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mercoledì 23 dicembre 2015

Procrastinare [dal lat. procrastinare, der. di crastĭnus, agg. di cras «domani»]

procrastinare v. tr. [dal lat. procrastinare, der. di crastĭnus, agg. di cras «domani», col pref. pro-] (io procràstino, ecc.), letter. – Differire, rinviare da un giorno a un altro, dall'oggi al domani, allo scopo di guadagnare tempo o addirittura con l’intenzione di non fare quello che si dovrebbe: p. il pagamento; p. una riunione, un impegno; continua a p. la partenza. Spesso con uso assol.: io insisto a sollecitarlo, ma lui procrastina sempre; la civiltà asburgica … procrastinava e rimandava per sopravvivere (Claudio Magris).
(Dall'Enciclopedia Treccani Online) 
Stop Procrastinating
Image by Tom Podolec @ Flickr
Sono giusto passati sei mesi dalla precedente pubblicazione.
E non ho ripreso a pensare al Blog solo perché ieri mi è stato chiesto come mai avessi segnalato un'esperienza da Blogger in un colloquio. No, no.
Come non sto assolutamente scrivendo il presente post per comunicare qualsivoglia buona volontà ai selezionatori - ma in caso qualcuno di competenza si fosse preso/a la briga di cercarmi e leggere: "Saaaaalve, sono una persona che non pubblica da un sacco e si è sentita in colpa per aver continuamente rimandato i propri impegni online".
A-HEM.

Dicevo.
Da un po' pensavo di scrivere. Come da un po' mi ero ripromessa di riprendere in mano racconti, romanzi incompiuti, libri accumulati compulsivamente in camera, canovacci e idee per nuovi video, e via dicendo. Chissà, probabilmente una parte di me sperava di aver talmente tartassato nuovi possibili datori di lavoro che propongono opportunità da sogno, da essermi guadagnata un vero impiego - del tipo "Basta, abbiamo capito! Ti facciamo lavorare, girando il mondo -magari spedendoti in Giappone-, scrivendo e facendo la bella vita, ok?!" (par vera, N.d.Me)

Però nada. Niet.
Non mi è caduta la soluzione dal cielo mentre mi perdevo a girare a piedi o in auto, nè quando mi sono spaparanzata sul divano a rivedere per l'ennesima volta Scrubs o a scoprire i piaceri di Netflix (la frase è altamente ambigua, ma ce piace *neeeeetfliiiiix*).
E ieri un Articolo dell'amatissimo Huffington Post mi ha illuminato, assieme al pieno delle mie potenzialità. Mi ha messo davanti al viziaccio di procrastinare, che tanto mi è familiare.
Perchè io le buone intenzioni per riuscire ad avere successo e raggiungere i miei obiettivi le avrei anche, come le capacità, probabilmente. L'ennesima conferma (fosse la prima) che finchè non mi si dice l'ovvio, con veemenza, faccio orecchie da mercante e fingo che ci sia ancora, continuamente tempo. Lo continuo a fare pure quando me lo dicono, tanto ci sono abituata. Come nella vita personale, negli affetti, a suon di "Tanto se ne accorgerà, tanto verrà fuori". Come con tutto.
Avrei  tanti progetti, tutti fattibili. In particolare, cinque strade si sono evidenziate avanti a me, alle quali dovrei aggiungere una cosa che rimane in sospeso dalla GMG in Brasile e con cui, prima o poi, dovrò fare i conti - seriamente.

Non è che quest'anno abbia oziato, a mia discolpa. Ho perso cognizione dello scorrere del tempo, più che altro, e il domani è rimasto sempre domani. E visto che siamo a fine 2015, un rendiconto annuale pare appropriato.

Che ho combinato, in fondo, quest'anno?

