci si riesce in ogni modo a categorizzare, anche costituendo nuove leghe. Quel che esiste è un insieme specifico.

Ma avete mai ragionato sul vetro? Anch’esso è un materiale.
E che materiale. Lo si può soffiare, tingere, modellare, vi si possono incastonare oggetti.. Spettacolarmente particolare.
Col minimo dettaglio riguardo la fragilità: perché il vetro, a differenza d’altro, si potrà riciclare, si potrà raccogliere, si potrà tentarne la rifusione.. ma non si potrà mai recuperare come prima.
Pensateci: la più perfetta, liscia, semplice ampolla; sottilissima e trasparente, la miglior cosa per trattenere fluidi, oggettini, polveri. Beninteso che non sia di fattura mista ad altre materie. Ce l’avete? L’avete visualizzata?
Ora scagliatele contro un sasso. O fatela accidentalmente scivolare a terra da una discreta altezza, basta un tavolo. Migliaia, milioni, miliardi i frammenti che vi vedrete sfrecciare davanti agli occhi, auspicando che non ve ne entrino. Potreste anche tentare, dopo, di ricuperarne i pezzi più grossi, se mai ce ne sono (là son lo spessore e la qualità del vetro a far differenza).
Ma dubito, dubito e perdonatemi se sottovaluto lautamente le vostre capacità, che mai prendiate e raccogliate anche il più piccolo frammento. Eppure, potrebbe essere quella briciola a cambiare tutto il gioco d’equilibri in cui tentate di ricomporre l’ampolla. Anche risoffiando il vetro, si sentirà la mancanza di qualcosa, ed il serio cambiamento dovuto a ciò. La forma, tra l’altro, non sarà altro che copia dell’originale, per definizione imperfetta.
E il disastro maggiore, fisicamente, avviene quando due ampolle si scontrano l’un l’altra; vetro contro vetro. Ne distinguete i frammenti? Seppur anche siano di colori originari diversi, li distinguete al micron? Ne separate esattamente le scaglie infinitesimali, dell’una e dell’altra?

Credo sappiate le risposte. Tuttavia, c’è da notare che nel ricomporre e tornar a soffiare un nuovo vaso da entrambi i tipi di frammenti ne esce un’oncia, un esemplare più grande, diverso com’è ovvio, e perché no, anche più resistente. Unico, al solito, ma di un’unicità che dalla semplice matrice non si sarebbe ottenuta.
Comunque, il vetro permane vetro. Per quanto camuffato da tinte, altre superfici sopra d’esso, o presenza d’oggetti scenici incastonatici ed effetti vari, esiste in quanto vetro. E pur nella sua semplicità costitutiva, è a mio dire il più splendido materiale mai forgiato a storia d’uomo.

..Hare Krishna!!

{Posted on 15/12/10 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

Voglia di scrivere saltami addosso. Potrei averne un disperato bisogno. Come non aver nulla di cui effettivamente mettermi a parlare. Beeello. Alla soglia delle 8000 visite, tra l'altro.
Voglio solo che la gente evanescente che transita per cotesto blog (se mai si fermerà a leggere) veda che c'è la reale intenzione di pubblicare qualcosa di decente, anche se non è sempre da dar per scontata.
Allora, da che potrei iniziare?

Tergiversando. Sì, non dev'essere complicato. Voi che dite, tergiverso bene, eh?
In modo logorroico, ma ci posso riuscire. Per esempio, potrei tirar fuori la storia di mio nonno che coltivava fave e prendeva a badilate le talpe infingarde nell'orto. O quella dell'orso che mio padre dice d'aver visto. O quella del gruppo di membri dell'Iskcon... AAAALT! Argomento trovato!Per chi non lo sapesse, l'ISKCON, acronimo per International Society for Krishna Consciousness, è un'associazione indù nata nel '66 a Nuova Iorche, basata sulla venerazione mirata di questa Divinità del Pantheon Induista e che presta particolare attenzione all'attività missionaria.
Una peculiarità di questi cari giuovini e non è quella appunto di peregrinare spesso per le città allo scopo di diffondere, ovviamente, la conoscenza spirituale e la coscienza di Krishna. La maggior parte delle volte, per far ciò, intonano in luoghi pubblici il canto collettivo del Nome del Dio (Krishna, ovviamente) accompagnati da piccoli strumenti e da danze, la cui espressione è parte integrante della trasmissione degli insegnamenti e della conoscenza. *fine paragrafo SuperQuark/Wiki - spero di aver spiegato bene*

