venerdì 30 novembre 2012

Taking a manners' course, maybe?

(Nota: scritto in treno, sul blocco note, con l'aria condizionata. Fredda. Con 8 gradi fuori. Mmmaporcap...aletta)

L'Università è un locus amoenus, per discussioni e companatico. La norma è che si propongano argomentazioni di classe riguardo a questo o quel tema; si tratta di una basilare esperienza democratica necessaria, utile a farsi largo nel mondo sia che il topic verta sui comportamenti sociali, su un'espressione qualunque, un problema economico o che altro.
Ripeto, democratica.

Image by Kertong
('sti gatti che si azzittiscono l'un l'altro mi ammansiscono) 
Premetto che io sono parecchio restia ad accendermi troppo in luogo pubblico, principalmente perchè sono reduce da scontri casalinghi in cui do il peggio di me. Indi per cui, normalmente risulto piuttosto remissiva e poco incline ad esprimermi del tutto. Nel caso in cui intenda spiegarmi meglio, tento un approccio diplomatico e/o civile, in linguaggio e atteggiamenti.
Io rispetto la tua opinione a prescindere, finché tu rispetti la mia. Dopo, non assicuro.


Quindi, mi iniziano a girare le ovaie se mi si para davanti qualcuno che palesa una presa di posizione che di civile ha ben poco oppure parla sopra ad altri. Figurarsi qualcuno con un modo di fare che ha del supponente e manco mi conosce.
Cosa sono io, cacca?
Una cosa è essere onesti e straightforward, senza poterci far nulla, come anche cercare di mediare il discorso dando comunque il proprio parere. Un'altra è fare lo strafottente o mettersi un gradino più sopra degli altri, pur sapendo di remare sulla stessa nave.

Dillo, che vuoi che ti perseguiti.
Dillo, che vuoi i sorci verdi.
Oh, se te li faccio vedere! Ma in modo più civile, tesoro, perché il mio peggio l'ho già dato. Anche se un giro di boxe me lo farei.

Fasssssstidio.

Nota: Senza scordare che negli ultimi dì ho avuto a che fare con così tanto maschilismo da averne la nausea. Ma questo credo sia un altro discorso.

lunedì 26 novembre 2012

Morfeo, gli osservatori Latino-americani e 'sto maledetto mese

Nel corso di un Novembre che si sta rivelando alquanto insidioso, riemergo, finalmente riemergo con un post!
Voglio esordire asserendo e dichiarando ivi stante che ho sonno. Ma non il "oh, si fa sera, mi devo alzar presto, Morfeo cullami" genere di sonno. Piuttosto direi la stanchezza derivata dall'aver dormito poco e male, con una giornatina che doveva essere a base di lezione + studiostudiostudio, con previsione di - ve lo immaginereste mai? - quattro lezioni e ancora studio il dì a seguire. Da uscir di casa alle 6.30 e rientrare alle 21.30, Trenitalia permettendo.
Martedì nero. Odio i martedì. E i lunedì, per principio.

Image by Paci.Mau
Oggi inoltre sono stata partecipe di taluni peculiari avvenimenti. In primis, al momento di prendere borsa, cappotto e companatico per migrare da tale amata biblioteca, son stata talmente rimbecillita da aver completamente scordato sopra il tavolo da studio il dizionario elettronico (pagato fior di soldini, N.d.me), altrimenti noto come "ancora di salvezza per orientalisti". Assenza di cui mi son resa conto quando il treno era a Mestre. Fortuna ha voluto che una mia amica fosse ancora là in giro per recuperare il wasuremono, non senza un attributo a me rivolto che ora non rammento (ma la cui natura dimostra il suo affetto per moi, ovviamente).

L'epopea via rotaie nel frattempo è proseguita.
Serve fare una premessa.
Causa cambio mobilia per le due camere principali nella sezione di casa abitata da fratello&famiglia, siamo tutti accampati allegramente nella zona abitata da me&genitori, di notte qualcuno accampato in sala, qualcuno in cucina, qualcuno nel letto vuoto accanto al mio.
In quest'ultimo, è stato piazzato il nipotoso, giustamente, per ottimizzare gli spazi. Io, quindi, sto affinando le mie tecniche ninja notturne per far meno rumore possibile, al risveglio come al coricarsi. Anche ora, dovrebbe dormire dietro di me, ma presumo mi stia fissando. Ama fissare. Comunque.
Dopo il mio rientro a casa ad un orario decente (mezzanotte?) e le mie funamboliche acrobazie organizzative pro combo notte + mattina-da-sveglia-con-le-galline, quando finalmente mi sono adagiata sul cuscino tanto adorato, il pargolo ha deciso in primis di fissarmi mezzo intontito (crede che non me ne sia accorta), per poi ripiombare tra le braccia del dio del sonno con russatine e tossicchiare da mezzo-raffreddato.
Va beh, ci può stare. Son abituata quando dormo con mamma.
Nell'istante migliore per dormire, ormai in salvo da fissaggi e raschi di gola, stavo per dar l'ultimo sbadiglio che accompagna il dormiveglia pre-nanna quando il nipote decide di mangiare.
Proprio così. Senza cibo nè nulla, eh, ma con masticazione, salivazione, deglutizione e tutto il corollario, roba che neanche i versi di cortesia tradizionale giapponese. Un concerto da far saltare i nervi. E via così per non so quanto, facendomi restar sveglia più del dovuto.
Dopodichè, cessata la cacofonia, devo aver atteso un po' e poi dormito per un paio d'ore.
Alle 3.14 (ho guardato la sveglia), sento un mumbling (in italiano non rende) che mi impedisce di continuare qualsiasi sogno che non avrei mai ricordato. Ho il sonno leggero, sì.
E ovviamente, conclusa la chiacchierata incomprensibile, via di ulteriori scorpacciate d'aria, con digestione decisamente lunga. Ripreso a sonnecchiare malamente dopo un pezzo, di certo non prima delle 4 (altra occhiata disperata alla sveglia).
Giù dalle brande alle 6 meno un quarto.
*mantra* Glivogliobenesonosoloduenottiaaargh *mantra*

Perfetto. Dopo questa tediosa antifona, aggiungo che mi sono appisolata in treno già all'andata, ho rischiato di crollare in classe e in aula studio, muovendomi su e giù per i ponti principalmente per inerzia.
Quindi, mi pare comprensibile che, con il dizionario in mani affidabili e l'ansia svanita, fossi lì lì per scemare pure al ritorno.
A Mestre sono saliti due Latino-americani, da quanto ho percepito Dominicani.
Io me ne sono abbastanza fregata, se devo esser sincera, avevo le cuffie su a un volume moderato - scarsa batteria - e nessuna voglia di intromettermi in discorsi vari.
Difatti non son stata coinvolta direttamente. Tuttavia, nel rintontimento, ho captato diverse frasi con me per soggetto o qualcosa che mi apparteneva come indirizzo dell'attenzione di coppia, in particolare della donna davanti a me. Il tutto in spagnolo.
Ora, d'accordo, si commenta di tutto oggidì, magari non proprio davanti alla persona in questione, se è una benemerita sconosciuta, pur mezza addormentata. Ma il fatto che tu stia parlando in spagnolo non mi impedisce di comprenderti.
Italiano è molto simile a Spagnolo, entiende? *tant'è che diversi anglofoni ci ritengono interscambiabili*
Non mi serve averlo studiato per averne una comprensione base, considerato pure che il dialetto veneto ha molte accezioni che ricordano espressioni ispaniche. Inoltre, ho sempre avuto un orecchio particolare per le lingue europee (modesta), arrivando a capire anche conversazioni semplici in romeno, pur non parlandolo.

