martedì 9 dicembre 2014

"Not a Monologue", or "A Dialogue with myself"

Quando si rimugina per troppo tempo sul da farsi o si procrastinano gli impegni all'infinito, è naturale trovarsi in una posizione di conflitto.
Nel mio caso, tuttavia, devo ancora capire perchè mi trovi ad avere ospiti indesiderati in camera ogni qual volta stia passando un periodo di crisi. Come se già non avessi evidenti problemi con l'Universo.

*Rimane davanti alla porta per qualche secondo, prima di entrare nella stanza*
- (tono esasperato) Non puoi essere di nuovo qua.
*la figura si rotola sulla schiena, per portarsi a pancia in giù sul letto che ha occupato*
 A me pare di sì. (sorride sorniona, puntellandosi coi gomiti sulla trapunta)
- No, invece. Gli accordi erano che te ne saresti stata buona buona all'incrocio tra il Plöck e Sophienstrasse.
 Evidentemente sono decaduti i termini contrattuali.
- Oh, non ci provare!
 Ci ho già provato e ci sono riuscita. Problems?
- Tanti problems. Soprattutto visto che sei una proiezione...
 ...Mentale del tuo io digitale?
- SHUSH! Una proiezione di me stessa, solo con 20 chili in meno e molta più presunzione!
 Se lo dici tu. (fa spallucce) Ti ricordo che le mie caratteristiche sono uguali alle tue. Eccetto l'avvenenza, quella è farina del mio sacco, ovvero della tua testa.
*Lara si massaggia le tempie, guardando l'Altra in tralice e sedendosi a cavalcioni della sedia accostata alla scrivania*
- Ascolta, capisco che noi si abbia avuto delle divergenze e che tu ritenga opportuno porre rimedio a ogni singolo dettaglio della mia vita, per ripicca o meno che sia...
 Stavolta ti ho anche fatto uno schemino. (solleva un foglio pieno di appunti e diagrammi)
- (prende un profondo respiro) ...Ed è molto premuroso da parte tua, lo apprezzo. Ma potresti evitare di comparire quando avrei altre cose da fare?
 Ti devo ricordare che fai tutto da sola e che, tecnicamente, i sintomi di questo comportamento sono associabili alla schizofrenia?
- Quel che è. Sparisci e basta, prenditi una vacanza, vatti a fare un giro su tutti quei mondi che ci siamo create assieme, scrivi post inutili sul web, infesta Tumblr. Come ti pare. Basta che mi lasci in pace, una buona volta.
*L'Altra inclina la testa, pensierosa, sospirando e annuendo mentre contempla il soffitto*
 Naaah. Passo. Perseguitarti è divertente!
- Ci avrei giurato.
 A tal proposito, che ne è della Questione Universitaria?
- Potresti essere un po' più specifica?
 Ma lo sono stata. LA Questione.
- Ah. Quella.
 Ah-ha.
- Sì. Beh, ecco, è annullata.
 Molto maturo da parte tua.
- Senti, ho passato un anno in Germania, manca un esame e poi di finire la Tesi. Mi pare un po' tardi, ormai.
 Certo. Come no.
- Non è che qualcuno mi abbia obbligata.
 Ovviamente. E dell'esame di domenica che mi dici?
- Sul serio? Cerchi per caso di farmi venire più dubbi di quanti già ne abbia?
 Mbeh, che ti aspettavi.
- Quell'esame è andato e neanche male, direi.
 Disse lei basandosi sul Potere della Botta di Culo, per gli amici PBC.
- Oh, piantala! Le cose le ho capite, è quello l'importante!
 Com'è importante rispettare le scadenze che ci si prefigge.
- Ti prego, no.
 Sì, invece. A Settembre pensavi di aver già finito con la tesi, a quest'ora. E invece stai ancora lavorando al primo capitolo.
- E' stato un periodo difficile.
 Lo è stato per tutti, non tirarti fuori solo perchè negli ultimi mesi non vedi altri che te stessa,
- Questo non è vero.
 Ah no? Quanto hai legato con i ragazzi del tuo gruppo? O gli educatori?
- Ci sto lavorando, dovresti smetterla di farmi pressione. Non è che rimedio dall'oggi al domani.
 Se ci aggiungo anche altri rapporti interpersonali, mi rispondi allo stesso modo?
- Dio, ma tu non ti stanchi mai.
 Mi ricarico sulla tua ansia, che ci vuoi fare.
- Anche lì ci sto lavorando, ma mi pare di esser messa bene con gli amici.
 Ma certo. Sei stata apertissima e disponibilissima, in fondo.
- Avverto una nota di sarcasmo, ma non vedo i sarcasmini fluttuarti attorno.
 Sì, scusa, avrei dovuto dirti che si sono presi una settimana di pausa.
- Una settimana?! e io che faccio?
 Affari tuoi, io ce l'ho come impostazione di default.
- Se l'hai tu, dovrò averlo pure io da qualche parte.
 Sì, ma senza i sarcasmini la vedo dura accederci.
- Bbboia vacca.
 Piccola Scaricatrice di Porto, non deviare dagli argomenti importanti. Non mi riferivo solo agli amici.
- Non ti riferisci mai solo a loro.
 Sarebbe troppo comodo non stuzzicarti a riguardo.
- Sorvoliamo.
 Certo, sorvoliamo e osserviamo il panorama.
- Altra me, NO.
 Essì. Ti dovrai pur decidere, una buona volta, per chiarire i tuoi sentimenti.
- Nope.
 Guarda che a sfogarti sul cibo e fingere di disinteressarti non risolvi nulla.
- La cioccolata mi ama, almeno.
 Ma ti amo anch'io!
- Balle.
 Sei tu che non credi di potermi amare.
- Non sono Narciso.
 Ti sarebbe utile, invece, L'amor proprio è una gran cosa, senza arrivare a casi Coxiani si intende.
- Stai iniziando a citare Scrubs? Mi pare che l'ultima volta avessi fatto mille storie per intimarmi a smetterla.
 Che ci vuoi fare, sono pur sempre te!
- Non ci capisco più nulla.
 Perchè continui a sviare dagli argomenti topici di questo conflitto interiore antropomorfizzato. La questione è: quanto e come vuoi essere felice?
- Una domanda cui si può rispondere in maniera assolutamente univoca.
 Fai la seria.
- Te non lo sei.
 Io sono sempre seria, solo che uso chiavi espressive diverse dalle tue.
- Fai troppe domande, altro che chiavi espressive.
 Che male c'è?
- In cosa?
 Nelle domande.
- La loro stessa natura è un problema. L'esistenza delle domande esistenziali e di vita è un problema. TU sei un problema.
 Perchè?
- No, pure i perchè no, adesso.
 Why not?
- Perchè no, Perchè non voglio.
 ...Perchè?
- Perchè evitare di pensare posticipa il problema permettendomi di concentrarmi su altro.
 Perchè dovresti pensare ad altro?
- Perchè ne uscirei matta.
 Perchè? Sono fatti normali, di vita. Credi che gli altri ne siano esenti?
- No, certo che no, ma devo pur pensare alla mia salvaguardia.
 Ma se sei qui di fronte a me, vuol dire che non stai ottenendo dei risultati soddisfacenti, con questa tecnica.
- Touché.
*Lara si sdraia sul letto assieme all'Altra*
- Non posso semplicemente rimandare?
 In questo modo, mi costringi a ripresentarmi più spesso, però.
- Chissà. Magari sto bene così.
 Allora mi vuoi almeno un po' bene.
- Appena. Ma non montarti la testa.