Ultimamente, li si vede spesso anche in Italia, soprattutto in zone a grande afflusso turistico e con una discreta percentuale di legami con il continente Asiatico. Una a caso? Ma ovviamente Venezia.
Non ho assistito a molte espressioni religiose che non fossero cattoliche (una Commemorazione Ebraica, una Messa Protestante e un Funerale Buddhista), e già è molto che a Shanghai sia riuscita a vedere la conclusione di un rituale funebre al Tempio del Buddha di Giada (non sarà una cosa allegra, ma credo di essermi esaltata).
Questa mancanza un po' mi spiace, devo esser sincera. Pur avendo una determinata educazione (e, altresì, una maniera tutta personale per affidarmi al Credo), sento una necessità molto ampia di conoscere le altre pratiche spirituali esistenti - perlopiù affascinanti, aggiungerei.
Riprendendo il discorso dell'Iskcon, c'è un bel gruppetto di persone che nell'ultima settimana si è fatto vedere parecchio per Venezia - mi hanno confermato la cosa diversi compagni d'università che abitano lì in settimana, e non solo. Venerdì ho sentito un coro di "Hare Krishna" provenire dall'altra sponda del Canal Grande, passando il Ponte della Costituzione (a.k.a. Calatrava). I membri cercavano di coinvolgere un po' anche i passanti, che li osservavano incuriositi. Non credo che ci sia stata gran diffidenza nei loro confronti, come spesso e, purtroppo, volentieri accade in simili occasioni. Erano molto lanciati nella loro impresa e cantavano, suonavano, ballavano che era un piacere! Personalmente ero in ritardo per la lezione di Economia, ergo mi son potuta fermare solo qualche istante, ma non ho potuto fare a meno di sorridere e desiderare di imitarli. Erano davvero molto carismatici, pur non avendoli avvicinati che di una decina di metri. Mi hanno illuminato la mattinata, sisì.

Tra l'altro, in mezzo a questa cosa, mi è tornato alla mente l'episodio di Scrubs "Il mio fegato a Pezzetti" , della 5^ serie, in cui il caro JD si lascia trasportare da alcuni membri dell'Iskcon, dopo essersi rasato a zero per solidarietà con una paziente xD Sì, va bene, è una cosa un tantino meno seria, ma non per questo ho meno rispetto di questo gruppo religioso.
Nel frattempo è da venerdì scorso che ogni tanto prendo e canticchio "Hare Krishnaaa, Grande Krishnaaa, Il Mio Krishnaaaa..." , mimando i gesti esagerati di JD. Aaah, che cose care.
Vi aggiungo il video correlato della scena, va là ^_^

I Figli Del Benessere

{Posted on 03/12/10 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

Questo post estemporaneo, dopo una breve rivisitazione mentale di ciò che è stato in passato cotesto blog, mi fa intuire come funzionino i processi di maturazione, la comprensione dei meccanismi globali, mutuando il mio pensiero verso nuovi interessi. E sta diventando una faccenda piuttosto affascinante, insieme alla variazione degli obiettivi di vita.

Siamo franchi. Tutti noi, tutta la generazione che da metà anni ottanta va a dipanarsi per tutti gli anni novanta e i primi duemila (anche se questi forse sono in una differente), siamo geneticamente derivati dalla società del boom.
Si stava bene, nei nostri anni, vero?
Le grandi tecnologie, l'emergere di un mutamento socio-economico, lo spazzar via di un'eventualità storica affermata da quattro decenni come la guerra fredda. Nuovi mezzi di comunicazione, una rinata identità collettiva e individuale. Potrei continuare. Si tratta di uno scenario che in un altro contesto potrebbe benissimo apparire contraddittorio, e forse anche dal suo interno qualche dubbio in proposito sfugge.
Tutto ciò, non senza i sacrifici di ogni sorta occorsi tra gli anni sessanta e settanta. Non parlo solo dei grandi movimenti, delle guerre, delle crisi nazionali ed internazionali. No, io mi focalizzo sulle singole realtà, e vado a puntare lo sguardo a come allora una famiglia si accontentasse davvero di poco rispetto ai canoni d'oggi.
Forse.. Mi correggo, di certo è da queste condizioni che s'è creata la voglia nei nostri vecchi, in chi ci ha creati, voluti o non, di ottenere quel che di meglio si poteva. La creazione del famigerato benessere, quella cosa tanto raggiungibile quanto estremamente volubile (viene il dubbio che soffra della "sindrome della moda", se m'intendete). E la cosa straordinaria è che nella maggior parte dei casi sono riusciti nell'intento, anche solo dando alla nostra vita una traccia iniziale ripiena di certezze, un periodo felice durato fino alla chiusura del millennio. In forma molto modesta, a volte, ma pur sempre satura di beni.

Insomma, siamo nati con la camicia. Cosa positiva, da un certo verso, e tremendamente negativa alla luce degli sviluppi degli ultimi dieci anni. Pensiamo, con la avventatezza della nostra giovane età, di poter raggiungere tutto e tutti. Pensiamo di poterci inventare il lavoro, la vita, i soldi - in certi casi, giustificati da successi di giovani che han fatto fortuna con le proprie idee. Pensiamo e speriamo - paradossalmente, abbiamo una fede così grande nel futuro da superare l'amore per la Divina Provvidenza che avevano (e hanno) certi nostri genitori.