Con ciò ovviamente non voglio andar contro a nessuno. Ma a prescindere, le persone che mi prendono spudoratamente ad oggetto di osservazione nei momenti meno opportuni mi stanno sulle balle che non ho. Soprattutto se ti sento, sono qui davanti, porca puttana.
Al che mentalmente mi è partito un dialogo, perché per rispondere o guardar male non avevo nè forza, nè voglia:

- Sì, mi sto appisolando in treno, cara. Sì, si sta discretamente comodi, non ti sembra solo.
- No, non si chiamano Nagaiki questi che ho appesi alle orecchie. Sono orecchini a forma di Onigiri, tesoro, sì. Il Nagaiki credo sia una tecnica di massaggio Shiatsu. Quello che vorrei io ora. No, non mi imbarazzano le mie scelte estetiche, non li porto per far piacere agli altri. E no, col cazzo che puoi scattarci una foto, quasiquasi.
- Sì, ho un cellulare scorrevole, di quelli con la tastierina di cui tu stai imitando il gesto. Se lo vuoi comprare, checosamene? Basta che non approfitti di qualsiasi cosa faccio io.
- No, non devo scendere solo perché ho tirato su la borsa. E' che ci hai cacciato sei o sette volte sopra i tacchi impolverati in modo impietoso e dentro avrei cose che mi servono.
- No, non mi rovino l'udito con le cuffie. Se vuoi prendertele ma hai paura che ti diano fastidio, cacchi tua.

E poi sarei io ad essere fastidiosa.
Acidità poco volatile. Stress. Più o meno come la comitiva logorroica di ritorno dalla Giornata della Laurea.
No, ora un esempio è lecito:

- Papà, ma dai che devi passare a Vodafone che è vantaggioso, dai che devi passare, devi passare ti dico, ma sai che ti conviene, è davvero vantaggioso, ti conviene, costa poco, poco eh, ci sono anche io, dai passa, papà, cosa aspetti, passa che poi ti conviene di più... *etcetc, sempre uguale + sorella a dare manforte*
(conversazione di una neo-laureata, evidentemente lesa, farei notare)

Questo solo l'inizio. Io e i miei abbiamo appurato come fosse l'intera famiglia così - buon sangue, deh - il che ci è valso un tragitto in compagnia di quindici persone che hanno passato il tempo continuando a ripetere le stesse cose, le stesse, incessanti, inutili, velleitarissime (si dirà?) cose, da bocche diverse. Commentando che:
"Sì, stiamo passando questa stazione, ma abbiamo già passato questa stazione? si che abbiamo passato questa stazione! Ma no, che questa stazione non è quella prima, ma quella che era prima l'abbiamo già passata? Ma no che non abbiamo passato quella prima! allora non siamo a questa stazione, siamo a quella stazione. Ma quand'è che arriviamo a quella stazione? la stazione era diversa! ma è quello che le fa tutte? ma per tutte intendono tuttetutte? Ma tutte tutte tutte significa tutte anche quelle che tutte non sembrano? ma tutte tutte tutte significa che salta le principali? ma se le fa tuttetuttetutte.."

Crissssstoforo Colombo, gioca ad Angry Birds sul telefono piuttosto. O dormi come il nonno tuo cerca di fare ogni volta che gli rompi le balle, pur vedendo che è esausto.
Sono io? Sono io ad essere sbagliata?? No, ditemelo, vi prego. Sono stressante pure io, quando mi ci metto, ma non credo a tal punto così... Così.
Perchè? 


P.S.: tanto per ridere, domenica ho un esame di certificazione linguistica che probabilmente cannerò. Sì, di domenica. All'Una. Sono Pazzi, Questi Giapponesi.

sabato 10 novembre 2012

Dottoreggiando

Come far avvenire cose spiacevoli e insperate, parallelamente e/o al contempo?
Semplice. Iscrivetevi all'Università.

Sarò essenziale - davvero davvero, giuro - e andrò dritta agli avvenimenti.


Due giorni fa: Annuncio di possibile errore nel voto, di cui al post precedente, dovuto a una sbagliata comunicazione a monte dalla segreteria alla relatrice del massimo punteggio di tesi (che ovviamente ha coinvolto tuttituttitutti i suoi tutorati) + correzione verbale da un'insegnante giustamente alterata con suddetta segreteria + assenza comunicativa con gli studenti, che fanno tam-tam informativo tra loro per rendersi partecipi a vicenda dei lieti 3 punti mancanti in arrivo

Ieri: Staffetta tra segreterie + conferma del voto modificato, 102/110 al posto di 99 + conferma dei miei conti corretti e dell'evidente confusione mentale dei vari segretari nel dirmi cose strane e paranormali riguardo alla mia media e all'inventarsi punteggi

Oggi: Giorno della Laurea in Piazza San Marco, con previsioni burrascose ma tempo che ha retto, oltre a due mie piante podaliche provate da un azzardo taccoso + la voce suadente che ci annuncia + il Piero, perchè ormai lo si chiama con confidenza + commozioni varie, sotto molteplici prospettive psico-fisiche

Stasera: Pasticcini a sorpresa + bimbi + relacccs con "Yes Man" (niente male) + varie ed eventuali che è preferibile non considerare + #pensierofisso: "Un giorno. Solo un giorno, chiedevo."

Punto. Stop.
Fine.
Davvero.
Ma in ogni caso...
Viva noi!

giovedì 25 ottobre 2012

Brubabbaluppratt

Sì. Un mese e mezzo che non scrivo. Pazienza, ho altro a cui pensare. Se è per questo, è altrettanto che non sforno un video. A questo rimedio appena mi vien voglia di aprire un programma di editing non collaborante con il montaggio.
E inizio il post con un neologismo spuntato dalla cacofonia di voci del delirio puerile-nipotale. 

Ora.
Pensiamo.
Perchè oggi evidentemente non mi son già spremuta abbastanza le meningi - deve essere così, il mio QI deve alzarsi per comprendere i ragionamenti reconditi dietro questo.

Obiettivamente, 99 su 110 è un bel voto. In una scala decimale, corrisponde a un 9 spaccato. Su 100, a un 90, se la matematica non è un'opinione come Ca' Foscari crede. Stando tuttavia al periodo ipotetico appena puntato, mi girano un tantino le balle.
Secondo la Venetiarum Universitas, un 25,5 abbondante di media viene arrotondato per difetto.
Difetto.
D i f e t t o.
A parte che a prescindere una media ponderata non dovrebbe essere riportata in centodecimi con arrotondamenti. Secondo tale illustre logica, un 25 vale 91 punti, mentre un 26 ne vale 95.
Che i numeri 92, 93 e 94 vadano a cercarsi un altro lavoro precario, tanto sono inutili.
In ogni caso, se arrotondi, lo fai come siora Matematica comanda. Ovvero, le cifre con un 5 decimale abbondante (tendente al 6) vanno verso l'alto. Non puoi arrotondare solo a chi ha un 8 o un 9, pure storcendo il naso. Non puoi. Questo vuol dire voler solo incassare più soldi per evitare di far sconti di tasse dal 100 in su. Basta.
Ergo, mi sono trovata con un 91 immeritato. Più 2 di bonus, graziaddio. E 6 pieni di tesi, che vuol dire che forse - ma forse appena - il mazzo me lo son fatto comunque.

Non impreco solo perché sono stata occupata a tirar giù di tutto nel resto della giornata. In quanto, dato che ancora non l'ho detto, questa è stata solo la ciliegina. 
In realtà, la nottata-mattinata pareva essere iniziata bene.
Beata positività notturna.