Ho dato un ultimo esame di lingua, a gennaio, studiando a malapena (ora lo posso dire con serenità, ho cazzeggiato alquanto sotto le scorse feste natalizie) e tergiversando sulla tesi, scritta sotto pressione in poco tempo - e ciononostante mi è riuscita a entusiasmare e motivare ugualmente. Nel frattempo ho seguito una scenetta teatrale per una festa foraniale, insieme alla programmazione di un gruppo medie vivace.
Mi sono laureata a marzo, ho messo una pietra sopra a una persona (in senso figurato, purtroppo non avevo una gru a disposizione - dammit) e la settimana successiva ho iniziato i colloqui per Expo, andati a buon fine non senza poche tribolazioni.
In quel del 27 Aprile, ho preso baracca e burattini e la mattina dopo ero a Milano, senza casa (è d'obbligo un altarino ad Alessandra, che, nel mio peregrinare, mi ha ospitato tre settimane aggratis in appartamento - subendosi pure un mio pianto isterico in pubblico, a Porta Venezia), senza soldi (letteralmente, me ne hanno mandati una manciata la settimana dopo), senza idea di quello che, esattamente, stessi facendo con la mia vita (no, seriamente).
Io e Alisa, provvidenzialmente in città per un lavoro, abbiamo trovato poi una stanza in comune a metà Maggio, con un caso umano che vagava per il resto della casa (cose che i rinomati CDM sono nulla a confronto) e una vaga idea di come vivere in autonomia, programmandoci assieme.

L'arrivo dello stipendio di Giugno e il cambio di contratto mi hanno rinvigorito, con tanto di spedizioni presso la filiale competente di Manpower, per capire meglio condizioni e cedolini (unitamente a ricerche online), che manco i rappresentanti sindacali rompono tanto le balle - non a caso, ho assunto la seconda identità di "Larapedia - ovvero: a chi chiediamo chiarimenti burocratici se manco quelli dell'agenzia sanno un cazzo". Potrei mettere su uno sportello informativo, tanto per dire.
Comunque, ho promesso di andare a trovare gente nei dintorni di Milano, finendo solo per trovarmi con un cugino a Expo e far visita a un paio di zii, a dire tanto. Mi son fatta una puntata al lago con qualche collega, in compenso, più "seratone" che mai in vita mia (circa, dai, escludiamo l'Erasmus che sennò il metro mi si sfasa - tanto non saprete mai, muhaha). Ho preso familiarità con espressioni sull'onda di "Apericena".
Con Alisa, Jessica (pure lei ad Expo) ed Elisaveta mi sono iscritta alla Color Run di Settembre, partecipando a scanso della mia incapacità di correre - ma dovete capirmi, io ero lì per le polverine colorate (e aridaje coi frantendimenti).

Ho rinforzato le mie convinzioni femministe, articolandole il più possibile.
Ho praticamente svenduto cose che manco conoscevo, prima di questo lavoro - c'avrei una carriera da International Commerce manager, qua, veh.
Ho sviluppato capacità dialettiche che non pensavo di avere, in lingue che pensavo di non utilizzare fino a questo punto.
Mi sono, quindi, affermata come giovine donna indipendente (seppur non benestante), che non ha bisogno di nessuno, tantomeno di un uom- mmmaporcomondo, e ti pareva, tempismo del menga.
Ho perso dieci chili (di cui tre recuperati negli ultimi tre mesi), senza fare una vera e propria dieta. Ho iniziato ad apprezzare il mio corpo a prescindere da come appare.
Ho incontrato persone, colleghi, amici con cui sentirò un legame vita natural durante.

Mi sono lanciata in una tre giorni in fiera senza alba di come fosse fatto l'ambiente cinofilo ivi rappresentato.
Mi sono decisa, con Jessica, ad organizzare un viaggio per alcune città d'Europa, realizzato a Novembre, tentando di esprimere lo spirito girovago che in tante persone ho incontrato - e che manca, ancora, dell'istinto di osare l'estremo.
In tale contesto, ho letto gli effetti del terrorismo negli occhi di una metropoli come Parigi - ma questo è un discorso da sviluppare a parte.
Mi sono lasciata scoraggiare dalle circostanze, più di una volta.
Ciononostante, ho compilato gli estremi d una candidatura che, semmai andasse a buon fine, potrebbe davvero rivoluzionare la mia vita, come poche altre cose. E se non andasse...