- 'Till the next time -

domenica 12 ottobre 2014

MemoryTraining - Chapter #5: Il dramma di un Lettore in Viaggio

Image by Kristi (on Flickr)

Il Lettore in Viaggio deve affrontare tutta una serie di sfide.

Ad esempio, cosa faccio, indosso le cuffie con la musica, conscio che i brani potrebbero cozzare contro il ritmo narrativo e darmi sui nervi, oppure sto senza, sopportando le interferenze provenienti da un bambino capriccioso urlante/un gruppo di teenager che produce idiozie lessicali/gente a caso che se fosse stata casa avrebbe fatto un favore all'Universo? Mi estraneo del tutto, chiudendomi in un mondo mio, con il rischio di trovarmi a Timbuctù, senza valigia, dopo essermi congiunto a una carovana di venditori di cammelli?

Ma l'ostacolo più grande è dato da Lei.
LA pagina.
Calato in uno stuolo di Babbani miscredenti che insiste nel chiedere, insulsamente, "Ma perchè ti devi sempre portar dietro un libro?!", il Lettore si allena alla pratica del "Conceal, don't feel, don't let them know" (Elsa docet), reagendo alla storia che ha tra le mani con più o meno malcelate pokerface (ma anche no).
Ma quando arriva LEI, quella particolare pagina, prima o dopo la quale l'intuito letterario suggerisce il disastro emotivo più totale, il "Well, now they know" si affaccia dietro il sedile del treno/aereo/autobus, facendo capolino con il suo ghigno malefico.

Allora, e solo allora, il Lettore in viaggio giunge a una decisione: chiudere il libro e rimandare il fatidico momento.

Perché in momenti simili non si coinvolge solo la pericolosità che l'esplosione del proprio assetto interiore potrebbe avere sull'ambiente circostante, ma anche (e soprattutto) l'importanza del tenere per sé e sé soltanto certi momenti clou di un racconto.
Vogliamo mettere a confronto una simile situazione incresciosa con la libertà di reazione psicofisica che un Lettore può concedersi, faccia a faccia con un libro, in luogo isolato?
Solo lui/lei e quel mucchio di carta stampata (o schermino dell'E-reader, siamo attuali), quel volume che, aperto in quella fatidica Pagina, rimane appoggiato su un letto o una scrivania, mentre il suo proprietario si sbraccia, lo insulta, si dispera, rotola a terra preso da uno spasmo di ilarità, piange rannicchiato in un angolo buio e tetro mentre tenta di farsi consolare dal gatto, che fugge via all'altro angolo della casa mentre il proprietario gli urla, singhiozzando, "Torna qui e amami!".

Quindi, nonostante il richiamo del procedere verso la fine del libro, in attesa del momento propizio in cui troverà il coraggio di fare i conti con sé stesso e la storia con cui, ormai, è in piena simbiosi, il Lettore in viaggio procrastina.
Di norma, iniziando a leggere qualche altro libro. O a scrivere.

mercoledì 30 luglio 2014

Against feminism? Let's bounce instead

Si sa, la società contemporanea è fatta di stereotipi e pullula di definizioni che tutti danno per scontate.
"Certo che so cosa vuol dire femminismo!", potrebbe dire una Tiziasempronia di circostanza "E' quel movimento che ha lottato per i diritti delle donne anni fa, vero? Ma tanto abbiamo tutti i diritti, ormai! Oggi le femministe sono delle lesbiche represse che odiano gli uomini e vogliono fare strage di bambini obbligando ad accettare l'aborto! E poi io voglio essere trattata come una regina, da un gentiluomo!"
Dicasi anche La sagra dell'esagerazione, Festival del luogo comune o Così parlò l'Adolescente (molto Zarathustriano).

Vero, esistono donne che odiano gli uomini (per amor del cielo, Larsson, non sentirti chiamato in causa). Alcune femministe contemporanee, molto note all'editoria e negli studi accademici, sono anche esponenti di movimenti LGBT.
Inoltre, c'è da dire che la situazione legale e sociopolitica del genere femminile è di gran lunga migliorata negli ultimi quarant'anni, almeno in parte (e sottolineo, in parte) del mondo "occidentale". Si può parlare in relativa libertà e venire quantomeno considerate come individui.
Ma siamo sicuri che il femminismo non serva più? E soprattutto, quanti di coloro che si professano anti-femministi conoscono realmente ciò che stanno criticando.

Io non ho mai avuto un carattere troppo deciso. Forse sono più adatta ad essere un "leone da tastiera", mi sento a mio agio quando si tratta di trascrivere impressioni e sensazioni in via telematica, riassumendole alla bell'e meglio con frasi ad effetto. Il produrre video, negli ultimi anni, ha aiutato non poco.
Ma quantomeno, prima di commentare apertamente e in maniera definitiva un argomento, tento di informarmi a riguardo. Perché, d'accordo o meno che io sia con esso, mi piace conoscere ciò che critico, che vado a sostenere o che magari mi lascia ancora interdetta. Aiuta nel creare un dialogo costruttivo con gli altri.
Nell'ultimo semestre, ho voluto seguire un corso sull'evoluzione delle politiche di Genere, soprattutto nel contesto dell'Asia orientale (difetto professionale), in un'ottica storica e che ha posto le specifiche situazioni di Cina, Corea e Giappone a confronto con l'Europa a noi nota (forse).
Aggiungiamoci l'interesse pregresso verso questioni identitarie e la cornice è completa. Era questione di tempo prima che iniziassi a chiedermi cosa io effettivamente sapessi (e pensassi) a riguardo della condizione femminile. Ho una mia percezione dell'"essere donna"? Mi sento discriminata o privilegiata? E soprattutto, sono di quelle che lotterebbero per ottenere qualcosa di più in una società che, a dire di molti, ormai ha "tutto"?
Ovviamente, rispondere in maniera univoca a queste domande è pressoché impossibile, pur con tutta la convinzione che una persona possa maturare. Nonostante ciò, possono essere degli interrogativi molto stimolanti, per osservare aldilà del sentire comune e rendersi conto che, in fondo, a molte persone la questione interessa solo superficialmente.