Il problema? Lavorare sul presente. L'abitudine acquisita con la stabilità e l'ingenuità dell'infanzia si ribalta bruscamente di fronte ad uno scenario che stravolge ogni aspettativa. I più fortunati hanno una vita molto dignitosa, nonostante i problemi (posso alzare la mano in proposito, fatti due conti, pur con il dettaglio finanze); gli altri non accettano la propria situazione, tentando in qualche modo o di far apparire all'esterno qualcosa di falso o di ribellarsi, senza però avere gli strumenti adatti a fare appropriatamente anche solo una di queste due cose.
Il primo passo sarebbe prender atto di come funziona veramente il mondo, aprendo le porte, gli occhi e le orecchie innanzitutto agli altri attorno a noi. In secondo luogo, si potrebbe passare ad un ruolo attivo nella comprensione dei meccanismi socio-economici, diventando mentalmente eclettici, vista la realtà in espansione costante, sempre più globale, se non universale.
Ma non intendo far da moralizzatrice in alcun modo.
Quello che volevo scrivere, trascrivendo questi pensieri, era una semplice constatazione. Una constatazione che possa essere anche vagamente utile a capire l'ovvio - cosa affatto scontata, visto che la maggior parte non nota le cose (o non le vuole notare) finché non gli vengono esposte in determinati modi, ripetutamente, insistentemente e fastidiosamente.
Prima o poi, il messaggio del darsi una svegliata, che è ora, dovrà pur passare.
E per quell'ora, forse sarà anche meglio aver raccolto un po' di esperienza, negativa e positiva, realista e utopista. Per quanto uno possa sentirsi "conservatore" piuttosto che "rivoluzionario", non può fare a meno di rendersi utile, arrivato ad un certo punto.

Io credo di voler prendere in mano quel che ho a disposizione, ora, una volta per tutte. Darmi da fare, per costruirmi un futuro decente e far vivere dignitosamente quel che resta a chi mi ha preceduto, lasciando che si faccia da parte con la convinzione di aver dato il posto a qualcuno di competente. I desideri, le speranze, i sogni, mi aiuteranno di certo a proseguire in direzioni che possano essermi affini, senza che possa arrivare ad odiare le mie stesse azioni. Ma non dovranno prevalere sull'obiettività dei fatti.
Altrimenti, tanto vale vivere una vita scialba, alle spalle degli altri, beata nel suo starsene con le mani in mano.
Sarà realmente vita?

Dialogo Da Stazione - Più Sue Conseguenze

{Posted on 25/11/10 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

No. Non intendo un dialogo in stazione, bensì una situazione tipo che si viene a descrivere molto di frequente tra i pendolari ferroviari.
Nel mio caso, ha assunto i caratteri disneyani particolari delle battute di "Le Follie dell'Imperatore" - cosa per me assolutamente normale visto che ne conosco le battute praticamente a memoria (può capitare anche con altri classici, tuttavia). Ho avuto la giuoia di condividere l'uscita, quando ieri è avvenuta, con la cara Ale.
In ogni caso, sono necessarie alcune premesse che vadano a descrivere le condizioni in cui cotal esclamazione d'uopo sia avvenuta (ho scritto un'idiozia, vero?):
  1. Dopo svariate giornate di pioggia, umido, acquerugiola, acqua alta, colonnina di mercurio sopra la media, acqua, acqua, pioggerella e.. uhm... nebbia -sì, credo mancasse proprio quella- , il tempo s'è deciso a metter a disposizione una sana mattinata di sole e gelo. Non proprio congelante, ma quantomeno nella media stagionale. Sufficiente, insomma, per far sentire lo sbalzo termico dalle condizioni malsane cui ci si era abituati.
  2. L'arrivo in anticipo in stazione, accompagnata da mamma (perché il mercoledì torno alle 21 e non voglio circolare in stazione da sola per quell'ora - sono psicotica, lo so, ma dato che han già provato a seguirmi prendo le mie precauzioni). Incontro Mattia, che va a bersi un caffè (beato lui!) mentre io, convinta dell'arrivo a breve del treno, m'avvio a una panchina. E che vedo?? "Treno in ritardo di 10 minuti". Ah-ha. Promemoria, promemoria per me: farmi pagare una colazione da Trenitalia.
Detto ciò, c'è anche da notare un fattore positivo, ossia l'incontro con una cara ragazza, la Chiara, diretta ad Udine, il cui Mega-abbraccio mi ha tirato su il morale.
Nell'attesa dell'ormai prevedibile ritardo del treno per Venezia, mi trastullo in musica. Son solo dieci minuti, no? Niente di che...

TRENITALIA: Annuncio ritardo - il treno regionale 294756195xyz delle ore 8 e 54 proveniente da Trieste C.le e diretto a Venezia S.Lucia arriverà con 15 minuti di ritardo, diversamente da quanto annunciato.
IO: Aiuto. Aiuto aiuto. Fatemi capire, voi dovreste essere belli dentro?!

