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sabato 31 maggio 2014

MemoryTraining - Chapter #4: Memory is a tricky thing

(sì, da molto non scrivo, ma sorvoliamo i soliti preamboli)
Image by Madeleine

La Memoria è un fattore problematico, sopratutto se si parla di definirne una collettiva o pubblica.

Tra le prime impressioni che ho avuto, arrivata in Germania, me ne ricordo una precisa, che si è installata nella mia testa quasi fosse un preconcetto. Stando ad essa, i Tedeschi parevano avere seri problemi con tutto ciò che potesse concernere la Seconda Guerra Mondiale, il regime Nazista e compagnia.

Sì, mi sto addentrando in un ambito molto discusso, ma è da parecchio che pondero in merito. Insomma, mettetevi nei miei panni, prima analizzo le questioni identitarie e l'idea di "Guilt" nell'immaginario Giapponese, poi mi trovo catapultata in una Nazione che pare avere simili problemi. Non potevo resistere ancora a lungo.
Quale modo migliore per parlare della questione Memoria di per sé, se non sfruttando questa bellissima collana di Memory Training?

Gli indizi che mi hanno portato a simili considerazioni, nei primi mesi di permanenza ad Heidelberg, sono stati molteplici: Propensione ad evitare discussioni in merito, anche tra studenti (che si spera abbiano un minimo di dimestichezza nel trattare tematiche dubbie); assenza di letteratura specifica in lingua dalle Librerie pubbliche; strutturazione delle sezioni storiche nei Musei o nelle esposizioni in modo da lasciare il periodo bellico sempre un po' opaco.
Certo, questi sono casi abbastanza peculiari, su cui forse mi sono istintivamente voluta concentrare - chiamiamola deformazione personale, mi piace trovare argomenti scottanti nella maggior parte dei contesti possibili, mi stimolano a pensare.
E' vero che pronunciare ad alta voce il nome di Hitler, anche in una conversazione del tutto obiettiva, può far girare tutte le persone circostanti con uno sguardo a metà tra preoccupazione e stupore (tanto che anche scriverlo mi pare un mezzo taboo). Come è vero che la struttura gerarchica stabilita nel periodo Nazista è ancora sottesa nell'assetto istituzionale, in particolare nel sistema scolastico e burocratico - ci sono tutt'oggi tracce e residui dei regimi anche in Italia, Giappone e Spagna, se è per questo.
Vogliamo poi considerare i consensi che sta mobilitando il Partito Neonazista, negli ultimi anni, arrivando anche a vincere un seggio alle Europee?
Ci sarebbero svariati argomenti da citare, a sostegno della tesi secondo cui "I Tedeschi non sono cambiati". Più o meno gli stessi riportati in superficie dal film "L'Onda", nel quale un ragazzo afferma che ormai la Germania ha imparato dal proprio passato, giusto prima che il gruppo sull'Autocrazia di cui fa parte degeneri e confuti una simile affermazione.

Un dubbio, tuttavia, mi si è insinuato col tempo: certo, i crimini compiuti nella Seconda Guerra sono palesi a tutti ormai, ma è necessario continuare a identificare i Tedeschi sempre e solo con questa fase storica? Può essere definito un atteggiamento corretto nei confronti delle ultime generazioni o, in generale, di una Nazione che per la maggior parte sta tentando di fare ammenda da quasi settant'anni?
Cosa è diventata la Memoria per il tedesco medio?