Quando si parla di superficialità o di grandi temi portati all'estremo, l'indice si punta automaticamente verso il buon, vecchio Internet. (e certi insigni figuri nostrani ne sanno qualcosa, n'est-ce-pas?)
I Social Network, pur nella loro immensa comodità, sono il veicolo preferito di bufale, fake e critiche a spron battuto preferite da Troll e altre creature fantastiche. Di tanto in tanto, fungono anche da canale attraverso il quale la disinformazione si nutre.
Mi ha lasciato basita la tendenza sempre più frequente a demonizzare e fraintendere i grandi movimenti che ancora oggi tentano di migliorare la società, primo tra tutti il Femminismo. Soprattutto da parte di giovani adolescenti che, ancora, devono scontrarsi con la realtà dei fatti - buona o brutta che sia. Più che giusto avere opinioni fin da ragazzine, per amor del cielo - anzi, mi fa piacere che ci sia dell'interesse a riguardo di questioni di un certo peso. L'unica cosa è badare all'attendibilità delle fonti su cui si basa il proprio "credo" e non finire fuori strada.
Qualche giorno fa, La Repubblica ha pubblicato un articolo sull'iniziativa #womenagainstfeminism, avviata via Tumblr e Facebook, che punta a raccogliere quante più donne possibile sotto l'insegna del "I don't need Feminism". Il mezzo principale è la pubblicazione di foto in cui le sostenitrici reggono dei cartelli dove elencano, punto per punto, i motivi per cui non sono femministe o non vogliono essere a favore del femminismo. La cosa curiosa è che la maggior parte dei contributi proviene da adolescenti, prevalentemente "bianche" (se mi si può concedere la categoria), che non ci pensano due volte a definire il movimento femminista come "full of shit" (cito testuale) senza offrire chiare giustificazioni.
Va bene voler esprimere il proprio pensiero in maniera stringata, ma generalizzazioni di questo genere fanno salire dei brividi non da poco, poichè ignorano molte realtà presenti nella vita quotidiana di molte donne.
Una delle più quotate è l'eterna scelta tra famiglia e lavoro: se hai deciso di dedicarti alla famiglia rinunciando a lavorare, vieni elogiata e/o compatita; se decidi di farti aiutare da terzi e dividere l'onere lavorativo con il partner, sei egoista e non sarai mai una buona madre. Nel trend sopra citato, molte madri o "madri futuribili" ritengono di non doversi sentire sprecate se si dedicano anima e corpo ai figli. Più che giusto, se è frutto di una libera scelta, data da un ambiente che equilibra la presenza femminile con quella maschile nel lavoro quanto tra le mura domestiche. Tremendamente deviato se, invece, il contesto è sfavorevole all'inserimento di una donna nel mercato del lavoro.
A tal proposito vorrei proporre una visita su "The Economist", per dare una letta al suo studio sull'Indice del Soffitto di Vetro (o Glass Ceiling Index), che osserva come le possibilità di avanzamento di una persona in ambito lavorativo o sociale siano spesso influenzate da discriminazioni di natura prevalentemente sessuale (o razziale). In questo caso, The Economist si è concentrato sulle potenzialità delle donne in determinati ambiti (accesso a incarichi di rilievo, differenze salariali e così via) nei Paesi Avanzati i cui dati fossero disponibili, fissando un limite di accettabilità.
E, sorpresa sorpresa, Paesi come Italia, Australia, USA, Regno Unito, Svizzera, Corea e Giappone sono tutti sotto la soglia, con discrepanze non indifferenti tra i due generi riconosciuti. Altre nazioni ritenute all'avanguardia, come Austria, Germania e Canada, sono sopra per pochi decimi.
Alla faccia del "Viviamo in Paesi in cui il problema non esiste più"! Se la percezione è positiva nel proprio piccolo contesto, non vuol dire che su scala nazionale le discriminazioni non esistano, spesso insite nel sistema spesso.
Inoltre, se si scorre un po' con la galleria di immagini Anti-femministe, si può notare come il termine "Femminismo" sia stato brutalmente deviato dal significato originale, soprattutto laddove si professano principi che, in realtà, sono del tutto in linea con le attuali politiche del movimento Femminista (estremismi a parte, si intende). I qualunquismi, insomma, la fanno da padrone, oltre alla realtà dei fatti che, invece, emergerebbe approfondendo un po' la materia.
Però il quesito sull'effettiva utilità del femminismo ai giorni nostri pare ancora poco chiaro, immagino.

Pochi giorni addietro, notando che in bacheca comparivano alcune frasi antifemministe (senza essere ancora a conoscenza di questo Trend ufficiale), ho spulciato un po' in giro e mi sono trovata davanti a quest'altro articolo ("5 Reasons Why So Many People Believe Feminism Hates Men and Why They’re Not True") scritto da Sam Killermann un paio di anni fa, che poi si è andato a sommare a un altro, fattomi notare da una cara amica sulla bacheca della pagina Se Non Ora Quando, scritto da Laurie Penny ("Care donne che non hanno bisogno del femminismo").
Probabilmente sono capitati a fagiolo. Io e la già citata amica - la quale ha scritto un articolo a tema che potete trovare QUI - ci siamo trovate negli scorsi giorni dopo un po' di tempo, in quel di Heidelberg ove ci troviamo tutt'ora, e abbiamo iniziato quasi casualmente a condividere delle opinioni a riguardo, giungendo a conclusioni piuttosto simili.
Ed è nata l'idea di condividere delle foto, in uno stile simile a quelle di Women against Feminism, con cartelli che raccogliessero le nostre motivazioni per essere pro-femminismo. Forse è un modo diretto e troppo sintetico di esporsi. Forse provocherà fastidio in qualcuno, visto che stiamo tentando di diffonderle via Social, più o meno come il Trend antifemminista. Si risponde tramite gli stessi canali per cercare di giungere a conclusioni diverse e creare una pluralità di opinioni, in questo caso - si spera - un po' più informata.
Perché pur parlando di tradizione, di maternità, di non voler essere le vittime e qualsivoglia altro ritornello, l'informazione è fondamentale. E l'essere informati include anche accettare che le Femministe d'estrema parte sono una minoranza, che non tutte ricorrono ad azioni estreme o irrispettose nei confronti degli altri, tanto quanto non tutti gli uomini cercano o desiderano di stuprare una donna, o mancano di rispetto a colleghe di lavoro e partner. Non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, ma serve ammettere che le eccezioni esistono. E purtroppo, la bilancia è squilibrata dalla parte della casistica negativa al maschile. Ciò non toglie che esistano i casi di violenza da donne verso uomini, ci mancherebbe. Potete trovare degli esperimenti sociali su Youtube, a riguardo.
In ogni caso, la realtà mostra ancora una netta disparità tra i due sessi. Il fatto che esista ancora il femminismo ne è una comprova. Non si tratta di moda (sul movimento anti-F, invece, ho le mie riserve), ma di far luce su quanta strada ancora rimanga da percorrere per ottenere una parità di diritti, per poter arrivare a parlare non più di donne e uomini, ma di individui. E ciò vale anche per le distinzioni che vengono fatte verso altri gruppi o "categorie", sia per questioni identitarie, fisiche o di posizione sociale (soprattutto a fronte della crisi).
Se esistono le leggi per proteggere o, come ama rimarcare qualcuno, "prediligere" le donne o determinati gruppi sociali, è perchè la parità non è ancora raggiunta e serve stimolarla. Ciò non vuol dire dover fare a meno di determinati doveri perchè "sei/sono donna", penalizzando invece le categorie maschili. Il vittimismo e la deresponsabilizzazione sono altrettanto nocivi. Serve un operato che vada a pari passo con lo sviluppo di politiche paritarie, sotto tutti i punti di vista, con un'attenzione particolare a non esacerbare ulteriormente la comprensione reciproca tra uomini, donne, cittadini in generale per mezzo dei ben noti e ormai vuoti stereotipi.
Ma siccome, ormai, è mezzanotte passata e i miei argomenti scarseggiano a quest'ora, lascerò che la foto parli da sè e che eventuali dubbi da parte di lettori o simili vengano chiariti in seguito, con una discussione (mi auguro) sufficientemente matura per condividere delle opinioni.
A voi.
"You have to liberate yourself. You have to do the work; no-one else can do it for you." (Goenka)


sabato 31 maggio 2014

MemoryTraining - Chapter #4: Memory is a tricky thing

(sì, da molto non scrivo, ma sorvoliamo i soliti preamboli)
Image by Madeleine

La Memoria è un fattore problematico, sopratutto se si parla di definirne una collettiva o pubblica.

Tra le prime impressioni che ho avuto, arrivata in Germania, me ne ricordo una precisa, che si è installata nella mia testa quasi fosse un preconcetto. Stando ad essa, i Tedeschi parevano avere seri problemi con tutto ciò che potesse concernere la Seconda Guerra Mondiale, il regime Nazista e compagnia.

