domenica 2 febbraio 2014

MemoryTraining - Chapter #3: Never-made Travels (or at least, not yet)

Image by Alex Vakulenko
Sono una di quelle persone che adora pianificare. Soprattutto viaggi, possibili o meno.
In realtà, il più delle volte si tratta di mete o percorsi perfettamente fattibili, con un po' di fortuna (in questo caso, monetaria). E sì, so che la carenza di finanze viene annoverata come una delle scuse utilizzate più di frequente per rifiutarsi di viaggiare o per fingere di desiderarlo, mentre invece fa più piacere immaginare le cose rispetto all'agire. Ma nel mio caso ci sono state davvero cause di forza maggiore, che non potevo bypassare.
Ciò non significa che mi sia astenuta dal fare progetti.
I progetti possono sempre essere ripresi in un secondo momento ed è molto probabile che si realizzino in periodi più propizi, soprattutto qualora almeno uno sia già andato a buon fine.
Nel mio caso, questo "uno" è stato il tour dell'Irlanda che ho organizzato nel 2008 con una carissima amica, incontrata nella verde isola due anni prima, giusto in occasione dei miei 18 anni.
Come si dice, le propensioni si scoprono in giovane età e ritengo, nonostante le mie mete siano finora state limitate da molteplici fattori, di essere della tipologia più portata ai viaggi.
Ma torniamo alla pianificazione.

Quando parlo di organizzare un viaggio, non intendo solo con filmini mentali o con pure fantasie. Di norma, prendo in mano tutti gli strumenti possibili e immaginabili perché tal viaggio sia decisamente realizzabile.
Internet è uno splendido strumento, a tal proposito, sempre più rifornito. Partendo dalle informazioni che si trovano online, spulciando un po' ovunque, dall'ultimo dei blogger non calcolati da nessuno ai siti di recensioni su questa o quell'altra meta, si riesce a intuire dove passare e dove non passare, cosa vedere, cosa è meglio prendere in considerazione e cosa no.

Ho iniziato con il viaggio in Irlanda, con quattro punti focali: Cork, Galway, Sligo e Dublino. Già il successivo inverno ero alle prese con altre macchinazioni, ispirata dal fervore di quell'anno.
Piccolo dettaglio: avevo appena iniziato l'ultimo anno di liceo, quindi non è stata una grande idea decidere di tentare un viaggio con duplice meta in due diverse nazioni europee per il ponte del 25 Aprile. Soprattutto considerato che a inizio marzo sarei dovuta partire per la famigerata gita di quinta superiore, da tradizione all'estero, Praga nel nostro caso. Splendida città, ma ovviamente per motivi finanziari e scolastici non potevo azzardare un'ulteriore peregrinazione di quattro giorni di lì a un mese; specie se l'intenzione era di partire da Milano, volare a Dublino, rimanerci fino a un altro volo per Madrid e poi rientrare giusto in tempo per arrivare la mattina del Lunedì a scuola.
Siamone convinte, pure. Il punto è che l'avevo seriamente ritenuto fattibile, avevo esaminato tutte le variabili, visto gli ostelli, le loro dislocazioni, calcolato le tempistiche, il treno che mi avrebbe portato fino a Milano e poi a Linate, il fatto che a Temple Bar quella sera ci fosse un Live importante e a Madrid, un paio di giorni dopo, un Festival di primavera. Tutto, davvero.
Image by Lina Linnarsson
Voglio dire, va bene lasciarsi andare all'immaginazione, ma qua si va leggermente oltre. E quello è stato solo l'inizio. Da allora, periodicamente ho bisogno di pensare a quando-come-dove potrei partire, da sola o in compagnia. Sono stata in grado di coinvolgere anche mia madre, una volta, nell'entusiasmo di un'offerta per San Patrizio 2010 in Irlanda. Ovviamente, una delle cose andate a buon fine, visto quanto entrambe eravamo propense a tale idea. In dieci ore, da quando avevo visto l'offerta a quando ho confermato la prenotazione, ho segnato tutto quello che avrei potuto mostrare a mia madre, quando e dove ci saremmo incontrate con l'amica sopra citata (anche lei coinvolta nel raptus viaggiante), ho trovato un ostello in un quartiere appartato e ho visto tutti i programmi per i festeggiamenti di San Patrizio di quell'anno.
Da allora, i miei piani si sono difficilmente realizzati.
Chiariamo una cosa, ciò non vuol dire che non abbia viaggiato. C'è una sostanziale differenza tra il viaggio organizzato da una compagnia e quello che tu riesci a crearti con milioni di appunti sparsi per sette diverse agende, valanghe di post-it e pagine su pagine consultate online. Il programma che riesco a preparare con le mie sole forze ha tutta un'altra sensazione, nonostante non possa dire di non aver adorato le due tappe extra-continentali a Shanghai e Rio. Sono state esperienze uniche nel loro genere e, dopotutto, sento di essermele guadagnate grazie a certe personali capacità.