Ok. Aumentato solo di cinque minuti.. Ancora poteva essere recuperabile e avrei potuto arrivare alla lezione per tempo. Correndo, ma ce l'avrei fatta.
*Passano neanche due minuti*

TRENITALIA: Annuncio ritardo - il treno regionale Abbiciddìquantocigodiamo ..*blablablah*.. arriverà con 25 minuti di ritardo, diversamente da quanto annunciato!
IO: Magari io non sono un'esperta di treni, maaa... questo secondo me potrebbe essere considerato un passo indietro, non trovi??
TRENITALIA: ...Ci scusiamo per il disagio.
IO: ...Ti odio.
(per il preciso momento del film, video qui)

Deh. E fu così che persi la prima lezione. In quanto poi, il treno, mica s'è accontentato di 25 minuti. Ne ha fatti 35. Che sommati ai 10 minuti necessari per raggiungere Santa Marta in un orario pieno zeppo di turisti e con un Piazzale Roma iper-affollato, mi avrebbero fatta arrivare in extra-ritardo a lezione. Se fossimo stati in un'aula ampia e da cui si poteva sgattaiolare all'interno furtivamente, ci sarei anche stata. Peccato che eravamo a Gradoni - ovvero classe a scalinate (mavvà??) nella quale si può entrare solo facendo prima cucù all'insegnante. A meno che non ci si voglia cimentare in azioni funambole rocambolesche per le finestre a 10 metri d'altezza.
Per cui, io e la compagna da Treviso abbiamo saggiamente optato per un'ora alla ricerca di un regalo che altrimenti avremmo cercato nelle 3 ore e mezza di buco al pomeriggio.
Abbiamo tuttavia avuto la pessima idea di avventurarci nella zona bassa attorno alla sede Centrale (chiamasi Dorsoduro, zona est-sudest). Perché pessima? Perché credete abbia usato l'attributo "zona bassa", per sport?! Andiamo, parliamo di Venezia, non dell'Himalaya. C'è il problema frequente dell'Acqua alta. E noi ci siamo dovute avventurare in mezzo all'acqua strabordata senza stivali nè nulla (perché a S.Marta - zona sud-sud-ovest di Dorsoduro- è più alta, e se tutto fosse andato da programma non ne avremmo avuto bisogno).
Abbiam tentato di girarci attorno, ma di fronte all'impossibilità di arrivare a destinazione senza tardare di mezzora (de novo) ci siam dovute lavare i piedi nel liquido contaminato del mare - blah.
Beninteso, si poteva anche camminare in piedi sui muretti a bordo canale, spessi una ventina di centimetri. Ma sorgevano anche qui due problemi: 1) Io non so nuotare, che avrei fatto nel caso in cui fossi caduta?? 2) Chi ha tentato questa via, ha incontrato serie difficoltà a saltare i buchi di attracco, circa due metri e mezzo senza muro.
Quindi, via a pucciare!

Dopo una cosa del genere, coi piedi lessati e a rischio mutazione genetica, ho resistito alla lezione della Caroli - santa donna! - che non m'ha fatto pentire per nulla di essermi sforzata appieno d'arrivare alla sua lezione.
Dopodichè, mi avrebbero atteso tre ore di studio in Dipartimento. Uso il condizionale, perchè in realtà ho solo aiutato l'Alessia a fotocopiare e ho assistito l'Alisa nell'excursus delle università nipponiche, perché poi noi si ha sommamente rinunciato a Cinese (lezione delle 17.30) per tornarcene a casa.
Bilancio chiuso in positivo: bagno da temperature termali, relax e studio autonomo. Se l'insegnante di seconda lingua non invoglia affatto, al contrario della Guru di Storia, non è colpa mia.
E andiamo!!

L'infingardaggine Intrinseca Delle Meringhe

{Posted on 01/11/10 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

Sappiate che un genere di dolce come la meringa, come pure un bignè o un babà, o una panna montata decente, nove volte su dieci avrà la sfacciataggine di non venire come vi aspettavate. Se ne può rimanere sconvolti, altroché.
La cosa tremenda è metterci un lasso di tempo improponibile (da venti-trenta minuti a qualche ora) per riuscire ad elaborare il preparato, montare a neve, farcire, eccetera eccetera.
Poi, quando ti rilassi un attimo infornando o cercando di compiere quel che t'eri prefisso...BAM! Ecco che la tua creatura ti si rivolta contro, noncurante della fatica e del tempo investiti a suo unico pro. Traumatico.
Nel caso del nostro dolce zuccheroso, comunemente si affloscia a mo' di cacchetta spiattellata (immagine idilliaca), facendovi imprecare in aramaico di volta in volta.

Mia madre ha provato molte volte a cucinare questo subdolo dessert; per capirsi, una quindicina di volte in tutto negli ultimi 30 anni, da quando ha reperito la ricetta (molto semplice, a dirla tutta - due ingredienti).
La prima volta che è riuscita ad ottenere delle meringhe degne di questo nome? Ieri.
"Tutta una questione di temperatura, è il forno, è il forno!!" Il canto d'esultanza, a parte un suono acuto non ben definibile, è stato circa questo. Davvero, se ci si deve sentir realizzati per qualcosa, nella vita, è quando occorrono cose simili! (nota: NON sono sarcastica)

Nonetheless, perché sto descrivendo l'arcano atto spirituale di creazione di una Meringa? Quale messaggio figurato voglio trasmettere tramite l'uso di quella che si potrebbe considerare una metafora dolciaria?? Cosa ha partorito la mente illuminata dal Sommo Derf constatata la natura sadica Meringhese?!?7
...
.....
.......
.........
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Nada.
Volevo solo condividere questa gaudente scoperta.