Sì, mi sto addentrando in un ambito molto discusso, ma è da parecchio che pondero in merito. Insomma, mettetevi nei miei panni, prima analizzo le questioni identitarie e l'idea di "Guilt" nell'immaginario Giapponese, poi mi trovo catapultata in una Nazione che pare avere simili problemi. Non potevo resistere ancora a lungo.
Quale modo migliore per parlare della questione Memoria di per sé, se non sfruttando questa bellissima collana di Memory Training?

Gli indizi che mi hanno portato a simili considerazioni, nei primi mesi di permanenza ad Heidelberg, sono stati molteplici: Propensione ad evitare discussioni in merito, anche tra studenti (che si spera abbiano un minimo di dimestichezza nel trattare tematiche dubbie); assenza di letteratura specifica in lingua dalle Librerie pubbliche; strutturazione delle sezioni storiche nei Musei o nelle esposizioni in modo da lasciare il periodo bellico sempre un po' opaco.
Certo, questi sono casi abbastanza peculiari, su cui forse mi sono istintivamente voluta concentrare - chiamiamola deformazione personale, mi piace trovare argomenti scottanti nella maggior parte dei contesti possibili, mi stimolano a pensare.
E' vero che pronunciare ad alta voce il nome di Hitler, anche in una conversazione del tutto obiettiva, può far girare tutte le persone circostanti con uno sguardo a metà tra preoccupazione e stupore (tanto che anche scriverlo mi pare un mezzo taboo). Come è vero che la struttura gerarchica stabilita nel periodo Nazista è ancora sottesa nell'assetto istituzionale, in particolare nel sistema scolastico e burocratico - ci sono tutt'oggi tracce e residui dei regimi anche in Italia, Giappone e Spagna, se è per questo.
Vogliamo poi considerare i consensi che sta mobilitando il Partito Neonazista, negli ultimi anni, arrivando anche a vincere un seggio alle Europee?
Ci sarebbero svariati argomenti da citare, a sostegno della tesi secondo cui "I Tedeschi non sono cambiati". Più o meno gli stessi riportati in superficie dal film "L'Onda", nel quale un ragazzo afferma che ormai la Germania ha imparato dal proprio passato, giusto prima che il gruppo sull'Autocrazia di cui fa parte degeneri e confuti una simile affermazione.

Un dubbio, tuttavia, mi si è insinuato col tempo: certo, i crimini compiuti nella Seconda Guerra sono palesi a tutti ormai, ma è necessario continuare a identificare i Tedeschi sempre e solo con questa fase storica? Può essere definito un atteggiamento corretto nei confronti delle ultime generazioni o, in generale, di una Nazione che per la maggior parte sta tentando di fare ammenda da quasi settant'anni?
Cosa è diventata la Memoria per il tedesco medio?

I primi sintomi di questa riflessione sono emersi grazie alla tendenza fastidiosa di certi buontemponi locali nello schernire l'Italia secondo vecchi e tediosi stereotipi.
Io e la mia precedente coinquilina, ancora a Novembre, siamo capitate in RufTaxi con un paio di tedeschi che avevano alzato abbondantemente il gomito nel bere e il cui linguaggio era talmente strascicato da capirci ben poco. Al nostro "Non vi capiamo più, parlate in inglese almeno" e all'affermazione distratta del "No, non siamo inglesi, siamo italiane", la risposta ci ha basito alquanto.
"Ah, venite dall'Italia? Ahah, Berlusconi, Mussolini!!"
Al che, mentalmente, stava scattando la risposta istintiva del "Da che pulpito", trattenuta per evitare stilettate nei calcagni. Rimuginandoci sopra più tardi, mi veniva da pensare, tra me e me: Ma ti pare che un Paese si debba identificare solo tramite esponenti che hanno fatto parlare di sé?
Poi, una lampadina. La stessa domanda era applicabile alla Germania stessa. Tutti avrebbero continuato a vederla sotto una determinata luce, sempre e comunque, almeno in Europa.
Non vi dico la confusione e il groviglio di idee nella testa.
Negazionismo, elisione di dettagli scomodi, stereotipi e colpe.
In tutto ciò, la Memoria pareva sottoposta a un doppio trattamento
Da un lato, c'era la ripetizione spasmodica, tipo mantra, di tutte le macchie che avevano segnato la coscienza collettiva: monumenti, memoriali, libri di testo, Musei specializzati; mesi di istruzione scolastica su cosa sia successo e su come i tedeschi debbano prendersi le proprie responsabilità, fin dalla prima infanzia; targhette in ogni angolo della Germania, da Berlino ai paesi più sparuti, davanti alle case in cui un tempo abitavano persone morte nei campi di concentramento, perlopiù Ebree.
Dall'altro, la superficialità data dall'evitare semplicemente di citare temi anche remotamente collegati alla questione, sorvolando, non parlandone, perchè tanto se ne creerebbero problemi e basta - un'autocensura, se vogliamo darle un nome.
Caso a parte è la minoranza nazionalista, sopravvissuta alla purga ideologica, sulla quale non mi voglio soffermare.

Ecco. Ora come ora, direi che il peso della Memoria è consistente. La sua interpretazione però è molto distressed, tirata e sformata della sua consistenza ideale, in certi casi perfino esasperata.
In questi mesi, ho saggiato il terreno più volte, per capire a chi potevo chiedere un approfondimento in merito. Siamo in Germania, suvvia, parliamo coi diretti interessati.
Facile a dirsi, un po' meno a farsi. Perché in questo insieme di impressioni temi anche di offendere determinati individui, se "pretendi" di conoscere la loro percezione in merito. Una volta mi hanno risposto piuttosto male, con un "Non può andare in giro a fare queste domande!".
Però non demordo facilmente. Ho trovato persone più disponibili, entro l'ambito accademico. E ho avuto dei riscontri molto interessanti. Una volta, c'è stata una chiacchierata in amicizia con un professore brasiliano e dei compagni di corso tedeschi, mentre prendevamo qualcosa al bar, a degna conclusione del semestre.
L'argomento è semplicemente emerso, senza attriti o che. Il corso trattava il Buddhismo nel Giappone degli ultimi secoli, passando anche per la fase Totalitarista.
Ricordo quel che disse una ragazza.
"Voglio dire, è normale che si debba ricordare, è da una vita che ci sentiamo ripetere quanto sia importante ricordare. Ma io, io in quanto persona, lì non c'ero. Perchè mi devo sentire vincolata e colpevolizzata? Quanto tempo sarà passato, sei-sette decadi? La memoria è un conto, ma chi vive ora dovrebbe avere il diritto di poter andare avanti senza un'etichetta derivata da una responsabilità vecchia di quattro generazioni."
I contenuti erano circa questi, il tono totalmente privo di risentimento. Una considerazione pura e semplice, data da una persona estranea al negazionismo, molto diretta e disponibile, che conosce bene la realtà in cui vive e che è stanca di avere a che fare con vecchi sentimenti.
Si potrebbe ribattere, questo è sicuro. Ma si potrebbe anche mettere in discussione la propria visione delle cose, visto che siamo nel terzo millennio e dovremmo aver imparato qualcosa a riguardo della dialettica (giusto un po'), anche se certi elementi tendono a dimenticarsela.
A supporto di questa personale reinterpretazione della Memoria, ci sono state altre persone. Tra di esse una compagna di corso, qualche settimana fa, con cui mi sono persa a chiacchierare del più e del meno, dopo una lezione riguardante il fattore Memoria per il Giappone, messo a confronto con Germania e Italia.
"Non è facile spostarsi per il mondo e trovarsi a nascondere quanto più a lungo possibile il fatto che sei Tedesca. Mi piace qui, si vive abbastanza bene e c'è libertà di espressione. Dover fare a meno della mia identità perchè altrimenti partono tutta una serie di stereotipi è frustrante. Sono la prima a condannare quello che è successo, la mia famiglia ha perso dei membri durante gli anni del Nazismo, ritenuti oppositori politici o magari in ottimi rapporti con persone di origine Ebraica. E sono d'accordo con il prendersi le proprie responsabilità e tutto, ma non è ora di andare avanti?"
Siamo andate avanti parecchio con i discorsi, declinandoli anche al caso Nipponico e Italiano.
Non potevo darle torto. Anche perchè, per quanto in Italia ci sia stata la resistenza, la collaborazione con gli Alleati post '43 e corollari, gli Italiani stessi detengono una buona dose di responsabilità a loro volta, per motivi simili. Dalla nostra prospettiva, si dovrebbe capire cosa comportano certe azioni. Ed è giusto che se ne faccia Memoria, nel limite dell'umano.
Quando la Memoria pregiudica l'autoaffermazione dell'individuo in quanto tale, però, forse diventa un problema. Nella stessa posizione, personalmente reagirei allo stesso modo. Parlerei e discuterei apertamente di quel che è successo, ma allo stesso tempo mi verrebbe spontaneo cercare un modo per liberarmi del peso dato dalla coscienza collettiva, per vivere secondo i miei principi, rispondendo di quello che compio.

