mercoledì 11 settembre 2013

# Chiamata in Attesa #

Le domande mandano a male la gente.
"Ma allora, ci hai parlato con Lui?"
Certo che ci ho parlato. Non sono andata in Brasile a lavorare, divertirmi e basta.
Il punto è vedere, effettivamente, quando posso agire. Non posso tenere in attesa tanto a lungo un simile richiamo.

Mi rendo conto che il mio essere in viaggio persiste e che difficilmente si esaurirà di qui a breve. Chiariamoci, non che mi dispiaccia avere una vita continuamente orientata al movimento. Dovessi fermarmi del tutto, forse, farei prima a morire. (la drasticità fatta frase, n.d.me - vedi anche il post precedente)
L'unica è abituarsi all'idea. Ho progetti, in testa, sulla cui fattibilità mi interrogo. Eppure, in qualche modo, penso finalmente di aver trovato quelli giusti. Dovrò cambiare, per attuarli, cambiare non poco.
Il primo passo si compie con questo anno accademico agli albori, mentre ancora tento di concludere degnamente una sessione finora insoddisfacente. Sia che mi laurei entro il 2014, sia che finisca nel 2015, a tutti gli effetti è l'ultimo anno di studi. Non mi piace l'idea di una carriera accademica, non fa per me. In fondo, ritengo sia piuttosto improbabile che mi venga anche solo proposta da qualcuno, tanto ne sono distante.

Image by Wesley Martinez
Dopo l'esame di venerdì 13 (amo questa data), non avrò a che fare con Ca' Foscari che per questioni burocratiche, un paio d'esami da non frequentante che darò tra un anno e qualche lezione di sfuggita prima della partenza. Sto salutando persone che hanno costituito la mia normalità, nella vita quotidiana e negli ultimi quattro anni. Di questi, chi va oltreoceano, chi lascia, chi si trasferisce per studio in altri luoghi, differenti dalla mia meta.
Il 30 settembre, ufficialmente, partirò per la Germania.
Il mio anno sabbatico.
Per un'espressione simile, non intendo affatto il "tutto pacchia, niente studio" a cui di solito viene associato l'Erasmus dai più. Mi riferisco a un anno in cui il mio obiettivo sarà l'assimilazione di due o più lingue, il raffronto con un diverso ambiente e il tentativo di sopravvivere con le mie forze (e, ahimè, le finanze ancora non del tutto mie).
Niente impegni particolari pregressi, niente associazioni, niente compagnie note, niente di niente.
Altolà! Non vado in clausura, sia chiaro. Vado solo a modificare fortemente il mio stile di vita, si vedrà poi se in maniera temporanea o decisiva. Io, dal mio canto, spero proprio di trovare quell'autonomia e quel distacco da cose e persone di cui ho bisogno, per capire cosa fare di me appena dovrò tornare in patria.
Soprattutto, l'intenzione è di scoprire la strada più adatta per compiere quello che ho in mente, senza danneggiare nessuno, senza più trovarsi a chiedere sostentamento perché questo mondo mi chiede di investire monetariamente sul mio futuro, se voglio anche solo nutrire la speranza di averne uno.

Idee. Quelle cose su cui mi mettono sempre più in guardia i "grandi", perché continuare a illudersi fa male e presto qualche ginocchiata sulla schiena mi arriverà, con il peso della realtà.
Idee. Ce ne sono a iosa, tutte orientate verso un punto preciso.
Ci arriverò. Non so come, non so quando; ma confido che ci arriverò.
E tirerò su quella cornetta.

venerdì 12 luglio 2013

In Viaggio

Presumibilmente, questo è un blog bipolare.
Come il canale video. Va e viene così, a ispirazione. Ma dopotutto, non penso proprio che scrivere debba essere una cosa forzata. Non sono una scrittrice, ne ho avuto la comprova pochi giorni fa davanti a una persona dalla fantasia encomiabile, in grado di creare storie dal nulla in tempi stretti. Io non ne sono in grado. Vado a tratti. Talora mi sfogo per ore, stendendo e correggendo brani, racconti, poesie, robe non altrimenti meglio definibili. Altre volte passano mesi tra una fase di creatività e l'altra.

Morale: non pubblicherò mai nulla, se non mi viene assegnato.
Ragion per cui tesi e ricerche per esami non mi spaventano affatto. Sono parecchio indietro con una tesina da preparare per un esame opzionale, da non frequentante, sul tema del razzismo trans-pacifico tra USA e Giappone. So cosa fare, ma aspetto, sapendo di produrre al meglio quando avrò la mente più libera. Il 13 settembre è ancora distante.
Idem con patate e rucola per un saggio/racconto/concorso svolto il 1° luglio: mi sono presentata a Venezia, sotto antibiotici e in vista di ben due partenze nel giro di dieci giorni per svolgere un tema di matrice Erasmus, solo per competere a livello nazionale con chissà quanti altri pretendenti delle due borse di studio da 500 euro. Il tutto senza preparazione alcuna, senza dizionario, senza alba di possibili tracce subodorate. Così, all'acqua di rose. Finendo poi per scrivere un racconto.