Però questa cosa del fare, prendere e partire mi è mancata. Ho cercato di consolarmi con l'esplorazione della nostra cara Italia, con qualche tappa (Bologna, Udine, Padova, Milano, Roma), rendendomi conto tuttavia di quante città, ancora, mi restino da scoprire nel nostro territorio.
Per deformazione personale, mi sono voluta documentare su un possibile tour in Giappone, nel caso fossi mai riuscita a vincere un bando Overseas per trascorrerci almeno un semestre di studi - cosa che l'Università non mi ha concesso per motivi che non voglio analizzare. Città e villaggi segnati, Festival stagionali messi in evidenza, costi, trasporti, tappe e periodi.
A capodanno 2011-'12 ero sul punto di partire per Lisbona con un'amica. Mi ero già immaginata cosa avremmo potuto fare, all'avventura. Non potendoci più andare, ho voluto buttarmi su un piano che mi avrebbe portato a Copenhagen, con visita di un paio di giorni per poi salpare alla volta delle coste Svedesi, fare un tragitto in bus e raggiungere Stoccolma.
Dopodichè ho iniziato a vagliare le opzioni per un mega-viaggio post Lauream, sulle tracce della Via della Seta: percorso europeo o percorso intero, dove passare, da sola o in compagnia, i visti, i cambi. Un viaggio che, fosse l'ultima cosa che faccio, in qualche modo realizzerò.
Alle soglie del 2013, tuttavia, il mio spirito organizzativo si è ammosciato. C'era Rio, come possibilità ancora non certa, ma anche si fosse realizzata (come poi è stato), alla logistica ci avrebbe pensato qualcun altro.

Poi è subentrata l'esperienza Erasmus, che nonostante sia tutt'altra cosa ha fatto riemergere l'urgenza di muoversi. Piena di paure, da un certo punto di vista, perchè mai prima d'ora ero stata tanto a lungo per conto mio, ma è una di quelle transizioni che ti fanno le ossa.
Ho approfittato della permanenza in Germania per permettermi il lusso di girare, sempre al risparmio. Da Heidelberg e Mannheim a Stoccarda, Esslingen, Karlsruhe, Francoforte (che ho visto solo di sfuggita, grazie alla Fiera Internazionale del Libro).
Tra due settimane, con una piccola compagnia d'italiani, partirò alla volta di una cinque giorni divisa tra Amburgo e Berlino, finalmente un viaggio creato da noi stessi per il quale, manco a dirlo, sono oltremodo gasata.