Insomma, una questione decisamente contorta e ben palese nella realtà tedesca. Non si sa dove sbattere la testa, non si sa se siamo in grado o nella posizione di giudicare; non si sa nemmeno in che modo si dovrebbe distribuire la colpa o dove la si dovrebbe andare a cercare nella società di oggi.
Forse, il guilt è diventato talmente abitudinario da essere assunto come prerogativa del vivere, in stile Protestante?
Chissà.

For sure, Memory still is a tricky matter.

sabato 29 marzo 2014

100 books to read in a lifetime - The Big Read

Ok. Ho interrotto la produzione di Post.
Mea culpa, mea maxima culpa.
E ancor più colpevole potrei essere per riprendere la scrittura con un articolo del genere.
Però ultimamente sto scrivendo e leggendo molto poco, se si escludono i paper e i testi accademici. Quindi, trovarmi davanti la lista dei Must della letteratura stilata dalla BBC mi ha dato da pensare. Sinceramente l'avevo già vista ed è molto probabile che sia una versione rivisitata appositamente per il web, o per questo genere di giochetto per social network, visto che l'indagine della BBC era meno definita e più ampia.
Ma non importa, per ridare un po' di vita al blog e una certa curiosità a me stessa, procediamo.

Sono segnati in grassetto i libri da me letti e quelli che non ho finito sono invece in corsivo.
Alla fine il risultato. Ci terrei a precisare che molti di quelli non segnati sono nella mia infinita lista d'attesa, sotto la categoria "da leggere". Come svariati di quelli non finiti.
Ecco.

1 Orgoglio e Pregiudizio – Jane Austen
2 Il Signore degli Anelli – J.R.R. Tolkien
3 Il Profeta – Kahlil Gibran
4 Harry Potter – JK Rowling
5 Se questo è un uomo – Primo Levi
6 La Bibbia
7 Cime Tempestose – Emily Bronte
8 1984 – George Orwell
9 I Promessi Sposi – Alessandro Manzoni
10 La Divina Commedia – Dante Alighieri
11 Piccole Donne – Louisa M Alcott
12 Lessico Familiare – Natalia Ginzburg
13 Comma 22 – Joseph Heller
14. L’opera completa di Shakespeare (e adesso, tutta tutta??)
15 Il Giardino dei Finzi Contini – Giorgio Bassani
16 Lo Hobbit – JRR Tolkien
17 Il Nome della Rosa – Umberto Eco
18 Il Gattopardo – Tommasi di Lampedusa
19 Il Processo – Franz Kafka
20 Le Affinità Elettive – Goethe
21 Via col Vento – Margaret Mitchell
22 Il Grande Gatsby – F. Scott Fitzgerald
23 Bleak House – Charles Dickens
24 Guerra e Pace – Leo Tolstoy
25 Guida Galattica per Autostoppisti – Douglas Adams
26 Brideshead Revisited – Evelyn Waugh
27 Delitto e Castigo – Fyodor Dostoyevsky
28 Odissea – Omero
29 Alice nel Paese delle Meraviglie – Lewis Carroll
30 L’insostenibile leggerezza dell’essere – Milan Kundera
31 Anna Karenina – Leo Tolstoj
32 David Copperfield – Charles Dickens
33 Le Cronache di Narnia – CS Lewis
34 Emma – Jane Austen
35 Cuore – Edmondo de Amicis
36 La Coscienza di Zeno – Italo Svevo
37 Il Cacciatore di Aquiloni – Khaled Hosseini
38 Il Mandolino del Capitano Corelli – Louis De Berniere
39 Memorie di una Geisha – Arthur Golden
40 Winnie the Pooh – AA Milne
41 La Fattoria degli Animali – George Orwell
42 Il Codice da Vinci – Dan Brown
43 Cento Anni di Solitudine – Gabriel Garcia Marquez
44 Il Barone Rampante – Italo Calvino
45 Gli Indifferenti – Alberto Moravia
46 Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar
47 I Malavoglia – Giovanni Verga
48 Il Fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello
49 Il Signore delle Mosche – William Golding
50 Cristo si è fermato ad Eboli – Carlo Levi
51 Vita di Pi – Yann Martel
52 Il Vecchio e il Mare – Ernest Hemingway
53 Don Chisciotte della Mancia – Cervantes
54 I Dolori del Giovane Werther – J. W. Goethe
55 Le Avventure di Pinocchio – Collodi
56 L’ombra del vento – Carlos Ruiz Zafon
57 Siddharta – Hermann Hesse
58 Il mondo nuovo – Aldous Huxley
59 Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte – Mark Haddon
60 L’Amore ai Tempi del Colera – Gabriel Garcia Marquez
61 Uomini e topi – John Steinbeck
62 Lolita – Vladimir Nabokov
63 Il Commissario Maigret – George Simenon
64 Amabili resti – Alice Sebold
65 Il Conte di Monte Cristo – Alexandre Dumas
66 Sulla Strada – Jack Kerouac
67 La luna e i Falò – Cesare Pavese
68 Il Diario di Bridget Jones – Helen Fielding
69 I figli della mezzanotte – Salman Rushdie
70 Moby Dick – Herman Melville
71 Oliver Twist – Charles Dickens
72 Dracula – Bram Stoker
73 Tre Uomini in Barca – Jerome K. Jerome
74 Notes From A Small Island – Bill Bryson
75 Ulisse – James Joyce
76 I Buddenbroock – Thomas Mann
77 Il buio oltre la siepe – Harper Lee
78 Germinale – Emile Zola
79 La fiera delle vanità – William Makepeace Thackeray
80 Possession – AS Byatt
81 A Christmas Carol – Charles Dickens
82 Il Ritratto di Dorian Gray – Oscar Wilde
83 Il Colore Viola – Alice Walker
84 Quel che resta del giorno – Kazuo Ishiguro
85 Madame Bovary – Gustave Flaubert
86 A Fine Balance – Rohinton Mistry
87 Charlotte’s Web – EB White
88 Il Rosso e il Nero – Stendhal
89 Le Avventure di Sherlock Holmes – Sir Arthur Conan Doyle
90 The Faraway Tree Collection – Enid Blyton
91 Cuore di tenebra – Joseph Conrad
92 Il Piccolo Principe– Antoine De Saint-Exupery
93 The Wasp Factory – Iain Banks
94 Niente di nuovo sul fronte occidentale – Remarque
95 Un Uomo – Oriana Fallaci
96 Il Giovane Holden – Salinger
97 I Tre Moschettieri – Alexandre Dumas
98 Amleto– William Shakespeare
99 La fabbrica di cioccolato – Roald Dahl
100 I Miserabili – Victor Hugo