Ero appena rientrata da una serata fuori - nonché dalla visione del film Hunger, che pur nell'intensità di trama e tematiche direi proprio che merita. Mi sono resa conto, appena rientrata, di esser rimasta con 5 euro in portafoglio. Quello era tutto l'ammontare delle mie finanze, letteralmente. Non ho un libretto bancario, non ho più soldi in prepagata, non ho nulla, fondamentalmente, se non vado a domandare ai miei. Che comunque non disturbo, visto che a giorni stanno peggio di me.
Comunque, fresca di ritorno, guardo la mail per controllare che un paio di cose siano arrivate. E mi trovo un messaggio dal responsabile per il team di volontari alla GMG 2013 di Rio de Janeiro.
Parentesi: Io alcuni mesi fa ho compilato il modulo di richiesta, convinta di mettermi in gioco pur con vaghissime speranze di uscirne selezionata. Ma pareva che le spese fossero a carico totale dell'organizzazione, quindi perchè non dare una chance a tutto?
Conclusione: Mi hanno effettivamente selezionata.
Esatto.
Ho la possibilità di andare come volontaria internazionale alla GMG di Rio. Per due settimane. Ma le spese coprono solo gli spostamenti, il vitto e l'alloggio in loco. Ad arrivare lì e al Kit del Volontario ci devo pensare io. Illusa, sono andata a dormire più contenta che altro.
Di nuovo sobria, nella mia veste quotidiana, mi sono resa conto del fatto che io non ho un soldo e che posso chiedere meno di zero ai miei, contate le tasse universitarie - più il fondo Giappone che fatica enormemente a venir fuori.
Obiettivo: trovare una cassaforte zeppa di quattrini. Perché deve esistere, da qualche parte, abbandonata in mio nome.

Aggiungiamo a questo anche qualche genialata del prof di strategic management - sì, corso in inglese; sì, essendo linguisti ci piglia per mezzi scemi e sì, accento inglese suo moooolto maccheronico.
Per lui, si può fare un progetto da esporre in gruppetti di 2-3 persone, oralmente, che pur non essendo obbligatorio è caldamente consigliato per tentare di raggiungere i voti dal 27 in su. E sinceramente, questo io lo vedo obbligatorio. Ma comunque, prima tale individuo ci dà tutto il tempo del mondo per organizzarci, dandoci spunti di analisi e di creazione dei contenuti indicativi. Poi, a man bassa, proprio oggi che io manco dice che le slides non modificabili dei progetti vanno inviate entro il 6 novembre.
Sei. Novembre.
Una settimana e mezza. Dieci giorni. Con un mezzo ponte e due weekend in mezzo, più corollari vari di impegni.
Oh, se vuole farsi voler male, oh, se è sadomaso!
In più, anche se ne aveva già accennato, annuncia un recupero triplo dalle 10.30 alle 15.30 questo sabato.
Sabato.
La logistica ha deliberato che Ca' Foscari farà qualsivogliaciccibiricoccola recupero il Sabato.
No, ma io non avevo impegni, eh. E manco fossero stati impegni leggeri- uno era per finire di organizzare il gruppo per le ragazze scatenate di domenica, che dovrò pure tenere da sola (aiuto, aiutoaiuto); uno per andare a trovare mia cugina rientrata dall'ospedale, con prospettive poco carine.
Più da qualche parte dovrei infilarci lo studio. E il sottotitolaggio "semi-professionale" richiesto da un'altra lezione.
Innanzitutto lo studio, visto che tra un mese ho un test di certificazione linguistica che è una bestia nera.
Ma è solo un pensiero.

Io...Io...Io...
AArrgh! *pffft*
Vado a lavarmi. Almeno non puzzerò.

mercoledì 12 settembre 2012

Fratture

Quando ci riferiamo alle relazioni umane, spesso la terminologia medica torna utile.
Chiariamoci, io l'ho sempre detestata. Ciò non esclude che io possa apprezzare chi riesce ad averci a che fare; diciamo solo che esiste un'incompatibilità latente tra me e l'anatomia umana.
In ogni caso, è palese che determinate espressioni derivate dalla medicina siano nel linguaggio di tutti i giorni, anche perché ci sono continui parallelismi soprattutto tra le menomazioni della società e quelle dell'uomo - che sia il termine più corretto, poi?

Ad esempio, "influenza" è una parola valida sia per il ben noto virus invernale, sia per l'effetto contagioso di una cosa su un'altra. Ecco, nella mia frase emerge pure "contagio".
Quindi, non c'è da stupirsi che "frattura" venga usato non solo quando un osso va a rompersi, per i più svariati motivi - da una caduta in sessione d'allenamento a una carica di fan accaniti dell'ultimo idolo adolescenziale. Esiste anche come rottura di un qualche solido, oppure nella separazione di un dittongo - detta anche "frangimento", in tal caso (vi prego, fermatemi prima che continui).

image by Jrtippins
Se devo essere onesta, nessuna di queste interpretazioni - difetto da linguista incluso - ha a che fare con la prima cosa su cui si concentra la mia testa se penso alla parola frattura.
Subentra la mia concezione psicologica umana, in questo caso. Se dico "frattura", penso a quando una persona è danneggiata, dal di dentro; mi viene in mente il rumore che un'ipotetica lampadina nella nostra testa, sottoposta a una carica troppo forte di energia, possa produrre in uno scoppio. Focalizzo la dimensione emotiva di una rottura, definitiva o meno, in un rapporto tra due o più persone.
Non sempre ne individuo la causa. Innanzitutto, perché è difficilmente chiaro da dove sia partita la crepa decisiva che inizia a far crollare in pezzi la struttura. In secondo luogo, perché a un certo punto scatta un meccanismo automatico di difesa - soprattutto se la frattura mi coinvolge personalmente - grazie al quale prendo a ignorare la situazione.

Ovviamente, fa parte dell'incostanza umana arrivare a troncare certe relazioni, sia con un atto volontario che anche no. Se parliamo d'essere scostanti, isso la mia bandiera, giusto per far notare quanto sia il mio campo d'azione - o meglio, più che altro di non azione. Vengono a mancare la voglia di fare, la forza di mantenere e curare le cose/persone incluse nella nostra sfera e, ultima ma non meno importante, il senso del portare avanti certi legami di fronte ad apparenti ostacoli fastidiosi.
Di certo, è una cosa meschina. Ma non lo è anche, forse, finire a un certo punto col domandarsi: "Perché frequento ancora questa persona, se a stento riesco ad ascoltare ciò che dice e a malapena ci parliamo?"

Trovandomi nella situazione di non poter più raggiungere una persona come vorrei, perlopiù sentendomi messa volutamente in disparte di fronte ad altri, l'istinto mi dice di ritirarmi. Faccio di tutto per tornare nel mio bozzolo, attendendo qualche rapporto più sano. Di certo, non è un processo facile, ma di fronte a fratture palesi e difficilmente sanabili è la cosa migliore da ambo i lati.
La parte più complessa del tutto è convincere il mio io emozionale in proposito, senza mandarlo a male.

Mi sembra di essere sempre più cinica.
Posso affermare con abbastanza sicurezza, tuttavia, che la responsabilità non è solo mia. In gran parte, certo, lo è. Ma una grossa porzione va mandata a certi individui di mia conoscenza.
Spero solo se la godano senza tante storie.

venerdì 31 agosto 2012

Inconsapevolezze Aliene

Onde evitare dubbi, non credo agli Ufo.
Il termine "Alieno" è di matrice latina (straniero, estraneo, di altri) e determina qualcosa a noi esterno, l'altro in senso lato. Alieno è chi non rientra nella nostra sfera personale. Alieno è il diverso. Alieno svolge il ruolo di aggettivo o di sostantivo, sia scritto semplicemente così, che con la desinenza "-zione".
(*Disattivazione Modalità Linguista*)

Diamoci una regolata. Sì, dico a te, mio caro Difetto Professionale. Sto perdendo il filo, per colpa tua.
Dicevo, il titolo non c'entra assolutamente un tubo con l'argomento che balugina nella mia testa, anche perché sarebbe stupido parlare di un argomento che non ritengo sia un problema. Cionondimeno, non diate per scontato che io parli di un problema solo perché l'ho detto nella frase precedente. Né che non debba per forza farlo.
Mi sto incasinando da sola, sì. Non mi piace avere urla di bambini per tutta la casa, è una condizione che incide non poco sulla mia coerenza esplicativa. Come penso capiti a chiunque.
Ergo, ignorate le precedenti righe.
Definizione di Alieno a parte, se non vi secca.