Fatico a capirmi, in senso lato.
Fatico a capire perché a casa non mi sento più a casa.
Fatico a capire perché dico di amare la lettura e la scrittura se, ora come ora, sono fattori parecchio messi al patibolo nel mio immaginario personale.
Fatico a rendermi conto di essere una persona ufficialmente in viaggio, che si sente più a suo agio e più presa in considerazione in ogni luogo tranne che dov'è sempre stata.


Sto notando che, appena prima di partire, non ho il senso della partenza, almeno non in modo così accentuato e non negli ultimi tempi. Ero eccitata all'idea di partire per Shanghai, tre anni fa (oh cielo, son già tre anni), come lo ero prima di tornare in Irlanda per San Patrizio, sempre nel 2010.
Più o meno è da allora che non mi muovo all'estero, escludendo brevi tappe in Slovenia-Austria, alle quali però posso dire di essere in qualche modo abituata. Tagliamo fuori anche quelle due volte che ho accompagnato o sono andata a prendere mia cognata e i bambini in Germania.
Gli ultimi tre anni sono rimasta qui, perdendo come non mai il senso dell'altro. Non dello "straniero" e basta, chiariamoci. Dell'Altro, quello con la A maiuscola. Mi sono man mano atrofizzata nelle relazioni.
Non fosse stato per alcune parentesi che mi hanno smossa, sarei totalmente apatica, a forza di soffocare emozioni non corrisposte o tentativi di approccio verso un qualsiasi prossimo messi a tacere.

Le parentesi in questione mi hanno, per così dire, salvato. Momenti di aggregazione, momenti di confronto, momenti che sono culminati in Campiscuola estivi, di una settimana al colpo tra Giugno e Luglio assieme a X giovani e un centinaio di ragazzi, delle più varie età.
Banale? Mah, per qualcuno forse. Non per me. Non credo siano una dimensione scontata. Vero, faccio animazione in parrocchia e professo un certo Credo. In più, ho aspettato ben più del dovuto per aderire a una simile iniziativa estiva. Ritengo sia un'opportunità da non sprecare, tuttavia. A scanso d'equivoci, finora ne ho fatti tre, uno per estate, dal 2011 incluso. Il primo è sempre il primo, il secondo aveva un che di sospetto nei ragazzi, il terzo... Beh, il terzo è il terzo, forse più del primo.
Non mi sto spiegando, no. Mettiamola così: prima dei Campi del 2011 e del 2012, ero oltremodo preparata, pronta a tutto, mi ero assestata psicologicamente per l'esperienza, tesa peggio di una corda di violino in una composizione di Béla Bartók (oddio, reminiscenze).
Quest'anno no. Niente, ma proprio neanche l'ombra di uno stralcio di consapevolezza del fatto di dover andar su in montagna con 91 ragazzini delle Medie e altri 11 educatori, più Capocampo e Capocasa.
[starò parlando aramaico, per chi non conosce il sistema, ma reggetemi il gioco]
Ciò non vuol dire che non sia andato bene. Anzi, se posso azzardare la combinazione di persone che si era creata penso fosse la più efficiente, efficace e bella degli ultimi anni. Davvero, gente spettacolare che mi ha fatto commuovere come non avrei mai pensato.
Forse le mie percezioni si stanno distorcendo? Chi lo sa. Fatto sta che, anche adesso che sto per partire per il Brasile, con 20 giorni di servizio per la GMG con il Papa e un gruppo di circa 25 giovani da tutta Italia, non mi sembra di essere davvero sulla porta di casa, nuovamente, nel giro di dieci giorni.
Spero sia di buon augurio, come lo è stato per il Campo.

Non so se ho fatto il punto della situazione. Non credo nemmeno il mio obiettivo fosse veramente trovare un punto, sempre che ci sia.
Sono più in crisi per il fatto di dover partire 10 mesi in Erasmus per la Germania che dall'imminente volo transoceanico. In crisi per quel che ho costruito finora, in crisi per quel che lascio in casa e fuori. In crisi per il dubbio che si sta insinuando in me, che mi mette davanti alla possibilità di non essere davvero in grado di vivere da sola.
La prova del nove, insomma. Mi trovo davanti a due occasioni che mi chiariranno una volta per tutte come entrerò nel mondo. E no, considerato cos'ho in testa per il post-lauream, non credo di esagerare. Per nulla.
Spero solo che tutto l'affetto raccolto nell'ultima settimana, a forza di abbracci e nostalgia, non vada perduto, accompagnandomi nei passi successivi.