RESULTS:
- Letti 33/100
- Non finiti 18/100

domenica 2 febbraio 2014

MemoryTraining - Chapter #3: Never-made Travels (or at least, not yet)

Image by Alex Vakulenko
Sono una di quelle persone che adora pianificare. Soprattutto viaggi, possibili o meno.
In realtà, il più delle volte si tratta di mete o percorsi perfettamente fattibili, con un po' di fortuna (in questo caso, monetaria). E sì, so che la carenza di finanze viene annoverata come una delle scuse utilizzate più di frequente per rifiutarsi di viaggiare o per fingere di desiderarlo, mentre invece fa più piacere immaginare le cose rispetto all'agire. Ma nel mio caso ci sono state davvero cause di forza maggiore, che non potevo bypassare.
Ciò non significa che mi sia astenuta dal fare progetti.
I progetti possono sempre essere ripresi in un secondo momento ed è molto probabile che si realizzino in periodi più propizi, soprattutto qualora almeno uno sia già andato a buon fine.
Nel mio caso, questo "uno" è stato il tour dell'Irlanda che ho organizzato nel 2008 con una carissima amica, incontrata nella verde isola due anni prima, giusto in occasione dei miei 18 anni.
Come si dice, le propensioni si scoprono in giovane età e ritengo, nonostante le mie mete siano finora state limitate da molteplici fattori, di essere della tipologia più portata ai viaggi.
Ma torniamo alla pianificazione.

Quando parlo di organizzare un viaggio, non intendo solo con filmini mentali o con pure fantasie. Di norma, prendo in mano tutti gli strumenti possibili e immaginabili perché tal viaggio sia decisamente realizzabile.
Internet è uno splendido strumento, a tal proposito, sempre più rifornito. Partendo dalle informazioni che si trovano online, spulciando un po' ovunque, dall'ultimo dei blogger non calcolati da nessuno ai siti di recensioni su questa o quell'altra meta, si riesce a intuire dove passare e dove non passare, cosa vedere, cosa è meglio prendere in considerazione e cosa no.

Ho iniziato con il viaggio in Irlanda, con quattro punti focali: Cork, Galway, Sligo e Dublino. Già il successivo inverno ero alle prese con altre macchinazioni, ispirata dal fervore di quell'anno.
Piccolo dettaglio: avevo appena iniziato l'ultimo anno di liceo, quindi non è stata una grande idea decidere di tentare un viaggio con duplice meta in due diverse nazioni europee per il ponte del 25 Aprile. Soprattutto considerato che a inizio marzo sarei dovuta partire per la famigerata gita di quinta superiore, da tradizione all'estero, Praga nel nostro caso. Splendida città, ma ovviamente per motivi finanziari e scolastici non potevo azzardare un'ulteriore peregrinazione di quattro giorni di lì a un mese; specie se l'intenzione era di partire da Milano, volare a Dublino, rimanerci fino a un altro volo per Madrid e poi rientrare giusto in tempo per arrivare la mattina del Lunedì a scuola.
Siamone convinte, pure. Il punto è che l'avevo seriamente ritenuto fattibile, avevo esaminato tutte le variabili, visto gli ostelli, le loro dislocazioni, calcolato le tempistiche, il treno che mi avrebbe portato fino a Milano e poi a Linate, il fatto che a Temple Bar quella sera ci fosse un Live importante e a Madrid, un paio di giorni dopo, un Festival di primavera. Tutto, davvero.
Image by Lina Linnarsson
Voglio dire, va bene lasciarsi andare all'immaginazione, ma qua si va leggermente oltre. E quello è stato solo l'inizio. Da allora, periodicamente ho bisogno di pensare a quando-come-dove potrei partire, da sola o in compagnia. Sono stata in grado di coinvolgere anche mia madre, una volta, nell'entusiasmo di un'offerta per San Patrizio 2010 in Irlanda. Ovviamente, una delle cose andate a buon fine, visto quanto entrambe eravamo propense a tale idea. In dieci ore, da quando avevo visto l'offerta a quando ho confermato la prenotazione, ho segnato tutto quello che avrei potuto mostrare a mia madre, quando e dove ci saremmo incontrate con l'amica sopra citata (anche lei coinvolta nel raptus viaggiante), ho trovato un ostello in un quartiere appartato e ho visto tutti i programmi per i festeggiamenti di San Patrizio di quell'anno.
Da allora, i miei piani si sono difficilmente realizzati.
Chiariamo una cosa, ciò non vuol dire che non abbia viaggiato. C'è una sostanziale differenza tra il viaggio organizzato da una compagnia e quello che tu riesci a crearti con milioni di appunti sparsi per sette diverse agende, valanghe di post-it e pagine su pagine consultate online. Il programma che riesco a preparare con le mie sole forze ha tutta un'altra sensazione, nonostante non possa dire di non aver adorato le due tappe extra-continentali a Shanghai e Rio. Sono state esperienze uniche nel loro genere e, dopotutto, sento di essermele guadagnate grazie a certe personali capacità.

Però questa cosa del fare, prendere e partire mi è mancata. Ho cercato di consolarmi con l'esplorazione della nostra cara Italia, con qualche tappa (Bologna, Udine, Padova, Milano, Roma), rendendomi conto tuttavia di quante città, ancora, mi restino da scoprire nel nostro territorio.
Per deformazione personale, mi sono voluta documentare su un possibile tour in Giappone, nel caso fossi mai riuscita a vincere un bando Overseas per trascorrerci almeno un semestre di studi - cosa che l'Università non mi ha concesso per motivi che non voglio analizzare. Città e villaggi segnati, Festival stagionali messi in evidenza, costi, trasporti, tappe e periodi.
A capodanno 2011-'12 ero sul punto di partire per Lisbona con un'amica. Mi ero già immaginata cosa avremmo potuto fare, all'avventura. Non potendoci più andare, ho voluto buttarmi su un piano che mi avrebbe portato a Copenhagen, con visita di un paio di giorni per poi salpare alla volta delle coste Svedesi, fare un tragitto in bus e raggiungere Stoccolma.
Dopodichè ho iniziato a vagliare le opzioni per un mega-viaggio post Lauream, sulle tracce della Via della Seta: percorso europeo o percorso intero, dove passare, da sola o in compagnia, i visti, i cambi. Un viaggio che, fosse l'ultima cosa che faccio, in qualche modo realizzerò.
Alle soglie del 2013, tuttavia, il mio spirito organizzativo si è ammosciato. C'era Rio, come possibilità ancora non certa, ma anche si fosse realizzata (come poi è stato), alla logistica ci avrebbe pensato qualcun altro.