I primi sintomi di questa riflessione sono emersi grazie alla tendenza fastidiosa di certi buontemponi locali nello schernire l'Italia secondo vecchi e tediosi stereotipi.
Io e la mia precedente coinquilina, ancora a Novembre, siamo capitate in RufTaxi con un paio di tedeschi che avevano alzato abbondantemente il gomito nel bere e il cui linguaggio era talmente strascicato da capirci ben poco. Al nostro "Non vi capiamo più, parlate in inglese almeno" e all'affermazione distratta del "No, non siamo inglesi, siamo italiane", la risposta ci ha basito alquanto.
"Ah, venite dall'Italia? Ahah, Berlusconi, Mussolini!!"
Al che, mentalmente, stava scattando la risposta istintiva del "Da che pulpito", trattenuta per evitare stilettate nei calcagni. Rimuginandoci sopra più tardi, mi veniva da pensare, tra me e me: Ma ti pare che un Paese si debba identificare solo tramite esponenti che hanno fatto parlare di sé?
Poi, una lampadina. La stessa domanda era applicabile alla Germania stessa. Tutti avrebbero continuato a vederla sotto una determinata luce, sempre e comunque, almeno in Europa.
Non vi dico la confusione e il groviglio di idee nella testa.
Negazionismo, elisione di dettagli scomodi, stereotipi e colpe.
In tutto ciò, la Memoria pareva sottoposta a un doppio trattamento
Da un lato, c'era la ripetizione spasmodica, tipo mantra, di tutte le macchie che avevano segnato la coscienza collettiva: monumenti, memoriali, libri di testo, Musei specializzati; mesi di istruzione scolastica su cosa sia successo e su come i tedeschi debbano prendersi le proprie responsabilità, fin dalla prima infanzia; targhette in ogni angolo della Germania, da Berlino ai paesi più sparuti, davanti alle case in cui un tempo abitavano persone morte nei campi di concentramento, perlopiù Ebree.
Dall'altro, la superficialità data dall'evitare semplicemente di citare temi anche remotamente collegati alla questione, sorvolando, non parlandone, perchè tanto se ne creerebbero problemi e basta - un'autocensura, se vogliamo darle un nome.
Caso a parte è la minoranza nazionalista, sopravvissuta alla purga ideologica, sulla quale non mi voglio soffermare.

Ecco. Ora come ora, direi che il peso della Memoria è consistente. La sua interpretazione però è molto distressed, tirata e sformata della sua consistenza ideale, in certi casi perfino esasperata.
In questi mesi, ho saggiato il terreno più volte, per capire a chi potevo chiedere un approfondimento in merito. Siamo in Germania, suvvia, parliamo coi diretti interessati.
Facile a dirsi, un po' meno a farsi. Perché in questo insieme di impressioni temi anche di offendere determinati individui, se "pretendi" di conoscere la loro percezione in merito. Una volta mi hanno risposto piuttosto male, con un "Non può andare in giro a fare queste domande!".
Però non demordo facilmente. Ho trovato persone più disponibili, entro l'ambito accademico. E ho avuto dei riscontri molto interessanti. Una volta, c'è stata una chiacchierata in amicizia con un professore brasiliano e dei compagni di corso tedeschi, mentre prendevamo qualcosa al bar, a degna conclusione del semestre.
L'argomento è semplicemente emerso, senza attriti o che. Il corso trattava il Buddhismo nel Giappone degli ultimi secoli, passando anche per la fase Totalitarista.
Ricordo quel che disse una ragazza.
"Voglio dire, è normale che si debba ricordare, è da una vita che ci sentiamo ripetere quanto sia importante ricordare. Ma io, io in quanto persona, lì non c'ero. Perchè mi devo sentire vincolata e colpevolizzata? Quanto tempo sarà passato, sei-sette decadi? La memoria è un conto, ma chi vive ora dovrebbe avere il diritto di poter andare avanti senza un'etichetta derivata da una responsabilità vecchia di quattro generazioni."
I contenuti erano circa questi, il tono totalmente privo di risentimento. Una considerazione pura e semplice, data da una persona estranea al negazionismo, molto diretta e disponibile, che conosce bene la realtà in cui vive e che è stanca di avere a che fare con vecchi sentimenti.
Si potrebbe ribattere, questo è sicuro. Ma si potrebbe anche mettere in discussione la propria visione delle cose, visto che siamo nel terzo millennio e dovremmo aver imparato qualcosa a riguardo della dialettica (giusto un po'), anche se certi elementi tendono a dimenticarsela.
A supporto di questa personale reinterpretazione della Memoria, ci sono state altre persone. Tra di esse una compagna di corso, qualche settimana fa, con cui mi sono persa a chiacchierare del più e del meno, dopo una lezione riguardante il fattore Memoria per il Giappone, messo a confronto con Germania e Italia.
"Non è facile spostarsi per il mondo e trovarsi a nascondere quanto più a lungo possibile il fatto che sei Tedesca. Mi piace qui, si vive abbastanza bene e c'è libertà di espressione. Dover fare a meno della mia identità perchè altrimenti partono tutta una serie di stereotipi è frustrante. Sono la prima a condannare quello che è successo, la mia famiglia ha perso dei membri durante gli anni del Nazismo, ritenuti oppositori politici o magari in ottimi rapporti con persone di origine Ebraica. E sono d'accordo con il prendersi le proprie responsabilità e tutto, ma non è ora di andare avanti?"
Siamo andate avanti parecchio con i discorsi, declinandoli anche al caso Nipponico e Italiano.
Non potevo darle torto. Anche perchè, per quanto in Italia ci sia stata la resistenza, la collaborazione con gli Alleati post '43 e corollari, gli Italiani stessi detengono una buona dose di responsabilità a loro volta, per motivi simili. Dalla nostra prospettiva, si dovrebbe capire cosa comportano certe azioni. Ed è giusto che se ne faccia Memoria, nel limite dell'umano.
Quando la Memoria pregiudica l'autoaffermazione dell'individuo in quanto tale, però, forse diventa un problema. Nella stessa posizione, personalmente reagirei allo stesso modo. Parlerei e discuterei apertamente di quel che è successo, ma allo stesso tempo mi verrebbe spontaneo cercare un modo per liberarmi del peso dato dalla coscienza collettiva, per vivere secondo i miei principi, rispondendo di quello che compio.