Insomma, è complicato.
Il rapporto di quest'anno è di certo complesso. Continuo a rimuginarci all'infinito. Potrei fare migliaia di racconti con tutti i film mentali che mi sono creata a riguardo delle varie probabilità, su quel che sarebbe o non sarebbe potuto accadere. Sulle scelte fatte e non andate, su quelle proprio mai fatte.
E il bello è che manca ancora una settimana.
Una settimana in cui continuerò a procrastinare tutte le decisioni qui sopra non elencate e che ho lasciato in sospeso. 
Perchè in fondo, domani è sempre meglio di oggi.
...
No?

sabato 27 giugno 2015

Cari Visitatori di Expo, lavoriamo (anche) per voi

Torno a scrivere sul blog, dopo eoni. 
Le mie attività degli ultimi mesi si possono sintetizzare con una Laurea Magistrale, l'abbandono di alcune pessime abitudini sentimentali, un periodo di ben meritato cazzeggio e il passaggio da "ohmiodio, ora sono disoccupata" a "trasferiamoci a Milano nel giro di 24 ore e annamo a lavurà".

Alla luce, in particolare, dell'ultimo sviluppo, mi sono trovata catapultata in quell'ambiente prolifico e trafficato di Expo. Ci sono arrivata dopo tutta una serie di peripezie assuntive che non starò ad approfondire, soprattutto considerate le polemiche relative ai giovani scansafatiche su cui i media si sono tanto voluti concentrare (cosa c'hanno guadagnato a diffamare una generazione lo sanno solo loro - forse).

Decumano, Expo Milano 2015
Sorvoliamo sul mio trasferimento nella Big City e sulle fasi di adattamento, guidate dall'ospitalità ad oltranza di una cara amica, l'arrivo di ex-compagne dell'università in quel di Milano a farmi compagnia (sempre per lavoro), espressioni gergali che fatico ancora a comprendere, nonché la convivenza con una persona a me affine e una che, invece, non si sa bene come abbia fatto a sopravvivere da sola finora (a.k.a.: caso umano). Non mi fermerò nemmeno a descrivere l'Esposizione, perché... e che cavolo, per una volta che si fa in Italia potete anche andare a farvi un giro.
L'intento del presente post è giungere, in qualche modo, agli occhi dei visitatori medi, che ogni giorno affollano Expo.

Sì, esimio/a visitatore/trice. Parlo con te, con il cuore da Addetta accoglienza/Hostess di padiglione in mano. Con te che hai tolto un prezioso giorno di ferie al tuo calendario per girare un'Esposizione Universale, fremendo per mille aspettative. Sia che tu sia già passato o che debba ancora pregiare il suolo di Pero-Rho con la tua presenza, di qui al 31 Ottobre.