Poi è subentrata l'esperienza Erasmus, che nonostante sia tutt'altra cosa ha fatto riemergere l'urgenza di muoversi. Piena di paure, da un certo punto di vista, perchè mai prima d'ora ero stata tanto a lungo per conto mio, ma è una di quelle transizioni che ti fanno le ossa.
Ho approfittato della permanenza in Germania per permettermi il lusso di girare, sempre al risparmio. Da Heidelberg e Mannheim a Stoccarda, Esslingen, Karlsruhe, Francoforte (che ho visto solo di sfuggita, grazie alla Fiera Internazionale del Libro).
Tra due settimane, con una piccola compagnia d'italiani, partirò alla volta di una cinque giorni divisa tra Amburgo e Berlino, finalmente un viaggio creato da noi stessi per il quale, manco a dirlo, sono oltremodo gasata.

Tutti.
Sono tutti itinerari che prima o poi percorrerò, è una promessa a me stessa.
Tra gli altri, si possono annoverare un viaggio in Transiberiana, verso Vladivostok, dopo un accurato tour dell'Europa Orientale; senza scordare l'Orient Express, tra Vienna, Budapest e Bucarest. In previsione della Giornata Mondiale della Gioventù 2016, a Cracovia, c'è un certo percorso che vorrei compiere, prima di incontrare la moltitudine di giovani già in fibrillazione.
Senza considerare gli altri continenti, perché altrimenti non finisco più.
C'è un piacere insito a questo continuo fissare nuove mete. Non credo, al momento, che ci siano posti in cui non desideri andare.
Prendetemi un punto a caso nel globo. Possiamo iniziare a parlarne.

sabato 1 febbraio 2014

MemoryTraining - Chapter #2: Being Italians

Image by Giorgio Ghezzi

C'è una caratteristica insita dell'essere italiani: trovarsi. Ovunque, comunque.
E se anche, rimanendo nel Bel Paese (ora più che mai in senso Dantesco), vi venga il dubbio di dovervi vergognare del vostro luogo di provenienza, una volta all'estero, preparatevi a riconsiderare le vostre valutazioni, almeno un po'.

Non lo nego, siamo una popolazione alla quale sono state attribuite valanghe di stereotipi, positivi e negativi, oltre che a volte decisamente romanzati.
Ad esempio, abbiamo fama di essere una specie di modello Orso Abbracciatutti, cosa che spinge qualsiasi sconosciuto ad avere una confidenza immediata nei nostri confronti, completa di baci e abbracci - se siete come la sottoscritta non è l'approccio più appropriato (andiamo, do I even know you?? Nooon si tocca!), ma fa comunque intendere che partiamo con una marcia in più in molteplici occasioni. A parte con chi ci detesta a prescindere per la nostra nazionalità, ovviamente, cosa che - ahimè! - può capitare anche a noi, per i più svariati motivi.
In mezzo ai vari apprezzamenti, ci sono ovviamente tutti quelli riferiti all'arte, alla cultura, alla buona cucina e alla moda, ovvero tutta una dimensione estetico-gastronomica che può mettere in difficoltà l'interlocutore internazionale. Mi è capitato di avere a che fare con ragazzi ai fornelli, messi in soggezione dal fatto di dover servire da mangiare a un gruppo di italiani: sarà anche stata una mia impressione, ma c'era un certo nervosismo nell'aria, che mi ha fatto sorridere non poco, soprattutto considerato che sono di poche pretese, quando mi viene offerto qualcosa. Sì, amo la buona cucina e sì, sono convinta che lo stile Mediterraneo sia quello che preferisco, ma andiamo! Un po' di varietà non guasta, soprattutto fuori porta. Dicasi spirito di adattamento. Bene, mi è pure venuto appetito, ora.

Sto un tantinello deviando dal leitmotiv. O forse è solo un'impressione. Ma tornando al punto (se mai ce n'è stato uno)...
Il fattore stereotipi, siano essi culturali, comportamentali o accademici (sì, pure questi e meno negativi di quanto si possa immaginare), ha grande eco non soltanto con persone di altra nazionalità, ma con gli stessi connazionali - o nella maggior parte dei casi, i loro "derivati".
Un italiano in viaggio o in situazione di fresco trasferimento all'estero ha un'altissima probabilità di incontrare le seguenti tipologie di individui:
  1. altri Italiani residenti/dislocati temporaneamente all'estero;
  2. persone che parlano correntemente italiano, anche straniere;
  3. gente che è passata in Italia, che ci ha vissuto o viaggiato più volte;
  4. figli di famiglie italiane trasferitesi da decenni, stranieri di seconda generazione.
Queste quattro categorie se la giocano praticamente alla pari, variando a seconda dello Stato in cui ci si trova. Personalmente, ho avuto modo di trovare almeno uno dei punti sopra citati in ogni luogo che ho visitato. Ogni. Singolo. Posto.
Al che, se anche io avessi mai avuto in mente di staccarmi dal mio Paese Natio in modo drastico, mi troverei nella condizione di rinunciare a prescindere.
Image by Alina Deacu
L'Italiano, l'Italianità è ovunque.
Ma proprio ovunque, eh, partendo dalle persone incontrate alla fermata dell'autobus, per poi andare a trovare, all'angolo del borghetto sparuto in cui siete capitati, un localino che fa una pizza meno buona di quella di casa, ma pur sempre "Al cigno" o "Da Mario" si chiama.
Dall'Italia non si sfugge, ti ritrova ovunque tu sia, in molteplici forme.
Se negli ultimi anni sono i Cinesi a spargersi per il mondo a macchia d'olio, per chiari motivi numerici, un ruolo simile è stato ricoperto a suo tempo da noialtri, c'è poco da fare. Gli effetti sono palesi tutt'ora.

Tornando all'elenco di prima, pensiamo un po' all'incontro con la tipologia 1 e la tipologia 4. Entrambe, rendendosi conto di essere davanti a un connazionale, diventano improvvisamente e splendidamente disponibili, curiose come falene davanti a uno spettacolo pirotecnico.
Nel primo caso, c'è quel momento di reciproco studio, una manciata di secondi in cui si appura in silenzio di essere proprio voi, sì, siete italiani entrambi e tra tutta la gente che c'avevate attorno, avete finito con l'incontrarvi.
*momento suspence*
E via di stramazzi, risate e "Ma tu da dove sei?", "Ma va!", "E ti pare che io a Timbuctu vada a trovarmi proprio un Italiano!". Eccetera.
Di norma, a me parte un filmino mentale nel quale i due imitano una corsa sulla spiaggia al rallentatore, tipica dei film sentimentali, per poi finire con l'abbracciarsi manco si conoscessero da sempre. O, se meno touchy, scambiarsi una stretta di mano/pacca sulla spalla con annesso sorriso complice, ma questi sono dettagli.
In stile, facciamoci riconoscere.

Se valutiamo invece il quarto caso, l'italiano di seconda generazione ha spesso ereditato un senso di nostalgia consistente nei confronti della terra di provenienza dei propri genitori, dove molto probabilmente hanno ancora parenti.
Questi sono in grado di riconoscere la vostra sfumatura d'accento, che stiate parlando con l'autista di un autobus per chiedere informazioni o che ordiniate un caffè al bar. Illuminati, quasi folgorati sulla via di Damasco, non vedono più altri che voi, raccontandovi di come sognino di tornare nello Stivale per studio o lavoro.
Siete in una pista da ballo affollatissima, vi sentono scambiare due parole in italiano e subito vi fermano, occhi sbarrati e sbrilluccicosi. Proprio voi in tutta la massa di gente, è un segno.
E ancora, camminate tranquilli con un gruppo di amici in una strada metropolitana, un ciclista in senso inverso vi osserva, inchioda e con un sorriso a trentadue denti vi fa notare come ambedue i suoi genitori fossero italiani, "Padova e Potenza, sì?". Una chiacchierata di mezzora, tentando di coprire i rumori del traffico.
Sì, è affetto puro, non c'è da sbagliarsi.