Insomma, una questione decisamente contorta e ben palese nella realtà tedesca. Non si sa dove sbattere la testa, non si sa se siamo in grado o nella posizione di giudicare; non si sa nemmeno in che modo si dovrebbe distribuire la colpa o dove la si dovrebbe andare a cercare nella società di oggi.
Forse, il guilt è diventato talmente abitudinario da essere assunto come prerogativa del vivere, in stile Protestante?
Chissà.

For sure, Memory still is a tricky matter.

sabato 1 febbraio 2014

MemoryTraining - Chapter #2: Being Italians

Image by Giorgio Ghezzi

C'è una caratteristica insita dell'essere italiani: trovarsi. Ovunque, comunque.
E se anche, rimanendo nel Bel Paese (ora più che mai in senso Dantesco), vi venga il dubbio di dovervi vergognare del vostro luogo di provenienza, una volta all'estero, preparatevi a riconsiderare le vostre valutazioni, almeno un po'.

Non lo nego, siamo una popolazione alla quale sono state attribuite valanghe di stereotipi, positivi e negativi, oltre che a volte decisamente romanzati.
Ad esempio, abbiamo fama di essere una specie di modello Orso Abbracciatutti, cosa che spinge qualsiasi sconosciuto ad avere una confidenza immediata nei nostri confronti, completa di baci e abbracci - se siete come la sottoscritta non è l'approccio più appropriato (andiamo, do I even know you?? Nooon si tocca!), ma fa comunque intendere che partiamo con una marcia in più in molteplici occasioni. A parte con chi ci detesta a prescindere per la nostra nazionalità, ovviamente, cosa che - ahimè! - può capitare anche a noi, per i più svariati motivi.
In mezzo ai vari apprezzamenti, ci sono ovviamente tutti quelli riferiti all'arte, alla cultura, alla buona cucina e alla moda, ovvero tutta una dimensione estetico-gastronomica che può mettere in difficoltà l'interlocutore internazionale. Mi è capitato di avere a che fare con ragazzi ai fornelli, messi in soggezione dal fatto di dover servire da mangiare a un gruppo di italiani: sarà anche stata una mia impressione, ma c'era un certo nervosismo nell'aria, che mi ha fatto sorridere non poco, soprattutto considerato che sono di poche pretese, quando mi viene offerto qualcosa. Sì, amo la buona cucina e sì, sono convinta che lo stile Mediterraneo sia quello che preferisco, ma andiamo! Un po' di varietà non guasta, soprattutto fuori porta. Dicasi spirito di adattamento. Bene, mi è pure venuto appetito, ora.