Piove. E Non È Una Poesia Dannunziana!

{Posted on 31/10/10 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

...Piuttosto una sonata mesta che annuncia il più che probabile annullamento della Festa dello Samhain a Vittorio Veneto! Ma guarda te se quando finalmente decido di partecipare ad un Capodanno Celtico - con somma esaltazione, ovviamente - deve mettersi il maltempo a rompere le uova!
Perlopiù, come si suol dire, piove sul bagnato (letteralmente) visto che i PimPi dei dintorni si stanno mobilitando per Halloween (sì, quella roba commerciale là) e statisticamente mi ritroverò delle uova lanciate in giardino o sul tetto, visto che non ho dolcetti. E no, non è affatto detto che la pioggia li fermi. Odio questa sottospecie di Carnevalata-Horror. Festeggio una tradizione Celtica, io.

Nonetheless, comunque stasera si esce (squillo di trombe & rullo di tamburi). Se non è per Samhain, l'alternativa è il cinema o un pub (rollata di batteria, con piatto finale). Con la scusa d'esser giù per Venezia, ormai qua esco poco. Avrò pure girato la città palafitticola in lungo e in largo - mi riservo ancora un 40% di zona ignota - ma qui mi muovo sempre meno, fatta eccezione per il tragitto casa-stazione, oppure quello casa-musica, casa-biblioteca, casa-parrocchia. Poco di più. Ad esempio, son stata fino a Sacile, venerdì, grazie all'incontro col Gruppo Foraniale, e pure al Sacro Graal (yeee, il primo shot alcolico da più di un mese!).
Ma va bene così. Se devo essere sincera, temo che il tran-tran veneziano mi stia sfiancando più del previsto. Mi trovo più tempo su treni che presso molte altre strutture. Almeno prendessi quelli a lunga tratta, per andare a Milano (ad esempio, per qualche concerto o per svariati pranzi a tema da organizzare con la cara Prongs - più vari ed eventuali). In ogni caso, mi leva pure la voglia di vita sociale. Ho faticato non poco per convincermi a partecipare ad una festa, occasione dalla quale ormai da anni non manco, all'alba di un mese e rotti fa. Questo per dirne una; se ci son stata è per affetto verso chi l'ha tenuta, oltre che in secondo luogo per distrarmi. Altrimenti, mi sarei chiusa per l'ennesimo sabato in casa. Se non contiamo le due serate di film con un'altra amica (in those occasions I enjoyed myself, actually).
Tristezza. Ma dopotutto, non ho grandi motivi per uscire (la mancanza di dindi contribuisce parecchio), né tra l'altro una vera e propria compagnia con cui andare in giro. Mi sono trastullata qualche volta col gruppo Lab-inn, a fine estate; vero. Ma senza incontri settimanali è dura rivedersi, salvo per chi orbita a Venessia.

Finiamo questo panegirico sulla mia scarsa attitudine sociale da universitaria regredita, che è meglio.
Proviamo ad esempio a parlare della mia voglia di scrivere: yeeee, tanti buoni propositi post-estivi andati a farsi benedire!! Viva viva. Puntavo su molti concorsi letterari per racimolare un po' di soldi. In quest'ultimo mese soltanto sono stata tuttavia in grado di bruciarne tre. Tre ottime possibilità, tra l'altro (a due mi son iscritta, anche se la vedo molto dura - soprattutto visto e considerato che uno è di poesia). Ce n'è due anche per questo mese, l'ennesimo RaccontaEstero dell'IRSE di Poddennonne, più uno a tema sul Viaggio (che fantasia, per i temi, eh?).
Nel frattempo aspetto ancora, ansiogena, il risultato di quello di Moggia (è uno dei pochi che mi è piaciuto sul serio comporre), più il premio per la traduzione - nonostante più di un Anglo-Americanista mi abbia fatto notare che si può sapere cosa spera di ottenere di Lingue Orientali, a confronto con noialtri esperrrrrti?! *giggles giggles* Anche se detto da uno che fa ancora fatica a leggersi un libercolo in inglese è particolarmente convincente, nevvero? In ogni caso, la mia politica di solito è provarci, allo sfinimento; non importa quante volte mi prenderanno a pesci in faccia. Così (nuovamente) mi propongo di fare per alcuni concorsi tra dicembre e gennaio, o altri che sbucheranno nel frattempo. In particolare, m'è caduto l'occhio su uno Fantascientifico titolato a Jules Verne, per il quale ho discrete idee - il problema là sarà scriver tutto entro fine dicembre, e far stare la storia entro i limiti di battute consentiti.
La Scrittrice fallita tenta ancora di farsi un nome, sì.
Chissà che il mio libercolo prima o poi veda la luce delle stampe editoriali. Mah.