Allora, forse davvero la nostra reputazione è da rivalutare.
Ci sarà anche una triste parentesi politica (altro punto noto tra gli stereotipi), il pessimo status economico e l'insicurezza su tutto quanto rappresenti la parola "Futuro", che quando pronunciata ad alta voce per le vie di una qualsiasi delle nostre cittadelle funge da spauracchio come pochi.
Ma ciò non vuol dire che l'Italiano all'estero non si faccia notare per adattabilità, openmindness e duttilità, abilità che riscopriamo nostre solo quando messi alla prova, come qualsiasi essere umano.
Ci troviamo. In tutti i sensi che questa parola possa avere, all'estero troviamo il significato della parola "altro", troviamo persone con radici simili alle nostre, ma soprattutto ritroviamo un'identità sana, mutata, che ci fa star bene con noi stessi, restituendoci quella condizione di obiettività che permette di rientrare in gioco.

Chissà, magari se tutti gli italiani medi passassero di regola un periodo all'estero, avremmo già imparato a ristrutturarci.
Con calma, impareremo.
Ci troveremo, anche in quell'insieme geografico che non sempre riusciamo a definire casa.
That's being italians. (or, at least, should be)

giovedì 23 gennaio 2014

MemoryTraining - Chapter #01: L'uomo delle noccioline

Fare da portinai ha sempre qualche vantaggio, checché la categoria lavorativa in questione possa subire l'ironia della gente.
Ci sono porte grandi, porte piccole; anonime porte di condomini, porticine variopinte in casette a schiera su modello nordeuropeo; porte del seminterrato, portoni da garage. In qualche parte di mondo, le porte ci sono e non ci sono, con un concetto relativo di spazio e dimensione privata.
Image by Kristin614

Cosa c'entra con il MemoryTraining? C'entra, c'entra.
E con l'Erasmus? Ben poco, ma come ho detto ci sono alcuni arretrati con diritto di precedenza.
Un po' di pazienza, è il flusso di memoria.

Dicevo, i portinai. Hanno un compito gratificante, per quanto riguarda la comunicazione, ma al contempo ingrato, se si bada a dover tener fuori chi è da tener fuori - non sempre un affare facile da sbrigare.

Immaginatevi di essere sulla soglia di uno di quei grandi portoni in ferro battuto, riverniciato per bene con doppia mano di verde bottiglia, che delimita il confine tra il marciapiede di una via minore in una comune metropoli e un cortile di un collegio scolastico - svuotato degli ordinari studenti e riempito di gente all'opera per gruppi che vanno e vengono. Viavai.
Fuori, passanti curiosi come Tangare, messi in fibrillazione dalle variazioni nel loro ambiente abituale.
Bene. Piazzatevi a fare da portinaio qui. Meno restrizioni in entrata, un puro e semplice ruolo interattivo. Semplice, beh, insomma. Ad interpretazione. Aggiungete la vostra incapacità comunicativa, con una differenza di lingua madre e carenza di basi idiomatiche locali.
Mettersi a fugare dubbi e a rispondere a domande in questo contesto è una sfida interessante. Con un po' d'impegno, portinai miei, potreste trovarvi gratificati.
Da che? Ci impariamo la lingua?
Meglio.
Incontriamo personaggi di spicco in borghese senza saperlo?
Meglio, meglio.
Noccioline.
Che?!
Noccioline, sì. Il classico contentino per riempire i buchi nello stomaco.
L'uomo delle noccioline sgranocchia tutto serio davanti a voi, senza far emergere emozioni particolari, oltre a una certa voglia di far passare la noia. Almeno, a voi pare di intravedere una cosa simile sotto la pelle grinzosa. L'intonazione un po' strascicata non vi fa capire tutto quello che dice, imbrogliando l'intuito interpretativo. Cerca di aiutarvi una donnina che lo conosce, con fare paziente più verso lui.
In mano ha un sacchettino di noccioline sudamericane di quelli che paiono presi a sbafo da qualche frigo bar, piccolo, carta blu lucida e stropicciata.
Dopo qualche sbuffo e alcuni discorsi che riuscite a capire solo per un quinto, al massimo due, fa gesto di allungare la mano. Ingenuamente, imitate il movimento senza capire, realizzando a fatica anche quando vi ci versa parte del contenuto del sacchettino. Tentate di dire che non serve, ma un verso dell'uomo vi fa intuire che non le rivuole, quindi ringraziate e sgranocchiate pure voi, mentre lui si siede su una sedia a caso, che avevate messo a tenere il portone e a supporto vostro per gli attimi di moria.
Mentre condividete il premio inatteso con un collega e vi accingete a dare un paio di informazioni a due giovani in cerca di altri, non lo perdete di vista, più incuriositi degli autoctoni. Eppure, quando questo svuota ufficialmente il resto delle noccioline in mano vostra e del collega, manco vi siete resi conto che s'era alzato.
Non si capisce bene come comunichi. Sarà che le noccioline v'hanno traviato e, nonostante siano decisamente salate, addolcito, ma in fondo vi sta simpatico, brontolii e companatico inclusi.
Magari sarà superfluo, incidentale, eccetera. Intanto, l'Uomo delle Noccioline c'è.

MemoryTraining - Chapter #00 (Pilot): Chi&Come

Image by Street_Spirit

Avrei dovuto iniziare a scrivere un diario di Viaggio dall’inizio, mica a quasi quattro mesi da quando sono all’estero.
È una questione di correttezza cronistica e umana. Chiariamoci, non è un obbligo morale o un sommesso tentativo di autocelebrazione, non credo arriverei a tanto. Dovrei sapere assumere toni epici, il che esula vagamente dalle mie competenze. In ogni caso, da quando è iniziato questo capitolo di vita avrei dovuto attribuire il valore adeguato a certi suoi aspetti e a determinate persone.
Cercherò di rimediare.
Non credo sia il caso di fare lunghe descrizioni prolisse di eventi accaduti, anche perché da un certo punto di vista dovrebbe vigere la regola del “Quel che avviene in Erasmus, resta in Erasmus” (le balle, sto raccontando alcuni dettagli vari et eventuali, a chi sa come chiederli). Sì, un Fight Club modalità studentesca che poggia su enormi stereotipi, talmente fantasmagorici che sfidano l’abilità immaginativa dei più azzardati utopisti (con certe basi, quello è da ammettere).
Mi piacerebbe che però la categoria di post che mi accingo a lanciare non si limiti a quest’esperienza. Ho molte cose in arretrato, relative a viaggi e non, che non ho mai diffuso a dovere.
Ci sono persone e fatti che caratterizzano i momenti della nostra vita, i quali possono rientrare nella nostra sfera personale come anche essere semplicemente persone di passaggio, punti di contatto, fraintendimenti, attimi di confusione, soggetti nei quali si individua una linea comune alla nostra, che si perdono di vista in un batter d’occhio, nell’unica intersezione che le linee temporali reciproche possano avere.
Ecco, di questo vorrei parlare. Non sembra molto chiaro, forse. Spero di dissolvere un po’ di dubbi.
Dopotutto, delle pietre vanno pur posate, anche tornando indietro con la memoria. Un valido esercizio per chi, come me, a volte rifiuta di ricordare perché troppo pigro.

E non lasciamola scappare, ‘sta ispirazione.