Sto un tantinello deviando dal leitmotiv. O forse è solo un'impressione. Ma tornando al punto (se mai ce n'è stato uno)...
Il fattore stereotipi, siano essi culturali, comportamentali o accademici (sì, pure questi e meno negativi di quanto si possa immaginare), ha grande eco non soltanto con persone di altra nazionalità, ma con gli stessi connazionali - o nella maggior parte dei casi, i loro "derivati".
Un italiano in viaggio o in situazione di fresco trasferimento all'estero ha un'altissima probabilità di incontrare le seguenti tipologie di individui:
  1. altri Italiani residenti/dislocati temporaneamente all'estero;
  2. persone che parlano correntemente italiano, anche straniere;
  3. gente che è passata in Italia, che ci ha vissuto o viaggiato più volte;
  4. figli di famiglie italiane trasferitesi da decenni, stranieri di seconda generazione.
Queste quattro categorie se la giocano praticamente alla pari, variando a seconda dello Stato in cui ci si trova. Personalmente, ho avuto modo di trovare almeno uno dei punti sopra citati in ogni luogo che ho visitato. Ogni. Singolo. Posto.
Al che, se anche io avessi mai avuto in mente di staccarmi dal mio Paese Natio in modo drastico, mi troverei nella condizione di rinunciare a prescindere.
Image by Alina Deacu
L'Italiano, l'Italianità è ovunque.
Ma proprio ovunque, eh, partendo dalle persone incontrate alla fermata dell'autobus, per poi andare a trovare, all'angolo del borghetto sparuto in cui siete capitati, un localino che fa una pizza meno buona di quella di casa, ma pur sempre "Al cigno" o "Da Mario" si chiama.
Dall'Italia non si sfugge, ti ritrova ovunque tu sia, in molteplici forme.
Se negli ultimi anni sono i Cinesi a spargersi per il mondo a macchia d'olio, per chiari motivi numerici, un ruolo simile è stato ricoperto a suo tempo da noialtri, c'è poco da fare. Gli effetti sono palesi tutt'ora.

Tornando all'elenco di prima, pensiamo un po' all'incontro con la tipologia 1 e la tipologia 4. Entrambe, rendendosi conto di essere davanti a un connazionale, diventano improvvisamente e splendidamente disponibili, curiose come falene davanti a uno spettacolo pirotecnico.
Nel primo caso, c'è quel momento di reciproco studio, una manciata di secondi in cui si appura in silenzio di essere proprio voi, sì, siete italiani entrambi e tra tutta la gente che c'avevate attorno, avete finito con l'incontrarvi.
*momento suspence*
E via di stramazzi, risate e "Ma tu da dove sei?", "Ma va!", "E ti pare che io a Timbuctu vada a trovarmi proprio un Italiano!". Eccetera.
Di norma, a me parte un filmino mentale nel quale i due imitano una corsa sulla spiaggia al rallentatore, tipica dei film sentimentali, per poi finire con l'abbracciarsi manco si conoscessero da sempre. O, se meno touchy, scambiarsi una stretta di mano/pacca sulla spalla con annesso sorriso complice, ma questi sono dettagli.
In stile, facciamoci riconoscere.

Se valutiamo invece il quarto caso, l'italiano di seconda generazione ha spesso ereditato un senso di nostalgia consistente nei confronti della terra di provenienza dei propri genitori, dove molto probabilmente hanno ancora parenti.
Questi sono in grado di riconoscere la vostra sfumatura d'accento, che stiate parlando con l'autista di un autobus per chiedere informazioni o che ordiniate un caffè al bar. Illuminati, quasi folgorati sulla via di Damasco, non vedono più altri che voi, raccontandovi di come sognino di tornare nello Stivale per studio o lavoro.
Siete in una pista da ballo affollatissima, vi sentono scambiare due parole in italiano e subito vi fermano, occhi sbarrati e sbrilluccicosi. Proprio voi in tutta la massa di gente, è un segno.
E ancora, camminate tranquilli con un gruppo di amici in una strada metropolitana, un ciclista in senso inverso vi osserva, inchioda e con un sorriso a trentadue denti vi fa notare come ambedue i suoi genitori fossero italiani, "Padova e Potenza, sì?". Una chiacchierata di mezzora, tentando di coprire i rumori del traffico.
Sì, è affetto puro, non c'è da sbagliarsi.