Tutti.
Sono tutti itinerari che prima o poi percorrerò, è una promessa a me stessa.
Tra gli altri, si possono annoverare un viaggio in Transiberiana, verso Vladivostok, dopo un accurato tour dell'Europa Orientale; senza scordare l'Orient Express, tra Vienna, Budapest e Bucarest. In previsione della Giornata Mondiale della Gioventù 2016, a Cracovia, c'è un certo percorso che vorrei compiere, prima di incontrare la moltitudine di giovani già in fibrillazione.
Senza considerare gli altri continenti, perché altrimenti non finisco più.
C'è un piacere insito a questo continuo fissare nuove mete. Non credo, al momento, che ci siano posti in cui non desideri andare.
Prendetemi un punto a caso nel globo. Possiamo iniziare a parlarne.

sabato 1 febbraio 2014

MemoryTraining - Chapter #2: Being Italians

Image by Giorgio Ghezzi

C'è una caratteristica insita dell'essere italiani: trovarsi. Ovunque, comunque.
E se anche, rimanendo nel Bel Paese (ora più che mai in senso Dantesco), vi venga il dubbio di dovervi vergognare del vostro luogo di provenienza, una volta all'estero, preparatevi a riconsiderare le vostre valutazioni, almeno un po'.

Non lo nego, siamo una popolazione alla quale sono state attribuite valanghe di stereotipi, positivi e negativi, oltre che a volte decisamente romanzati.
Ad esempio, abbiamo fama di essere una specie di modello Orso Abbracciatutti, cosa che spinge qualsiasi sconosciuto ad avere una confidenza immediata nei nostri confronti, completa di baci e abbracci - se siete come la sottoscritta non è l'approccio più appropriato (andiamo, do I even know you?? Nooon si tocca!), ma fa comunque intendere che partiamo con una marcia in più in molteplici occasioni. A parte con chi ci detesta a prescindere per la nostra nazionalità, ovviamente, cosa che - ahimè! - può capitare anche a noi, per i più svariati motivi.
In mezzo ai vari apprezzamenti, ci sono ovviamente tutti quelli riferiti all'arte, alla cultura, alla buona cucina e alla moda, ovvero tutta una dimensione estetico-gastronomica che può mettere in difficoltà l'interlocutore internazionale. Mi è capitato di avere a che fare con ragazzi ai fornelli, messi in soggezione dal fatto di dover servire da mangiare a un gruppo di italiani: sarà anche stata una mia impressione, ma c'era un certo nervosismo nell'aria, che mi ha fatto sorridere non poco, soprattutto considerato che sono di poche pretese, quando mi viene offerto qualcosa. Sì, amo la buona cucina e sì, sono convinta che lo stile Mediterraneo sia quello che preferisco, ma andiamo! Un po' di varietà non guasta, soprattutto fuori porta. Dicasi spirito di adattamento. Bene, mi è pure venuto appetito, ora.

Sto un tantinello deviando dal leitmotiv. O forse è solo un'impressione. Ma tornando al punto (se mai ce n'è stato uno)...
Il fattore stereotipi, siano essi culturali, comportamentali o accademici (sì, pure questi e meno negativi di quanto si possa immaginare), ha grande eco non soltanto con persone di altra nazionalità, ma con gli stessi connazionali - o nella maggior parte dei casi, i loro "derivati".
Un italiano in viaggio o in situazione di fresco trasferimento all'estero ha un'altissima probabilità di incontrare le seguenti tipologie di individui:
  1. altri Italiani residenti/dislocati temporaneamente all'estero;
  2. persone che parlano correntemente italiano, anche straniere;
  3. gente che è passata in Italia, che ci ha vissuto o viaggiato più volte;
  4. figli di famiglie italiane trasferitesi da decenni, stranieri di seconda generazione.
Queste quattro categorie se la giocano praticamente alla pari, variando a seconda dello Stato in cui ci si trova. Personalmente, ho avuto modo di trovare almeno uno dei punti sopra citati in ogni luogo che ho visitato. Ogni. Singolo. Posto.
Al che, se anche io avessi mai avuto in mente di staccarmi dal mio Paese Natio in modo drastico, mi troverei nella condizione di rinunciare a prescindere.
Image by Alina Deacu
L'Italiano, l'Italianità è ovunque.
Ma proprio ovunque, eh, partendo dalle persone incontrate alla fermata dell'autobus, per poi andare a trovare, all'angolo del borghetto sparuto in cui siete capitati, un localino che fa una pizza meno buona di quella di casa, ma pur sempre "Al cigno" o "Da Mario" si chiama.
Dall'Italia non si sfugge, ti ritrova ovunque tu sia, in molteplici forme.
Se negli ultimi anni sono i Cinesi a spargersi per il mondo a macchia d'olio, per chiari motivi numerici, un ruolo simile è stato ricoperto a suo tempo da noialtri, c'è poco da fare. Gli effetti sono palesi tutt'ora.

