mercoledì 12 settembre 2012

Fratture

Quando ci riferiamo alle relazioni umane, spesso la terminologia medica torna utile.
Chiariamoci, io l'ho sempre detestata. Ciò non esclude che io possa apprezzare chi riesce ad averci a che fare; diciamo solo che esiste un'incompatibilità latente tra me e l'anatomia umana.
In ogni caso, è palese che determinate espressioni derivate dalla medicina siano nel linguaggio di tutti i giorni, anche perché ci sono continui parallelismi soprattutto tra le menomazioni della società e quelle dell'uomo - che sia il termine più corretto, poi?

Ad esempio, "influenza" è una parola valida sia per il ben noto virus invernale, sia per l'effetto contagioso di una cosa su un'altra. Ecco, nella mia frase emerge pure "contagio".
Quindi, non c'è da stupirsi che "frattura" venga usato non solo quando un osso va a rompersi, per i più svariati motivi - da una caduta in sessione d'allenamento a una carica di fan accaniti dell'ultimo idolo adolescenziale. Esiste anche come rottura di un qualche solido, oppure nella separazione di un dittongo - detta anche "frangimento", in tal caso (vi prego, fermatemi prima che continui).

image by Jrtippins
Se devo essere onesta, nessuna di queste interpretazioni - difetto da linguista incluso - ha a che fare con la prima cosa su cui si concentra la mia testa se penso alla parola frattura.
Subentra la mia concezione psicologica umana, in questo caso. Se dico "frattura", penso a quando una persona è danneggiata, dal di dentro; mi viene in mente il rumore che un'ipotetica lampadina nella nostra testa, sottoposta a una carica troppo forte di energia, possa produrre in uno scoppio. Focalizzo la dimensione emotiva di una rottura, definitiva o meno, in un rapporto tra due o più persone.
Non sempre ne individuo la causa. Innanzitutto, perché è difficilmente chiaro da dove sia partita la crepa decisiva che inizia a far crollare in pezzi la struttura. In secondo luogo, perché a un certo punto scatta un meccanismo automatico di difesa - soprattutto se la frattura mi coinvolge personalmente - grazie al quale prendo a ignorare la situazione.

Ovviamente, fa parte dell'incostanza umana arrivare a troncare certe relazioni, sia con un atto volontario che anche no. Se parliamo d'essere scostanti, isso la mia bandiera, giusto per far notare quanto sia il mio campo d'azione - o meglio, più che altro di non azione. Vengono a mancare la voglia di fare, la forza di mantenere e curare le cose/persone incluse nella nostra sfera e, ultima ma non meno importante, il senso del portare avanti certi legami di fronte ad apparenti ostacoli fastidiosi.
Di certo, è una cosa meschina. Ma non lo è anche, forse, finire a un certo punto col domandarsi: "Perché frequento ancora questa persona, se a stento riesco ad ascoltare ciò che dice e a malapena ci parliamo?"

Trovandomi nella situazione di non poter più raggiungere una persona come vorrei, perlopiù sentendomi messa volutamente in disparte di fronte ad altri, l'istinto mi dice di ritirarmi. Faccio di tutto per tornare nel mio bozzolo, attendendo qualche rapporto più sano. Di certo, non è un processo facile, ma di fronte a fratture palesi e difficilmente sanabili è la cosa migliore da ambo i lati.
La parte più complessa del tutto è convincere il mio io emozionale in proposito, senza mandarlo a male.

Mi sembra di essere sempre più cinica.
Posso affermare con abbastanza sicurezza, tuttavia, che la responsabilità non è solo mia. In gran parte, certo, lo è. Ma una grossa porzione va mandata a certi individui di mia conoscenza.
Spero solo se la godano senza tante storie.