Allora, forse davvero la nostra reputazione è da rivalutare.
Ci sarà anche una triste parentesi politica (altro punto noto tra gli stereotipi), il pessimo status economico e l'insicurezza su tutto quanto rappresenti la parola "Futuro", che quando pronunciata ad alta voce per le vie di una qualsiasi delle nostre cittadelle funge da spauracchio come pochi.
Ma ciò non vuol dire che l'Italiano all'estero non si faccia notare per adattabilità, openmindness e duttilità, abilità che riscopriamo nostre solo quando messi alla prova, come qualsiasi essere umano.
Ci troviamo. In tutti i sensi che questa parola possa avere, all'estero troviamo il significato della parola "altro", troviamo persone con radici simili alle nostre, ma soprattutto ritroviamo un'identità sana, mutata, che ci fa star bene con noi stessi, restituendoci quella condizione di obiettività che permette di rientrare in gioco.

Chissà, magari se tutti gli italiani medi passassero di regola un periodo all'estero, avremmo già imparato a ristrutturarci.
Con calma, impareremo.
Ci troveremo, anche in quell'insieme geografico che non sempre riusciamo a definire casa.
That's being italians. (or, at least, should be)

giovedì 23 gennaio 2014

MemoryTraining - Chapter #00 (Pilot): Chi&Come

Image by Street_Spirit

Avrei dovuto iniziare a scrivere un diario di Viaggio dall’inizio, mica a quasi quattro mesi da quando sono all’estero.
È una questione di correttezza cronistica e umana. Chiariamoci, non è un obbligo morale o un sommesso tentativo di autocelebrazione, non credo arriverei a tanto. Dovrei sapere assumere toni epici, il che esula vagamente dalle mie competenze. In ogni caso, da quando è iniziato questo capitolo di vita avrei dovuto attribuire il valore adeguato a certi suoi aspetti e a determinate persone.
Cercherò di rimediare.
Non credo sia il caso di fare lunghe descrizioni prolisse di eventi accaduti, anche perché da un certo punto di vista dovrebbe vigere la regola del “Quel che avviene in Erasmus, resta in Erasmus” (le balle, sto raccontando alcuni dettagli vari et eventuali, a chi sa come chiederli). Sì, un Fight Club modalità studentesca che poggia su enormi stereotipi, talmente fantasmagorici che sfidano l’abilità immaginativa dei più azzardati utopisti (con certe basi, quello è da ammettere).
Mi piacerebbe che però la categoria di post che mi accingo a lanciare non si limiti a quest’esperienza. Ho molte cose in arretrato, relative a viaggi e non, che non ho mai diffuso a dovere.
Ci sono persone e fatti che caratterizzano i momenti della nostra vita, i quali possono rientrare nella nostra sfera personale come anche essere semplicemente persone di passaggio, punti di contatto, fraintendimenti, attimi di confusione, soggetti nei quali si individua una linea comune alla nostra, che si perdono di vista in un batter d’occhio, nell’unica intersezione che le linee temporali reciproche possano avere.
Ecco, di questo vorrei parlare. Non sembra molto chiaro, forse. Spero di dissolvere un po’ di dubbi.
Dopotutto, delle pietre vanno pur posate, anche tornando indietro con la memoria. Un valido esercizio per chi, come me, a volte rifiuta di ricordare perché troppo pigro.

E non lasciamola scappare, ‘sta ispirazione.

lunedì 9 dicembre 2013

Chi ha sputato nel piatto di fagioli?