Crossing fingers.
Até logo!

mercoledì 8 maggio 2013

Soundtrack

« L'orecchio è un punto debole. L'assenza di palpebre ne aggrava una deficienza: sentiamo sempre quello che vorremmo evitare di sentire, e non sentiamo quello che ci serve. Siamo tutti duri d'orecchi, perfino chi ha l'orecchio assoluto. La musica ha anche la funzione di illuderci di dominare il più sgangherato dei sensi. »
Image by ohsoabnormal
Non credo di essere un'esperta in fatto di musica.
Ciò non vuol dire che io non ascolti musica, sostanzialmente direi che mi piace, se non che la amo. Anche se amo è un po' forte, come termine. Ma ne ascolto.
Se si pensa che le due cose vadano a braccetto, tuttavia, immagino si sia in errore. Esiste una vasta terra franca tra l'approfondire nei dettagli qualcosa e appassionarvici. Può essere che si sappia un argomento a menadito e che tuttavia ciò vada contro il nostro gusto personale, come che si riesca ad adorare qualcosa senza saperne definire una mezza caratteristica. Più raramente, alcuni fortunati adorano senza riserve quello che, tra il resto, conoscono fin nei più reconditi meandri.
Siccome, nell'ambito musicale, quest'ultima porzione include un approfondimento tecnico niente male, io preferisco passare il testimone a qualcuno di più motivato della sottoscritta.

A costo di ripetermi, a me la musica piace e arrivo ad adorare determinate melodie, ripetendole tra altoparlanti e auricolari fino allo sfinimento, se sono dell'umore. Ma così, su due piedi, non saprei definire cosa esattamente vado ad ascoltare in questa o quell'altra situazione, quale gruppo mi attira di più per idee, formazione, gossip, storia, eccetera. Probabilmente, queste ultime cose non potrei comunque dire di conoscerle nemmeno con del tempo a disposizione per pensarci.

Per la cronaca, detesto le monografie. Non mi piace spulciare nella storia personale e nelle vicende di tale o tal'altro artista. Idem per registi o attori, non crediate. Ci sono alcune eccezioni (il mondo Disney, se può contare), senza parlare della letteratura, per la quale ho già una conoscenza lievemente più approfondita. Lievemente. Diciamo che monografie letterarie abbreviate possono anche essere sopportate.
Da tutto ciò, ne consegue che non amo raccogliere informazioni su chi suona i brani che ascolto.
Se ascolto la musica non è per sapere chi c'è dietro, non proprio. Io ascolto perchè mi piace, non per una particolare logica intrinseca. Già ci sono troppe cose che necessitano di logica, ogni santo giorno, tutto il giorno. Se devo pure trovare un qualcosa di sensato nelle melodie che mi attirano non vivo più; mi domando come facciano gli altri, è una cosa che personalmente non mi va a genio. Ognuno ha le sue propensioni.

Ho letto, oggi, un libro di Amélie Nothomb. Ho divorato alcune sue opere, su consiglio di un'amica, negli ultimi giorni, libri che esplorano i cunicoli delle azioni, reazioni e relazioni umane. Quello iniziato e concluso in treno questo pomeriggio è "Diario di Rondine". Il protagonista, dopo una delusione sentimentale, decide di annullarsi sensazioni e sentimenti; la sua emotività repressa trova tuttavia sfogo in esperienze ancora non provate, oltre che nell'assassinio. Nella fattispecie, una cosa riesce a smuoverlo, con la sua dimensione reale e non nostalgica che ricrea: la musica dei Radiohead. Tre album in particolare. Il tutto si somma a un particolare incontro di sguardi, prima di una delle sue numerose esecuzioni come sicario.
Non condivido del tutto i gusti, conosco lo stile Radiohead e posso dire che solo alcuni brani mi stuzzicano. Capisco però la sensazione, ebbrezza post-omicidio a parte si intende. E' una scarica non da poco.

Io lavoro per impressioni sensoriali, emotive. Non posso spiegare perché mi piacciono i maçarons piuttosto che i tortini di riso di Tonolo, è così e basta. Dissezionare un sapore o una qualche percezione di senso deteriora l'effetto che ne riesco a trarre. Preferisco bearmi di quello che ho.
Sheldon Cooper mi definirebbe Hippie.
Io, semplicemente, non mi definisco per nulla.
« C'è gente abbastanza sfortunata da trovare l'amore della sua vita, lo scrittore della sua vita, il filosofo della sua vita, ecc. E' ovvio che diventeranno dei rincoglioniti. A me era capitato di peggio: avevo incontrato la musica della mia vita. » 
 { Brani tratti da "Diario di Rondine", Amélie Nothomb }