Image by milk.milk
Credo fosse Marx ad aver nominato l'Alienazione umana, in ambito lavorativo. Ma siccome ora come ora non ricordo granché delle classi di Filosofia fatte durante il liceo (credo di avere un buco nero, nell'archivio mentale), non vedo perché dovrei tirarlo in ballo.
Dopotutto, non devo nemmeno approfondire le tematiche "lavoro" o "società".
La mia è una questione molto, molto più personale.

Per riprendere il solito fattore Studio - nel caso non si sia ancora capito quanto mi stia a cuore in questi giorni - si stanno verificando circostanze curiose, entro le pareti cerebrali.
Ho iniziato prima di quanto abbia mai fatto, con ripasso, schemi, colloqui da me stessa a me stessa simulando esami orali che mai si verificheranno in maniera così spigliata. Diciamo pure che è più di un mese che sto dietro a tutto. Sono riuscita a mettermi per almeno due ore sui libri anche a ferragosto - sono stata parecchio produttiva, in quei giorni.
Il problema - sì, avevo già intenzione di parlare di un problema - è iniziato ad emergere all'alba della scorsa settimana. Meno due settimane agli esami. Il comune animale universitario, in tale familiare habitat, ci darebbe dentro con lo studio. Io ho principiato invece una lenta, inesorabile discesa. Non sono mai riuscita a studiare per più di quattro, cinque ore al giorno. Per i miei standard, è poco. Soprattutto visto che ci sono sul piatto due esami pesanti e in svolgimento nelle medesime date: suicidio puro, mai più ridursi così - Last Famous Words, già fatto lo stesso l'anno scorso, due volte, con lo stesso proposito di irripetibilità.
Cosa intendo, con tutto ciò?
Le nozioni ci sono. Ho visto almeno una volta, se non più, ogni argomento trattabile, eccetto un paio di discorsi da orale che posso mettere su in cinque minuti (e che quindi, giustamente, saranno piazzati all'ultimo). Vedo le cose e so che ci sono, archiviate da qualche parte. Solo che non mi pare siano mie.
Riesco a riconoscere tutto, ma non a essere la persona che sa.
Oh cielo, non lo so spiegare meglio. Pare quasi mi stia alienando dalla mia testa. Sono qui, ma sono altrove. Penso a tutto e nulla. Avrò guardato chissà quante volte i fogli sparsi sulla mia scrivania. Negli ultimi giorni sono stata su una media di ore che oscilla dalle due alle tre. Facezie, quisquilie e pinzillacchere.
Non servono a far nulla, eppure non riesco ad incrementarle. Potrei esservi intenta ora, ma sono alla tastiera.

Oh, io non mi capisco più. Non che sia andata molto bene in precedenza, ma davvero, prima arriva il 6 Settembre, meglio è. Possibilmente con 24 crediti in tasca e una domanda di laurea.
Askarrabbadd.

mercoledì 29 agosto 2012

Archive-mode: ON

Partiamo col dire che mi sono trattenuta, ieri, dallo scrivere. Volevo sfatare il mito del martedì, precedentemente citato.
Indi per cui, procediamo con ciò che si sta sviluppando entro i miei personalissimi e quantomai solitari neuroni, sommersi da un'ondata di piena fatta di kanji e giapponesate varie. O almeno, dovrebbero esserlo.
Ad ognuno capitano periodi NO. Con la enne e la o maiuscole. Quelli in cui non si trova nulla che gira come dovrebbe, umore a parte - il suddetto, di suo, turnica fin troppo.

Esempio pratico: io in questo momento dovrei preparare non uno ma ben due esami di lingua, gli ultimi della triennale. Tali imprese mi vedranno impegnata martedì 4 (e qui spero bene che la produttività del martedì non m'abbandoni) negli scritti, per un totale di 4 ore e mezza consecutive - immaginatevi quanto stia ballonzolando dalla giuoia - , nonché il successivo giorno 5 (salvo prolungamento al 6, Dio non voglia) con gli orali, sperando di aver superato i primi - altrimenti, ciccia.
Ora, l'appello è alle 9 del mattino. Una goduria, considerato che il treno il quale da schedule comunemente dovrebbe arrivare entro un orario decente per portarmi a Venezia è, quasi sempre, in ritardo. Il che, per la sottoscritta, significa, per due mattine consecutive, se non tre, prendere il precedente treno poco dopo le 6, con capolinea a Santa Lucia per le 7.30 circa. Ergo, sveglia come minimo alle ore 4.30 (se non prima), dati i seguenti fattori onnipresenti:
- ansia pre-esame

- studio matto e disperatissimo, ridotto, dell'ultimo minuto, con occhiaie che la depressione del Mar Morto è nulla a confronto

- colazione a tea&coffee (quest'ultimo come new entry universitario-estiva)
- restauro in bagno per poter andare all'appello in condizioni quantomeno definibili come "accettabili", considerato il preesistente Barbon-style tipico da periodo-studio
- rituali di auto-convincimento per sconfiggere la tentazione di tornare ad appallottolarsi sotto le coperte, mandando a fancu a quel paese Università e affini
- recupero dell'auto con concerto di galli ultra-mattinieri e tragitto fin in stazione

Ovviamente, questa è l'opzione con biglietti già acquistati il giorno precedente. Anche perché, con lo sportello non ancora aperto, nonché bar ed edicola chiusi per turno, più controllori di pessimo umore vista la levataccia, sarebbe un azzardo poco intelligente.,
Si capisce che, con questa bella prospettiva, anche le migliori intenzioni finiscano per frantumarsi. Aggiungiamoci anche pensieri d'altra sorta e la preparazione agli esami sarà frammentata peggio del mio sonno sotto stress - ho una media di due-tre ore filate a notte, da aggiungere a svariati dormiveglia.
Io ci sto provando, davvero, a crearmi questo benedetto archivio linguistico. Solo che il mio omino bibliotecario, impiegato per simili faccende nella mia testa, al momento sta smaltendo un folto traffico derivato dall'ambito relazionale. Perché sì, finalmente s'è deciso a eliminare un certo interesse personale con il mega distruggi-documenti *alzerei un corale "Halleluja"*.
Oserei dire che era ora, ma ero pure io a dovergli dare le motivazioni adatte a compiere tale operazione. Quindi me la sono un tantino cercata.
E mentre la mente naviga, saggiando opportunità future ancora incerte, la mia voglia di fare cala drasticamente, in preda a fantasie, ambizioni, progetti, dubbi esistenziali e un qui-pro-quo di immagini.

Ho bisogno di ferie. Ferie vere, però.
Non amo
Chi sono, ciò che sembro. È stato tutto
Un qui pro quo
 {Eugenio Montale, Ossi di Seppia}

martedì 31 luglio 2012

La curiosa produttività del Martedì

Non so se questa cosa sia più curiosa o inquietante.
Gli ultimi cinque... ah, no, con questo sono sei. Gli ultimi sei post di questo blog sono stati scritti di martedì. A intervalli quasi regolari di un mese, eccezion fatta per i due di luglio.
Ok. Certo.