"Sai, avremmo dovuto prendere uno di questi taccuini e fare una specie di diario di bordo, fin dall'inizio."Nel dirmi questo, qualche giorno fa ai Weihnachtsmarkt, la mia coinquilina non aveva tutti i torti.

Sono circa due mesi che non scrivo sul blog. Il mio arrivo qua precede l'ultimo post di una manciata di giorni.
Non è che abbia qualche strano blocco dello scrittore. Ho creato tre racconti in italiano, un testo in giapponese, sto preparando una presentazione in tedesco di cui mi devo prima fare uno script, ho trovato una tematica specifica che probabilmente porterò a Tesi, sto lavorando su due esami da non frequentante e su due papers, ho pronto il canovaccio di un video e ho vari racconti in sospeso.
Mi sono anche premurata di tenere aggiornate un po' di persone - oralmente, via skype, via social.

Sta andando bene. Dico sul serio, anche se faccio fatica ad adattarmi al sistema locale e alla mescolanza di lingue, sto cercando di adattarmi al meglio e il metodo mi piace. Ho alcuni problemi ancora con la burocrazia e con dei corsi in Italia, ma si sistemeranno. Studio e incontro persone. Tante, varie, belle. Raccolgo storie, raccolgo esperienze e caratteri senza i quali questo periodo non sarebbe stato uguale.
Sono passata per Francoforte, Karlsruhe, Mannheim, Stoccarda, Esslingen, i dintorni di Heidelberg oltre alla città stessa.
Mi metto in gioco. Non per questo mi scordo del punto da cui sono partita.
Ho perfino previsto un ritorno a casa per Natale, fuori programma. E ad essere sincera, sono un po' pentita del fatto di rimanerci appena una settimana. Ma mi aspetta un Capodanno con Erika quassù. Mi verranno a trovare altre due persone, nel frattempo, Alessia la prossima settimana e Miriam a Gennaio.

Rimane qualcosa che non va.
Non è il posto. Non è la gente. Non è lo studio.
In sostanza, è una cosa tra quelle che temevo accadessero. Sento di esser stata messa da parte.
Il che è buffo, da un certo punto di vista sono io ad essere partita fregandomene di tutto e tutti, così, per un anno - dieci mesi, quel che è.
In molti si sono raccomandati, "Non scordarti di me, eh!". Seems legit, io mi creo nuovi contatti qui per non essere un'isola, quindi viene automatico pensare che tutto il resto non mi interessi. Lo capisco, davvero. Ciò non giustifica, dall'altra parte, un comportamento analogo. Qualcuno ci scherza sopra, a riguardo - ma normalmente, si tratta di persone che sento regolarmente e che sto apprezzando sempre di più per questo.
Onestamente? Ci sto provando.
Per quanto possa esser dura, non sono in capo al mondo e anche se mi è impossibile esserci fisicamente per certe cose, continuo a pensarci, a farmi venire in mente persone che hanno caratterizzato la mia vita finora, a riti quotidiani e settimanali che non sono più la mia norma e la cui assenza ha sostanzialmente modificato il mio stile di vita in appena due mesi.
Non sarò costante - la vedo dura, tenendo conto di tutti i fattori, è naturale non avere gli stessi riflessi e la stessa prontezza che a "casa". Però almeno ci penso, ci provo. Perchè devo essere solo io a prendere l'iniziativa? Perchè io sono una e gli altri sono tanti, quindi l'una isolatasi dalla massa è quella che deve fare il maggiore sforzo? E ripeto, l'ho fatto.
Tant'è che, comunque, la massa mi ha tenuto in conto per ben poco, facendo emergere probabilmente quei pochi che vogliono ricambiare lo sforzo, per quanto soffrendo la distanza - e a questi pochi, che hanno sopportato papiri via messaggio o via mail, ore infinite di conversazione tramite uno skype che sembra intenzionato a riavviarmi il pc almeno tre volte per sessione, va il più grande e sincero affetto che la mia me delle 3.30 del mattino sia in grado di produrre (vi voglio bene, sappiatelo).
I restanti forse ci hanno provato, ma con così poca convinzione che il tentativo è sfumato nel corso delle prime settimane. Passato ottobre, passata la festa. Basterebbe un messaggio a caso, come fa qualcuno, che lascia delle chicche in giro per le bacheche che apprezzo tantissimo, pur nella loro essenzialità.