Nocturnal Ouverture

{Posted on 27/10/10 at http://myworldmylife.splinder.com/ }


Brutta bestia, la gelosia. Soprattutto se ne si soffre.
Non avete idea dei disastri sull'orlo dei quali può portare - e tenete conto che non sono in alcuna relazione, nè intendo entrarci a breve. Credo sia una cosa rivolta ad una situazione che non è quella per cui mi sento maggiormente predisposta. Motivo per cui. stanotte verrà trascorsa in bianco. Tanto giovedì si dorme, poco importa che domani debba prendere il treno alle 9 (eeeeh, fatto di meglio col liceo!) per rincasare solo alle 9 di sera. Mannaggia alle tre ore e mezza buche.
By the way, si stende un programma a base di carte, giornali, sassolini, analisi, scrittura e ripasso di cinese - che in teoria dovevo svolgere nel pomeriggio, il quale è stato effettivamente sfruttato, tuttavia, per ben altro (sonnecchiamento +  lettura costruttiva + template per Ale). Tutto serve, anche la poca propensione al sonno, di cui ovviamente mi pentirò in mattinata.
Ma come solevo dire fin poco tempo fa.. Details.
Tra l'altro ho provveduto a far un po' di pulizia tra i post del 2006/2007. Era un periodo in piena fase adolescenziale, e con ciò ho detto tutto (se ne trovano ancora alcune tracce, ma il grosso è stato fatto sparire - robe inutili, perlopiù).
Leaving this entropia, Selah.

Mancanza Di Auto-Ricettività

{Posted on 07/10/10 at http://myworldmylife.splinder.com/ }


Non è un problema serio. Vero?
Per "mancanza di auto-ricettività" intendo il non riuscire a capire determinate faccende rivolte verso di me senza che mi si parino in faccia palesemente. Non tutte, ovviamente, solo quelle in ambito affettivo-relazionale. Detesto dover scrivere di certe robe, ma ho bisogno di elaborare la cosa, poiché il riconoscimento del "problema" è il primo passo di guarigione (manco fosse 'na dipendenza...).
In ogni caso, ieri due compagni di corso, saputo che avevo conosciuto, seppure a malapena, un certo personaggio mi hanno domandato se ci aveva provato pure con me, cosa che a quanto pare fa normalmente con tutte. Io sono rimasta sul vago, moooooolto sul vago, per un semplice motivo: non so riconoscere quando un fatto del genere mi accada. Il che è un'inezia, a tutti gli effetti, ma mi infastidisce un po' visto e considerato che ho vent'anni.
Parzialmente, può derivare dal fatto che a prescindere non penso di avere motivi validi per interessare all'altro genere più di tanto. Quindi, non vaglio nemmeno la probabilità che qualcuno si avvicini a me in tal senso. Mi viene spontaneo e non credo di poterci fare granché. Mah.
D'altro canto, però, ho visto che effettivamente a certi sentimenti altrui nei miei confronti non ci arrivo. Non finché non se ne parla chiaramente, cosa accaduta finora solo un paio di volte (e in entrambe le occasioni mi son ritrovata a cascare dalle nuvole, rifiutando cortesemente una volta colto il senso). Questo non avviene solo in senso affettivo stretto, ma anche con persone a cui non sembro andare a genio. Viene fuori tramite chissà che contatti che a una data persona la mia presenza infastidisce o dà sui nervi. Testato già due o tre volte, e ad ognuna, nuovamente, son rimasta di sasso. Non per il fatto di stare sulle scatole ad una persona, quello è comprensibile (mica può esser tutto rose e fiori, nei rapporti sociali), ma proprio per non essermi accorta di nulla, niente, zero di zero.
Quando si tratta di capire i rapporti e i comportamenti reciproci tra altre persone, ci arrivo piuttosto in fretta. E' solo la mia sfera ad essermi ignota.
No, non sono per nulla auto-ricettiva. Forse dovrei ampliare un po' i miei orizzonti per comprendere certe cose così, a pelle, anche se non saprei come.

Vademecum dello Studente Universitario a Venezia!

{Posted on 10/03/09 at http://myworldmylife.splinder.com/ }

...Conscia del fatto che ormai da moooooolto non scrivo regolarmente su questo blog, provo ad iniziare una serie di mini-vademecum (o qualcosa di simile insomma) ispirati dalla vita vissuta, osssstregheta xD
Chissà che non servano a qualcuno!!
Dunque.. Intanto introduciamo il fatto che sono tutta presa mentalmente da un nuovo viaggio (ebbene sì!) in Irlanda, per cui non sarò particolarmente connessa. Tuttavia, farò del mio meglio!