Iiiin ogni caso, vorrei capire perché il martedì mi risulti tanto produttivo. Forse perché negli ultimi anni mi sono abituata a sostenere imponenti esami proprio il secondo giorno della settimana. Forse perché gli orari peggiori e più impegnativi, all'Università come dapprima a Scuola, vengono piazzati il martedì, peggio di un accumulo da pesca di beneficenza.
Non ne ho idea. Fatto sta che è così. Il martedì scrivo, sia via blog che via word. Il martedì giro spesso e volentieri video, che poi ovviamente non ho voglia di montare in giornata. No, non ho relazionato con la mia amata videocamera, oggi. Ma la media d'utilizzo vale comunque. E poi, intendo farlo a breve.
03/30: UK Journals 11 and 12

E sì che non si tratta affatto del mio giorno preferito.
Nel corso delle superiori, andavo a lezione di pianoforte il martedì pomeriggio. Il che, considerando solo il momento in cui eravamo io e il mio insegnante, alle prese con i vari brani studiati nei passati sette giorni, era una gran bella cosa. A disturbarmi erano più una serie di corollari: il fatto di interrompere un pomeriggio stra-pieno, guidare/essere trasportata fino a Oderzo sperando di non fare ritardo come al solito, rimanere invischiata nel traffico, andare in ansia perché sapevo di non aver studiato come Dio comanda. Cose così. Che bastavano per rendermi insopportabile la giornata.
Poi, il giorno dopo era Mercoledì. Che per tre su cinque anni di liceo ha per la maggiore rappresentato sei ore di materie e/o persone sgradevoli, intervallate fortunatamente da gente più accomodante. Conseguenza diretta, o per meglio dire pregressa: valanga di compiti del martedì quasi onnipresente.

Io e il martedì non andiamo d'accordo.
Ma è il giorno prescelto per ospitare gli scritti di Giapponese. Oltre che il mio giorno solitamente più produttivo. Non oggi, si intende, a livello di studio. Le altre settimane sì. Oggi no, oggi indico uno Sciopero del Martedì.
Ah, ecco cos'altro ha il giorno dedicato al Dio della Guerra. I fottutissimi scioperi di Trenitalia che quasi mi fanno mancare gli unici appelli d'esame nel giro di mesi. Mi mancava giusto la chicca.

Perché il Martedì??

Bah. Vai a capire.
Delirio.

martedì 17 luglio 2012

Perceptions

If the doors of perception were cleansed, every thing would appear to man as it is, infinite. {W. Blake} 

Sforzarsi di comprendere l'entità e l'effettività di certe sensazioni consuma molte risorse. Soprattutto se i tentativi si rivelano vani.
Avrete provato, di certo, a sondare il comportamento di qualcuno, nel corso della vostra vita. C'è chi è più portato per questo genere di cose, chi meno. Come anche chi riesce a recepire di più quando i fatti sono riferiti alla propria persona e chi, al contrario, li assimila solo quando avvengono nelle interazioni tra altri.
Teoricamente, io sono più propensa a quest'ultima opzione.
Teoricamente.
Perchè quando inizia a rimescolarsi tutto, a livello intellettivo ed emotivo, certe distinzioni non sono labili. No. Direi piuttosto fatte di una sottilissima pastafrolla, di una specie male amalgamata, che finisce col frantumarsi tutta appena tenti di sollevarla dal piano su cui l'hai stesa. Plafff, e via che si sfracella giù. Senza contare che poi ci si va addosso di mattarello, a sfogare la frustrazione per l'opera non riuscita. Sbam!
- Perdonate la metafora dolciaria, ma ho un bisogno disperato di sweets e non ne ho in casa.
Accettasi donazioni. -
Image by InfuzedMedia

Tornando a noi, la prospettiva varia visibilmente in questi attimi di confusione. O meglio, è già variata a priori tanto da mandare i neuroni in pappa, scatenando una guerra civile intestina al cervello tra istinto e razionalità. Avete capito - se non vi è chiaro, è chiaro lo stesso perchè lo dico io.
Se prima eravamo convinti di poter agire a mente fredda di fronte a determinati avvenimenti, spontanei nella natura delle relazioni umane, quando iniziano a intaccare pericolosamente la nostra sfera personale le variabili cambiano a tal punto da spingere l'irrazionalità all'azione. Fermati, porca paletta!
Con l'interessante risultato che non ci si capisce più una bega. Ma di nulla, neanche di quel che prima si poteva dare per assodato.

In tutto ciò, nel gioco di percezioni che si fa battaglia in noi, mentre sfoggiamo spesso e volentieri un atteggiamento affabile e quanto più privo di ambiguità si riesca davanti al Mondo, ovviamente non siamo soli. Nonnò. Perchè sarebbe troppo facile. Perchè se non intervengono terzi a spappolare quel che rimane delle nostre convinzioni non è divertente.
Siamo in un sistema tremendamente aperto, ormai. Isolarsi non serve a nulla. Certo, se taluni individui si astenessero dal complicare il nostro disperato tentativo di recovering (non mi viene il termine italiano) da tali scioccanti esperienze percettive, non ci lamenteremmo. Sia che lo facciano consciamente, sia che ci cozzino contro in modo involontario. Che poi, per me di volontà ce n'è eccome, sotto sotto. Giù, in fondo. Da qualche parte c'è.
Terroristi emotivi: schiantatevi.


Nonsense?

martedì 29 maggio 2012

Vultures Pret-a-porter, a.k.a. "La Coerenza dello Sciacallo 2.0"

(Titolo ripreso da QUESTO post)

Ebbene, in chiusura dell'ennesima finestra di esami, arrivo anche io a commentare un tema caaaaldo e piuttosto in movimento. Alias, il Terremoto. Già. Fantasia portami via.
Avevo pensato di fare direttamente un video in proposito, ma preferisco scrivere le mie opinioni di getto qui. Nonostante non sappia ancora come esprimermi, in proposito. Credo di avere un po' di idee, in compenso. Sarà un lungo post.

Iniziamo col dire che, per quanto riguarda la sottoscritta, non ho sentito la scossa di stamattina, dalla mia postazione veneta, a differenza di altri miei compaesani. Confido che sia da ringraziare il mio Water, a quanto pare più antisismico di quanto non lo sia stato il letto la mattina del 20. Difatti, nove dì or sono la sottoscritta è balzata in piedi alle 4.04 del mattino convinta di essere preda di allucinazioni da fase Rem, mentre le sponde del mio giaciglio sobbalzavano e oscillavano al ritmo del lampadario - che per cronaca ha smesso di muoversi dopo mezz'ora, per poi farmi da strumento di rilevazione nelle successive tre ore.
Scopro poco fa che il nuovo sisma ha mietuto, purtroppo, nuove vittime in zona Modena, già colpita e messa a dura prova con i danni aggravati. Vedo anche parecchie foto in giro, oltre a innumerevoli status sui vari Social Network di turno. Più i primi articoli, alcuni per il soccorso, alcuni di testate giornalistiche che sfruttano l'informazione online per aggiornarsi più di quanto non farebbero da sole.

Ora, analizziamo i fatti.
La gente si rifugia su Twitter, Facebook ed Instagram per condividere i momenti pre-durante-post terremoto, cercando di approfittare della funzionalità del loro "essere social" per condividere quanto più possibile, fattore di cui come già detto approfittano i giornali per le proprie news "ufficiali".
Scandalo, ridicolo! Ohibò, Repubblica e Corriere pubblicano foto messe a casaccio online da gente che invece di urlare disperata e salvarsi dal cataclisma ha preferito aggiornare gli status e fare foto "artistiche"!
Vi immaginate le polemiche nate riguardo al punto in cui sia arrivata l'influenza delle piattaforme online sul nostro agire? Ne sono nate a go go. Figuriamoci quando qualche buontempone (per evitare di dare altri attributi) ha creduto bene di far del sarcasmo e sfruttare l'onda per pubblicizzarsi. Del tipo "Stanco delle scosse?? Fuggi ai Caraibi, per te oggi prezzi vantaggiosi!", oppure "Vuoi stare in un posto sicuro e da sogno al contempo? Rifugiati dal sisma all'Hotel Babbalopotto, vista mare e solo onde d'acqua!".
Andiamo. Così rendono la critica fin troppo facile, ammettiamolo.
Infatti, in molti abboccano prontamente all'amo, facendo pubblicità - non tanto positiva, ma pur sempre tale - a suddetti enti. Era capitata una cosa del genere anche il 20, con alcuni personaggi noti che avevano fatto battutone piuttosto fuori luogo. Sono provocazioni quasi fatte ad hoc, ma pare che ancora la gente questo non lo colga e preferisca andar dritta per la sua strada.