Sarà per questo che non nutro un così grande interesse a rendere nota ogni cosa al "pubblico", se c'è mai stato. Se qualcuno vuole davvero sapere per filo e per segno le cose, basta chiedere. Ma anche no, suvvia, cosa pretendiamo. Sono via, quindi ho già dato tutto quello che potevo dare. Non servo mica.
Tanto che me frega, a me. Tanto, son qua pei cazzi miei, se voglio mi devo muovere io. Tanto si sa che è così.
Tanto poi mi abituo, no?
Certo.
Tanto poi mi abituo.
Tanto.

Grazie. Danke. Thanks. Gracias. Obrigada. ありがとう. 谢谢. Merci. 감사합니다. Tapadh leibh.
Spero il senso di sarcasmo riesca a filtrare attraverso tutte queste lingue.

giovedì 3 ottobre 2013

It's a Teutonic Land, baby.

First week of non-officially-started Erasmus.
Right now, I'm laying on my bed at Steffi's Hostel, Heidelberg, located in the amusing german region of Baden-Wuttemberg.

I finally got a home with my Erasmus mate (yay!) after a worrying start of our research. I'm ready to start my studies, or at least I think so... And all that's left to do regards bureaucracy - that hideous thing I thought I would have eventually left in Italy, until next fallout of the system running Ca' Foscari website. Because there'll be one as usual, I expect. But I'm prepared for that.
The matter is, I was not even slightly prepared to face German bureaucracy, not only because of the amount of things it compels, but also because of a structure I didn't expect.

The Italian curious phenomenon described perfectly throughout something like "The twelve tasks of Asterix" movie shows an office system ready to freak you over.
"We are not the right desk for this, try the second on the left at Central Building's second floor!", "Not really, you should go to Info Center at Uni Square to be sure", "Well, if you just try to ask the City Hall...", and so on. I can assure you, this is not an Italian exclusive method (ohohoh, destroying stereotypes, how I llove it!).
Sure, German efficiency is pretty famous and correctly assigned in most circumstances. Even in this one, I'd say. But cases like the Italian offices' Triathlon happen pretty often, actually - I experienced some in the past days.
This notwithstanding, if I'm a foreign student that arrives at the beginning of the month, moreover after notifying it to you, I expect to apply for my studies at your offices when you told me to be there. Right? Not a parade, nor a sumptuous Ceremony like Hogwarts'. Just doing what I'm supposed to do.
So, finding closed the desk responsible to sign most of my documents for the exchange during the entire first week before the Orientation and the Language placement Test is not pleasant.
Let's also add my still-not-acquired knowledge about German national holidays, that makes me try to apply during the Day of German Unity, running to get to the offices before offices closing time and finding them all shut. I felt terrible, with all the matters I still ought to manage before the lectures start.
So, I'm a little upset.

Anyway, apart from these traumas, I still reckon there're loads of differences from Italian University system, starting from spaces and places dedicated to students' academic and private time, adding the availability of Staff and Students' Support, pretty affordable living costs and so on. Moreover, if you don't know German, in most cases you'll find someone that can speak English just around the corner - not everybody, of course, but a good percentage of citizens can manage a little English, or even Italian in my case. Speaking of that, it's pretty common to get in touch with other Italians, noticing their home accent at the bus stop and pointing out there's a big Italian community nearby, as well as encountering nationals within the Hostel guests or waiting at Uni offices like you. Pretty fun, to be honest.
All of these things go along with a very fascinating atmosphere, permeating the Altstadt, or Old Town, and many other places.
To close this quick (yeah, for me this is short) post, I can assure you that it's not a case if I came here for Japanese and Asian Studies.
At least I can overheard the discourses between Asians guests in the Kitchen without them knowing. And considering how they've been occupying the stoves in the common room, I don't even feel guilty for it. It's called karma, dearies.
Sooo good! :D *giggles*

Tschüß!