Intanto, proporrei un'interessante tematica:
LE LEGGI DI MURPHY APPLICATE ALLA REALTA' VENEZIANA
Studente VS Murphy
, come dir vogliate :D

No no, altro che scherzi! E' una cosa da prendere assolutamente con le pinze, scherziamo??
Immaginatevi di essere un'inesperta matricola che, ben esaltata dall'abbandono della realtà Liceale/Superiore si va ad inoltrare in un mondo nuovo, sconosciuto e sempre (ahimè!) rigonfio di sorprese quale l'Università. Certo, lo scenario par simile a quello di tante altre città universitarie Italiane, a prima vista.. Ma ognuna di esse ha le sue caratteristiche singolari, eh! Inclusa Venezia. E, oserei dire, in maniera particolare.
Dicevamo, immedesimatevi in una matricola (buon per voi, o mal per voi - punti di vista.. - se lo siete realmente). Ca' Foscari, IUAV, Belle Arti o Conservatorio.. Non c'è alcuna differenza tra questi istituti se subentra un sublime fattore: La Legge di Murphy.
Se non avete idea riguardo a cosa io stia parlando.. Grami voi. V'attaccate e v'andate a informare su Wikipedia!! Che razza di universitari sperate di diventare senza conoscere questi elementi basilari??
Sono cose che non vanno ASSOLUTAMENTE trascurate!!
Difatti, appena vi sarete abituati un pochino al ritmo lagunare, potrete constatare voi stessi quanto siano vere le seguenti osservazioni, o magari vi sarete premuniti in partenza conoscendole, si sa mai..


  • Gli orari dei treni non si adatteranno MAI ai tuoi orari universitari. (Detta anche "Legge di Trenitalia", applicabile anche in altri contesti)





  • Lo stesso si potrà dire per gli autobus e i vaporetti (Applicazione Veneziana della "Legge di Trenitalia") 





  • Quando sarai in anticipo rispetto all'orario di un treno, questo sarà in ritardo. Qualora tu invece sia in ritardo, sappi che partirà in anticipo. (Corollario alla "Legge di Trenitalia" valido su rete nazionale)





  • Se soffia Scirocco, avrai acqua alta. Se non soffia Scirocco, soffia la Bora. 





  • COROLLARIO: Se sei in estate, non soffierà proprio un cazzo.





  • Salvo tu non abbia una tuta impermeabile, nei giorni di pioggia risulterai sempre e comunque bagnato fino alle mutande. E no, l'ombrello non serve proprio a nulla.





  • Non importa quante persone passeranno contemporaneamente a te per delle Fondamenta o delle Calli: se c'è un canale, sarai sempre tu la persona più prossima a finirci dentro. (A.k.a. "Legge del Canal")





  • COROLLARIO: Lo studente veneziano potrà vantarsi di un equilibrio da far invidia a un ginnasta





  • Il fantomatico equilibrio decadrà automaticamente appena lo studente porrà piede su un ponte. (Legge de i Ponti)





  • COROLLARIO: Lo studente veneziano annovererà tra le proprie figure di merda una serie di spettacoli acrobatici svoltisi sui gradini dei ponti, con o senza caduta finale





  • Non importa quante volte controllerai le maree in caso di acqua alta. Se sei munito di stivali, sarà sempre meno di quel che ti aspettavi. Se non li hai messi "perché tanto so una strada alternativa", il livello raddoppierà magicamente sbarrandoti tutte le scorciatoie





  • COROLLARIO: La maggior parte delle volte che ti sei attrezzato al meglio per l'acqua alta, sarai uno dei pochi cretini che andrà in giro con gli stivaloni in gomma iper-colorati al ginocchio





  • COROLLARIO II: Non importa quanto equilibrio hai accumulato nella tua breve esperienza, con gli stivali, soprattutto sui ponti, cadrai rovinosamente un discreto numero di volte





  • Quando hai tutto il tempo di questo mondo per raggiungere l'Uni o la Stazione, la gente ti aprirà un varco come le acque di fronte a Mosè, o addirittura scomparirà dal tuo percorso





  • Quando hai fretta di raggiungere un posto o prendere il treno, la maggior parte dei turisti presenti sull'area Veneziana avranno premura di scegliere proprio te per domandare informazioni, far scattare foto, oltre che di intasarti tutta la traiettoria con fare mollaccione





  • SINTESI delle due affermazioni precedenti: "La densità umana su un determinato percorso è direttamente proporzionale alla tua fretta" (a.k.a. "Proprietà accrescitiva dell'ammasso umano")





  • Non importa quante volte abbiate controllato sulla mappa il tracciato; almeno una volta, vi perderete in una calle misconosciuta della città





  • COROLLARIO: Il senso dell'Orientamento di uno studente veneziano va in ibernazione nei primi mesi di routine universitaria




  • Al momento, queste sono le principali informazioni su cui posso illuminarvi.
    Se avrò modo di comprendere che il Buddha-Derf è anche dentro di me, forse potrei raggiungere il Nirvana-Derfico tanto da offrirvi una piena visuale dello scenario. Nel frattempo.. Buona fortuna! :D

    Essere Impegnato = Trofeo Ambito. Single = Dimenticato Da Dio??