Perché sì, nel bel mezzo di un'emergenza la prima cosa a cui la gente d'oggi finisce per pensare è darne un riscontro sul web. Tuttavia, reputo insensato indignarsi per una cosa del genere, appigliandosi a questioni che non c'entrano granché con i problemi in atto.
Image by Richard Parker
Infatti, ci sono anche stati blog "d'informazione" - credo, almeno, si definiscano così - che hanno voluto enfatizzare un supposto nonsense in tutto questo meccanismo, arrivando anche a chiedere "Ma che puoi fare condividendo una cosa, renderla virale, farti figo, essere spudoratamente plateale?".
Se dovessi risponder loro personalmente, saprei che dire: certo che sì.
Forse ancora qualcuno non vuole vedere cosa i Social Network sono diventati. Che lo si voglia ammettere o meno, sono la piattaforma di comunicazione futura. Davvero è sbagliato pubblicare una foto delle macerie di un edificio storico crollato? E soprattutto, sbagliato in base a quali parametri, quali modelli, quali opinioni?

La società contemporanea basa una grossa porzione della propria esistenza sui rapporti telematici, questo è un dato di fatto; ciò ha sia risvolti positivi che negativi. Scommetto che di negativi ne potete evidenziare diversi anche da soli, soprattutto dal punto di vista umano e relazionale. Dall'altro lato, abbiamo invece una comunicazione variegata, con moltissime interpretazioni, che pur non essendo mai accurata all'inizio si rende utile sotto molti punti d'osservazione. Internet promuove la libertà espressiva, pur sottoponendola a influenze opinabili, e direi che questo è un grande traguardo per il nuovo millennio, con ampissime possibilità di sviluppo. Grazie ad esso, si può aver accesso a un database immenso di nozioni di qualsiasi genere ed estrazione.
Ciò non vuole assolutamente dire che sia una cosa rosa e fiori, come ogni argomento che vi possa saltare in mente - e come ho già detto - c'è sempre un risvolto della medaglia.

Nel caso specifico del terremoto in Emilia Romagna, con scosse in tutto il Nord, lo Tsunami di post e notizie personali comparsi sul web ha stupito. Non me, ma molti sì.
Io non mi ritengo sorpresa da questo riscontro. Lo dirò senza tanti fronzoli, ho postato anche io degli status sul terremoto, domenica scorsa, appunto perché sono stata colta nel bel mezzo del sonno come molti altri.
Il motivo di tutto ciò?
Si è attivato un meccanismo piuttosto semplice, a mio avviso.
Primo - ondata generale di panico, alimentato dal provare forse per la prima volta qualcosa a noi sconosciuto. Si teme sempre quel che ancora non si conosce, non lo dicono solo nei film.
Secondo - se una persona non è particolarmente ansiosa, una volta passato l'attimo riprende con calma il proprio iter; se invece lo è, il discorso si complica e la ripresa delle attività regolari verrà ritardata.
Terzo - la persona ansiosa finirà con il cercare qualche punto fermo, qualcosa che possa ritenere sicuro e ordinario per dare a sé stessa un sentore di tranquillità, facendo scendere l'agitazione.

Siamo onesti, quale cosa più ordinaria esiste, ormai, che non sia social?
Tutti gli interventi online, fonti ufficiali a parte, hanno costituito un grosso database di persone che cercavano qualcuno con cui condividere le proprie ansie, i propri timori, anche banalizzando o ridicolizzando la cosa. Uscendo per strada, si può ottenere in parte ciò, non dico altrimenti. Ma anche internet è un buon maniglione antipanico.
Il social è familiare, il social è sicurezza. Fa venire i brividi, per un certo verso, ma ahimè, ormai è così.
Esiste tuttavia chi prova appunto a puntare il dito a tutti i costi verso questi eventi, da ritenere secondo lui/lei/loro "scandalosi". La mia domanda è: questi individui credono di essere al di sopra di tutto? Non si rendono conto di far parte loro stessi, così facendo, del giro, soprattutto visto e considerato che per le loro critiche vanno online e sui social stessi? Non pensano così di entrare nella cerchia degli "sciacalli" di turno, come amano definirli? I media sono sciacalli, le persone che scattano foto amatoriali sono sciacalli, la gente che si dispera online fa l'effetto bimbominkia-sciacallo, chi critica senza sapere è sciacallo, il mio vicino mezzo sordo che secondo le statistiche usa internet ma se dico "modem" mi guarda storto è sciacallo...
Tutti canidi, qui.

Loro no, eh. Loro assolutamente mai potrebbero essere tali. Loro si indignano. Loro sono bravi.
Indignati per cosa, per una foto che documenta un fatto di cronaca? Indignati per uno dei sistemi più aperti all'opinione? Perché indignarsi è tanto di moda quanto ormai lo sono i Social, quindi se non ti indigni ti tolgo dai contatti o ti banno dalla pagina?
Siate onesti con voi stessi, amici commentatori, e almeno ammettete di essere un po' incoerenti. Giusto un po'.
In fondo, mi sto aggiungendo anche io alla vostra schiera, quindi vi posso capire.
Ma per favore, fate fare i finti moralisti a qualcun altro.

martedì 24 aprile 2012

Crickets, Cuckoos and all their (sohatefullystillsurviving) friends.

Esistono cose, sulla terra come nella testaccia di ciascuno, sussistenti solo e unicamente per spingere noi poveri cristi all'autodistruzione di ciò che abbiamo creato, come di quel che avremmo intenzione di portare a termine.
Degli esempi validi?
False speranze da chi si crede possa cambiare, mal ripagate. Gente che, nella buona fede di farti sembrare più simpatico, rivela lati di te che ti fanno sentire umiliato. Libri scritti come Dio comanda, coinvolgenti e di successo, che ti fanno venir voglia di cestinare ogni obbrobrio da te prodotto. Studenti che, senza farsi il mazzo, se la cavano alla grande, riuscendo anche a prendere sussidi di ogni tipo e rendendoti impossibile raggiungerli, se non sgobbando dieci volte tanto. Gente che, pur non avendo le capacità, assume ruoli che sarebbero potuti spettare a te. Persone in vita sulle spalle altrui, senza ritegno. La società che non vuole fare certi passi, pur sapendo nell'inconscio che risolverebbero quasi tutti i suoi problemi.

Tutto questo insieme va a incidere sulle tue convinzioni, facendoti sembrare vanesio, sopravvalutare te stesso nel tentativo di rifarti sul mondo che ti circonda, o, alla peggio, rinunciare e mollare tutto.
Ammetto che sono una persona che facilmente si eccita di fronte a delle proposte, ma che poi non le porta sempre a conclusione. Diciamo che attuo un processo di selezione graduale, fin troppo drastico.
Siate onesti, però, non si può far tutto nella vita, neanche volendo. Anche se chi ha le giuste raccomandazioni ne ha i mezzi, finendo a fare anche più del possibile. Senza merito.
Ecco, in questi casi, la cosa migliore è iniziare ad autosoffocarsi col cuscino, per evitare di prorompere in un'immane imprecazione di fronte ai bambini. Di quelle che ti mandano in posti ben poco ameni. Lasciamoli nel mondo delle fiabe, loro, hanno tempo per capire come affrontare l'autarchia degli adulti.
Demotivante. Nemmeno un bel VaffanBip posso dire. Frustrante.
Cerchiamo imperterriti di insistere, va là, che altro non si può fare. Senza svarionare su quello che potremmo far fuori, di nostro e non.
Se non fallisci di tanto in tanto, è segno che non stai facendo niente di davvero innovativo. (Woody Allen)
Ah, Woody, Woody. Speriamo solo sia vero.
A me l'ascia!

martedì 20 marzo 2012

Dear Universe, the whole concept of "sarcasm" should be banned, sometimes

I've been thinking about a couple of things, in the last few days. Nothing special, someone would say, even if those were actually soul-mode-made. (soooo much love for this kind of words)
The most exciting point of this is that even if the majority of them was thought in Italian, right now I feel way better writing in English. You know, there are moments, in every linguist's life, in which you can't carry on speaking in your mother-tongue.
Really, that's simply statistics: you get bored, you need to hang on anything that keeps your brain active, responding to the world trying to confuse it with its unbalance and, as a matter of fact, you end up changing language.