Tornando all'elenco di prima, pensiamo un po' all'incontro con la tipologia 1 e la tipologia 4. Entrambe, rendendosi conto di essere davanti a un connazionale, diventano improvvisamente e splendidamente disponibili, curiose come falene davanti a uno spettacolo pirotecnico.
Nel primo caso, c'è quel momento di reciproco studio, una manciata di secondi in cui si appura in silenzio di essere proprio voi, sì, siete italiani entrambi e tra tutta la gente che c'avevate attorno, avete finito con l'incontrarvi.
*momento suspence*
E via di stramazzi, risate e "Ma tu da dove sei?", "Ma va!", "E ti pare che io a Timbuctu vada a trovarmi proprio un Italiano!". Eccetera.
Di norma, a me parte un filmino mentale nel quale i due imitano una corsa sulla spiaggia al rallentatore, tipica dei film sentimentali, per poi finire con l'abbracciarsi manco si conoscessero da sempre. O, se meno touchy, scambiarsi una stretta di mano/pacca sulla spalla con annesso sorriso complice, ma questi sono dettagli.
In stile, facciamoci riconoscere.

Se valutiamo invece il quarto caso, l'italiano di seconda generazione ha spesso ereditato un senso di nostalgia consistente nei confronti della terra di provenienza dei propri genitori, dove molto probabilmente hanno ancora parenti.
Questi sono in grado di riconoscere la vostra sfumatura d'accento, che stiate parlando con l'autista di un autobus per chiedere informazioni o che ordiniate un caffè al bar. Illuminati, quasi folgorati sulla via di Damasco, non vedono più altri che voi, raccontandovi di come sognino di tornare nello Stivale per studio o lavoro.
Siete in una pista da ballo affollatissima, vi sentono scambiare due parole in italiano e subito vi fermano, occhi sbarrati e sbrilluccicosi. Proprio voi in tutta la massa di gente, è un segno.
E ancora, camminate tranquilli con un gruppo di amici in una strada metropolitana, un ciclista in senso inverso vi osserva, inchioda e con un sorriso a trentadue denti vi fa notare come ambedue i suoi genitori fossero italiani, "Padova e Potenza, sì?". Una chiacchierata di mezzora, tentando di coprire i rumori del traffico.
Sì, è affetto puro, non c'è da sbagliarsi.

Allora, forse davvero la nostra reputazione è da rivalutare.
Ci sarà anche una triste parentesi politica (altro punto noto tra gli stereotipi), il pessimo status economico e l'insicurezza su tutto quanto rappresenti la parola "Futuro", che quando pronunciata ad alta voce per le vie di una qualsiasi delle nostre cittadelle funge da spauracchio come pochi.
Ma ciò non vuol dire che l'Italiano all'estero non si faccia notare per adattabilità, openmindness e duttilità, abilità che riscopriamo nostre solo quando messi alla prova, come qualsiasi essere umano.
Ci troviamo. In tutti i sensi che questa parola possa avere, all'estero troviamo il significato della parola "altro", troviamo persone con radici simili alle nostre, ma soprattutto ritroviamo un'identità sana, mutata, che ci fa star bene con noi stessi, restituendoci quella condizione di obiettività che permette di rientrare in gioco.

Chissà, magari se tutti gli italiani medi passassero di regola un periodo all'estero, avremmo già imparato a ristrutturarci.
Con calma, impareremo.
Ci troveremo, anche in quell'insieme geografico che non sempre riusciamo a definire casa.
That's being italians. (or, at least, should be)