    {Posted on 20/09/09 at http://myworldmylife.splinder.com/ }


    Mi è capitato non poche volte di sentir discutere a proposito dell'attrattiva uomo-donna (o uomo-uomo e donna-donna, non se n'è esuli mica!); il più delle discussioni verte sulle problematiche personali, ma spesso emerge anche questa domanda: Perchè mai quando sei libero più dell'aria non ti fila nessuno, mentre una volta impegnato c'è lo stuolo di ammiratori?"

    Non tutti me la mettono sempre allo stesso modo, ma la sostanza è questa. A riguardo ho formulato qualche teoria.
    Pare difatti che, una volta impegnati, si attivi una specie di reazione uguale e contraria (evidentemente seguirà il principio del caro Newton), automatica nell'altro sesso per cui tu diventi la nuova coppa-trofeo da conquistare. O comunque qualcosa di molto più ambito rispetto alla tua precedente condizione zitellare/scapolare.
    Semplice gelosia o invidia, frutto di una precedente infatuazione?? Non direi sempre. Anche se di sicuro si va incontro a quella del malcapitato partner del nostro obiettivo!
    Analizziamo la cosa: Nella comune logica, se qualcuno è impegnato, lo si osserva con parsimonia, cercando di non incappare nell'ira del compagno, di contenere gli ormoni, anche se sperando magari in una futura rivalsa, quantomeno dal punto di vista femminile. Talora si sfrutta, anche con un'ottima probabilità di successo, il metodo "Chiodo scaccia Chiodo". Salvo nel caso non troppo raro di coloro che non mollano mai, o che sono rinomatamente di "facili costumi"; lì si può dire che si rientri nella successiva eventualità.
    Difatti, l'altro caso è quello che si sviluppa presso gli antri bacati della testolina di determinati concorrenti a questo gioco, perlopiù di sesso maschile: Se riesci a far mollare il compagno del trofeo, ottenendolo a tuo favore, sei un figo; la terra di proprietà straniera è sempre e comunque il meglio (a meno che non si abbia già un proprio territorio; salvo le eccezioni dei cosiddetti "stronzi", una relazione dura più del tempo di vedere una persona più appetibile dell'attuale e figurarsela come propria partner).
    I single non hanno tutta questa esorbitante attrattiva; dev'essere circa come la differenza tra il vincere la coppa italia (non campionato, proprio coppa) e diventare campioni del mondo, tanto per adottare un termine di paragone comprensibile ai comuni mortali (nella fattispecie, i mascolini tifosi calcistici).
    Abbandonando la vena femminista, i single dal punto di vista del "gentil sesso" (che poi quanto gentil ancora sia non ne ho idea) riscontrano comunque un minor successo rispetto ai simili felicemente (???) accoppiati; quante volte non vi è capitato di dire "I migliori son sempre impegnati", "Magari avessi la fortuna di Lei!", "Non lo merita!" eccetera eccetera, da brave viperine?? Anche io l'ho fatto, quindi non raccontatemi la storia dell'orso con le vostre scusanti o altri espedienti.
    E nel frattempo, il nostro caro, aitante vicino di casa, che di tanto in tanto va fuori con gli amici, non ha una relazione da secoli perchè crede di doverla far durare più di un mese in quanto condizione importante, ha un fisico discreto, difetti e pregi come un comune essere umano.. Rimane nel cassettino chiamato "dimenticatoio".

    Non che la condizione psicologica per chi è nell'opposta situazione sia più facile: voglio vedervi, voi, a gestire lo stuolo di persone che vi fa il filo.
    Dicono che l'attrattiva sia dovuta ad un fattore perlopiù chimico, dovuto a naturali leggi di attrazione fisica, o quantomeno così ho sentito. Chissà se è così.

    Non dico che i migliori siano quelli liberi, ancora da scovare in qualche angolo remoto del pianeta nella loro infinita perfezione (orrenda, orrenda bugia, la perfezione), anzi. A volte son anche peggio.
    Solo, tutto questo papiro qua sopra è una mia constatazione. Di sicuro, in svariati casi c'è quel bastardo di Cupido in mezzo, no? XD Eh, l'attrazione, nonchè l'amore, ci procura discreti guai, da che mondo è mondo!
    Attendo repliche, se vi garba! Commenti, critiche o che. Sempre che siate riusciti a seguire il filo discretamente contorto dei miei ragionamenti e delle mie espressioni scritte di getto.
    Ditemi la vostra.

    Selah!

    PS: In ogni caso, manderei una lettera di lamentele, se non una petizione, al caro scoccatore di dardi d'amore: che vada dall'oculista, una buona volta, che siam stufi dei casini che ci crea -.-'

    mercoledì 16 novembre 2011

    Changing

    Vediamo un po' se la cosa funziona.
    Salve, qui Lara. Mi trovo su questa piattaforma per motivi più di necessità che d'altro, ma direi che con Splinder in bilico tra sopravvivenza e chiusura ho un buon motivo per rinnovarmi in generale.
    Ergo... Si dia inizio al nuovo Blog!!

    Selah.