By the way, why, heavenly spirits, did I pop up with such a title??
That's actually the very first sentence that came up to me as I selected the "post" button in Blogger's summary.
It did, certainly, have something to do with my weekend's duties - even if I startled myself, too, as I wrote down this kind of brainy-like aphorism. I'm not actually starting to behave as the-pompous-writer-I-obviously-am-not-and-never-be. Do I?

- As if it wasn't clear,
I hereby declare I will always worship
hyphens and hyphens-related words.
Aww. - 

To be honest, I'm losing grip on today's theme once again. Don't bother, I shall go on. Maybe. Even if I can't be truly reliable on how much it will take to recover from this beginning. But yay, shan't we try? I just want to write something, after all.

Theme. Focus. On. The. Askjbfksdklgattic. Theme. {said her to herself, tilting the head as if something pushed it down}
Sarcasm
The theme was something sarcasm-related. I'm sure of that. I'm right now not quite aware of the content I was about to put in my very personal instance about it, nor I'm aware of why I'm in this world and not in some kind of other parallel Universe, but still.
Oh, yep. Maybe I'm on it. Not sure, but I'll try.
Let's think about it, sarcasm is on our way in any time, any moment, any cantankerous (lovely word) and bilious person we shall meet while walking our path on road's sidewalks. I'm a pretty sarcastic person. But to be real, even the most sardonic individual may be annoyed by the umpteenth "You Don't Say??". Being it in a conversation, being it the new meme on Facebook.

Honestly, I'm the first one to be accused of the massive amount of sarcasm thrown upon people. And things. And Animals. Livings, objects, situations, your mother's eyes like Harry Potter, or even the not-like-his-colour-at-all Lily's eyes in the last movie. Whatever. Anything, really. I can be terribly tiring.
But there are times that's too much even for the stressful young woman I am. Because there are some.. let's call them... "unique", dear people out there, that should ask to Universe, as they wake up "Really, is this the day in which I'll finally be able to recognize when I should talk? I've been sooooo looking forward to it!".
Actually, they don't mean it, it's simply spilled out of their mouths in the worst moment they should take.
Seriously. Thinking about it, it's a Universe's fault, featuring the World with all its things - and, I'd bet, also someone else who decided to have some fun with us, mortals, for a change (really, I believe in You, but.. why??).

The fact is, the fateful - and, if you're lucky, temporary - mediation of one of these Chaos-bringing sarky people may as well ruin your discourse, making you lose your point or, worse, wear off your self-confidence in doing/telling/realizing something you've been considering for a bit.
So, annoying. I know when not to use sarcasm, commonly. Maybe, not sure.
Oh my God, I might myself have been one of those beings.
Too complicated. Why did I even start this thing?
Beats me.

martedì 21 febbraio 2012

Si chiama Mondo (Racconto)


“Grazie della penna. Lei va a Venezia per studio?”
Continuo a stupirmi di come il minimo tragitto possa rivelarsi intenso.
“Dovrebbe fare un viaggio simile. Non è poi impossibile, neanche oggi.”

Ho imprecato, stamattina, in stazione a Milano. Una volta che arrivo a bruciapelo e il treno lascia il binario in anticipo, neanche in orario. Regionali. Dovrei piantarla di meravigliarmi. Non sono Shinkansen giapponesi. Nemmeno ho idea di quando potrò fare davvero il paragone, di questo passo.

“Mio fratello ci ha vissuto un anno, io sei mesi. Ho rinunciato alla scrittura dopo i primi cento kanji. Ma ero scusato. Lei cosa fa?”
Rispondo, cortese. Devo avere un’insegna al neon, sopra la testa. “Orientalista Raccoglitrice di Racconti”.
Attiro chi ha a che fare con l’Asia Orientale, il Giappone, o anche solo con sprazzi di mondo. Il mio interlocutore sgrana gli occhi, ma non perché trovi la cosa strana. Più per affinità. Mi rilasso. Sono abituata ad altre reazioni, meno piacevoli. Vai a capire perché.

“Ho approfondito varie lingue. Il francese, ad esempio. Ha mai sentito di questo libro?”
Per tutto il tragitto, il volume che ho iniziato a leggere rimane a pagina 167, tra Marblehead e Salem, Massachusetts. Quello che l’uomo regge è un libro narrato da un giovane africano, naturalizzato francese. Interessante per il linguaggio, pare. Il fascino di una lingua originale. Non conosco quell’idioma, ma posso capire.

“Sia mia moglie che i miei figli, mio fratello e altri. Un po’ tutti ci siamo mossi in vari paesi.”
Qualcosa stride. Dove sia la famiglia originaria è una cosa che non riesco a definire. Qualcosa di impalpabile, mentre la confidenza del mio sconosciuto, il mio ospite, prosegue. Passiamo Brescia, Verona, Padova. Nei suoi occhi scorrono l’Australia, l’Indonesia, il Sud-est Asiatico risalito in anni incerti. Poi la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti. Non fermiamoci sull’Europa, diamola per assunta. Conosco persone che mai ho incontrato.

“Son finito a lavorare anche a Marghera. Ho smesso da anni. Ora preferirei diventar scrittore.”
Di certo ha di che narrare, penso. Acquisterei un suo libro, se mi ricordassi il cognome. Ma credo lo riconoscerei in ogni caso. Dei racconti di viaggio. Posso dire di avere un grande sunto della sua opera, allora.
“Non intendo fermarmi, se possibile. Mai.”

Una vita in due ore. Non voglio interrompere, su di me minimizzo. Gli imprevisti del mattino sfumano in un bagaglio cosmopolita come pochi. Io sono ferma, seduta in treno. Al contempo, vengo portata all’altro capo del mondo dalle sue parole.

Non ricordo quando l’abbia detto. Di tutti i suoi racconti, ho memorizzato sprazzi. Dovrei imparare a segnarmi subito le cose che lasciano un segno.
“Basta capire che la nostra società, ormai, non è più Italia, Germania o Europa. Oggi si chiama Mondo.”
I miei viaggetti europei vengono ridotti a gite estemporanee, come pure quello a Shanghai. Ma non mi infastidisce. La mia prospettiva si allarga, per empatia e non solo. In fin dei conti, sono io quella grata. Nel pomeriggio andrò alla stanza da tè, a bere qualcosa in suo onore.

Perderei il treno altre cento volte, con un estraneo bardo accanto.

lunedì 20 febbraio 2012

L'insostenibilità della Maschera

Carnevale. Essenzialmente, come idea mi piace - il pensiero di potersi sbizzarrire coi travestimenti, senza il giudizio di nessuno a fissare come un avvoltoio la scena; i colori, la fantasia dilagante; l'eleganza o la stravaganza di certe sfilate o persone.

Si tratta anche di un fattore di comodo, legato al permettersi di lasciar andare parti di sè relegate nel resto dell'anno. Qualcuno potrebbe venirmi a dire che, col subentrare di Halloween, avviene più o meno la stessa cosa. No, nè più, nè meno, in tutta franchezza. Un'occasione o per far emergere goticità latente, o per aggregarsi, o per spendere e approfittarne e basta. Ben lungi dall'origine e dalla festa di Febbraio. Non si può dire che con le modalità carnevalesche di oggi non ci sia un sacco di commercializzazione, dietro. Ma alcuni punti saldi permangono nel tempo, nonostante tutto. Paradossalmente, è più sobrio. Soprattutto se messo a confronto con un San Valentino o con un Halloween (ora che ci penso, pure il Natale non scherza).
Mantiene la variabile umana al di sopra di quella oggettistica.
Qualcuno, Wilde o Nietsche (o era Schopenhauer? non ho voglia di controllare), ha detto che dando una maschera fisica all'uomo egli riesca a diventare davvero sé stesso. L'ho sempre interpretata come un lasciare la maschera quotidiana, impalpabile ma al contempo all'occhio di tutti, per indossare quella fisica, concreta, e tramite essa esprimere il proprio carattere liberamente.
Opinione che non per forza dev'essere condivisa, sia chiaro.

In qualsivoglia maniera, tuttavia, ogni anno da quando ho iniziato a frequentare i corsi a Venezia il Carnevale risulta un evento rompiscatole. Per la folla, ovvio, e anche per via di lezioni onnipresenti nonostante tutto. Invidia, già.
Quest'anno me ne starò beatamente in vacanza pure io, complice un calendario sfiancante ma tattico - tutti i corsi condensati in due giorni, in mezzo alla settimana.
Nel mentre mi crogiolo tra fritture ingrassanti e nullafacenza, mi torna in mente l'epoca dei Saturnali, da associare a un primordio di Carnevale. Presente lo scambio di ruoli tra servo e padrone che si compiva in occasione di un determinato periodo dell'anno, nell'antica Roma? No? Sì che io mica ho fatto il classico.
In ogni caso, per un giorno solo ognuno era giustificato a compiere il totale opposto della propria quotidianità, il servo dirigendo e il padrone prestandosi a umili faccende. Credo che il simbolo di ciò fosse l'indossare dei particolari copricapi, ma non ne sono certa (pure qui non voglio controllare).

Ma tornando alla nostra epoca, nell'andirivieni dalla stazione di Santa Lucia alla sede universitaria, più circondiario, ho notato che in linea di massima si possono individuare alcune specifiche categorie di travestimenti:

  1. Maschere "per bene" - quelle che sembrano appena uscite da una sartoria o da un laboratorio costumista, vedi quelle d'epoca o che riproducono perfettamente un soggetto adattandolo a un corpo. Una delizia per gli occhi.
  2. Maschere "fai-da-te" - chiaramente casalinghe, ma non per questo prive di fantasia e impegno; anzi, forse più riuscite dei costumi da "scena".
  3. Maschere "scialle" - fatte tanto per, vuoi che si tratti solo di una faccia dipinta, di un cappello buffo, una parrucca o una maschera alla "veneziana" (di quelle fatte apposta per comprarsi i turisti) e/o un mantello (pur elaborato, talora).
  4. "Costum-maschere" - Gormiti,Winx, Ben10, insomma quelle schifezzuole là che si fanno mettere ai figli per mancanza di voglia di fargliele (comprate senza tante storie), se non per puro sadismo.
Dopo questo elenco, ci sono anche altri punti da specificare, riguardanti però le persone dietro gli sgarruffamenti vari:
  1. Festosi - sentono l'aria della festa, partecipano, fanno tutto nei canoni stabiliti. Maschera, partecipazione ai carri, foto e via dicendo. Sostanzialmente? Una palla. Ordinari da far schifo.
  2. Esaltati - partecipano perchè è un'occasione ove far casino. Nulla a che vedere con le maschere, solo cose di circostanza. Metterli a spaccar vetrine fa lo stesso.
  3. Cosplay - nel senso vero del termine, non quelli a casaccio. Prendono un personaggio che amano, lo riproducono su di sè e si immedesimano. Spettacolo.
  4. Genitori - salvo incroci con altre categorie d'individui, accompagnano i figli. Punto.
  5. Figli - ci si maschera, si fanno scherzi, si fa casino. Più che sufficiente per convincere un bambino a vestirsi da puzzola. O altro.
  6. Spensierati - li preferisco, insieme ai Cosplay. Si mascherano tramite fai-da-te avanzato, di solito, ed esprimono sè stessi fregandosene dell'altrui opinione. Li potete trovare in gruppetti di Drag Queen, costumi di cartapesta enormi a forma di Sushi, con qualche maschera a ricambio che cantano canzoni tradizionali di non si sa bene quale paese in treno.
  7. Spettatori - fanno quel che fa uno spettatore, che forse non può o non vuole mettersi in maschera. Osservano. Amano osservare.
Lo scorso anno ero alla categoria 7, il martedì grasso. Ho visto un po' di tutto, senza poter, ahimè, intervenire. Questo 2012 temo che farò ben poco, ma pazienza. Darò sfogo in qualche video.
Ancora 32 ore e poi si va in Quaresima.
Selah.

domenica 12 febbraio 2012

Coi palmi sulla roccia umida





Con calma riprendo a scrivere. Credo.
Ma in qualsivoglia modo, lo faccio coi Garbage di sottofondo, anche se non hanno alcun nesso con il momento attuale. Just to make you aware of it.

Mi è capitato, questo pomeriggio, di mettermi a palmi stesi sul pelo dell'acqua presente in vasca - adoro stare a mollo e pensare nel frattempo ai cavoli miei, per quanto assurdi o sconnessi dalla totalità delle riflessioni diurne, sì; ergo meglio il bagno che la doccia.
In ogni caso, l'appoggiare i palmi alla superficie dell'acqua è un atto che mi piace ripetere quando sono nei pressi di un ruscello, del mare, di una fontana (no, non degli abbeveratoi per le vacche in montagna).
Non c'è una ragione precisa del perché lo faccia. In parte perché lascia un senso di distensione e controllo.
Ripetere questo gesto esatto e delicato comporta un fastidio non indifferente quando, per il moto ondoso o il suo scorrere, l'acqua finisce per esondare dall'immaginario limite di pochi millimetri in zona impronte. Non voglio bagnarmi i dorsi, ho appoggiato solo e unicamente i palmi, miseria ladra. Se avessi voluto lavare o intingere le mani, le avrei cacciate sott'acqua.
Snervante, fatto snervante che si ripete. Pare riflettere un nonsisachè più sotto, vai a capire. O meglio, credo anche di aver colto il nesso tra quest'abitudine e il vasto archivio di dati (pieno di ragnatele) nel reparto emozionale del mio cranio. Tuttavia non riesco a delineare cosa, nella fattispecie, stia a simboleggiare l'acqua che straborda.
Sono conscia di quando avvenga, quando qualcosa fuoriesce dalle barriere che credo di aver solide e ferme. Mi infastidisco parecchio, anche, per questo. Ma cosa sia a darmi tanto sui nervi mi è oscuro. O annebbiato. O forse sono io che mi rifiuto di attivare gli antinebbia, chissà.

Quindi, iniziamo a poggiare i palmi su superfici con un velo sottile d'acqua, tipo le rocce umide. Chissà che dai pori filtri l'acqua, assorbita molto lentamente e così assimilata. Certo, le iniezioni funzionerebbero pure meglio, ma sempre acqua è. Poi sono refrattaria agli aghi, se non strettamente necessari - e anche quando lo sono, ad essere onesta.
Sì, inizierò a palmificarmi sulla roccia bagnata.
Intanto, dai Garbage sono arrivata ad Adele.
Frrrrt.

L'acqua fa vivere e tutto dipende dall'acqua.