Voglio dirTi, car* utente, che non ti capisco.
No, davvero. Ho visto talmente tanti modi di essere ed agire da risultarne profondamente confusa.
Certo, non è bene generalizzare; ci sono, come in tutti gli eventi, persone profondamente carine e amichevoli. Per cercare di farle aumentare in numero e diffondere la cultura d'ammmmore tra dipendenti e visitatori, ho pensato a un semplice elenco chiarificatore.
  1. L'Expo è un'Esposizione, come dovrebbe vagamente suggerire la parola stessa. Poiché tale, per quanto possa concernere il Cibo e l'Alimentazione è assai improbabile che funzioni come un evento Fieristico alimentare qualunque, pieno di assaggi e degustazioni. Ce ne sono, ma in misura moderata. Non ad ogni angolo. E soprattutto, io (dipendente) non sono responsabile per la loro assenza. Nè posso cogliere i vostri consigli riguardo al far assaggiare le cose pubblicizzate nel percorso espositivo, non importa quanto vi sembrino invitanti caciotte e sughi.
  2. Expo è un'Esposizione UNIVERSALE. Ovviamente saranno presenti persone di altre nazionalità, sia nello Staff che tra i visitatori stessi. Tenete a freno l'istinto del "OhmioDio, questa persona è DDDDIVERSA, nuocerà gravemente alla mia salute!". Il cannibalismo non è contemplato tra le discipline alimentari qui convenute, nessuno vi cuoce allo spiedo.
  3. Pur essendo un evento universale, non aspettatevi che un membro casuale dello Staff conosca TUTTE le lingue. Se vi spostate all'estero, abbiate la pazienza di scegliere un'interfaccia comprensibile. Noi dello staff non pretendiamo sappiate l'Italiano, l'Inglese va benone, a volte si conoscono anche altre lingue (nel mio caso, Giapponese e Tedesco). Ma se venite da me parlando esclusivamente nella vostra lingua ed essa non rientra nella mia gamma di conoscenza, è inutile che ve la prendiate dopo 5 secondi. Fatemi chiamare un/a collega e risolviamo. (*coff* Francofoni, parlo soprattutto a voi *coff*)
  4. Il "Ma io sono Americano/Tedesco/InserisciNazionalità" non vi dà accesso automatico ovunque. Siete comuni mortali.
  5. Ci sono tante persone, ai tornelli, ed Expo apre alle 10. Se vi presentate alle 10 meno cinque, è ovvio che ci sia già coda, quindi mettetevi buonini nelle vostre file e aspettate il turno. Mai andati a Gardaland?
  6. Se c'è scritto "Staff" o "Accrediti", vuol dire che il tornello è riservato alle persone indicate. Leggere PRIMA di intasare la fila, evitando di scatenare una protesta collettiva al grido di "Ma io ho pagato di più!" (sventolando il biglietto standard).
  7. Il biglietto non include delle consumazioni gratuite. Non è una discoteca.
  8. Scolaresche. Care. Scolaresche. Più siete avanti con l'adolescenza, più devastate. Se un touch screen si impalla, non si risolve certo premendo a caso in ventordici e resettando il sistema, costringendo lo Staff a mille peripezie per sistemare. Dovevate rimanere carini, infanti e coccolosi, voi. Senza andare a sconvolgere l'assetto tecnologico dei padiglioni, né tantomeno a rubare pomelli dai cassetti del Padiglione Zero. Gesù.
  9. Insegnanti di scolaresche che non guardano i bambini e se li perdono per strada, sgridandoli poi quando vengono riaccompagnati quasi in lacrime... Un esamino di coscienza, magari?
  10. Il fatto che una persona abbia un Accredito dello Staff non significa che sia il Conoscitore Universale di eventi e luoghi interni. Quello che sa, sa e condivide volentieri. Evitate di dare dell'incompetente a una persona che non conoscete e che probabilmente è in Pausa o ha appena staccato, ma si è lo stesso fermata ad aiutarvi, solo perchè non può confermare se davvero in Etiopia fanno quella conferenza sul Caffè con TizioCaioFamoso alle 17. Esistono gli Info Point e i Volontari. Più una comodissima applicazione per gli Eventi. E gli aggiornamenti in tempo reale di Sala su Instagram.
  11. Se vi dico "Buongiorno", sarebbe una cosa estremamente carina non ricorrere a tecniche quali: a) Ignorarmi totalmente, senza manco guardarmi in faccia; b) Rispondere "Buongiorno un cazzo"; c) Dire "No no, guardiamo soltanto, veloci veloci" (WTF. Non sto cercando di vendere nulla, io).
  12. Quando chiedete "Ma l'uscita dov'è?", cercate di accettare la mia risposta come buona. Se vi dico che dovete prima passare al piano superiore e SOLO da lì accedere all'uscita, vuol dire che c'è un percorso obbligatorio. Come in tutti i Padiglioni. Non puntate febbrilmente il dito contro l'uscita di emergenza, in fare accusatorio. Chiamasi "D'Emergenza" o "Riservata" per una ragione. E magari evitate di rivolgermi sguardi d'odio, sbuffando e mandandomi in imprecisati Paesi.
  13. (alias 12-Bis) Se vi dico che non si può passare in un certo posto, non fatelo comunque con atteggiamento di sfida e un "Chissenefrega" allegato, perché anche se sono una versione in bianco e nero di Memole tenterò di riportarvi sulla retta via, prima che scavalchiate i divisori. Il karma è una brutta bestia e voi ne avrete presto una nuvola piena sopra la testa.
  14. Se non parlate l'Italiano e io non colgo subito (perchè non tutti hanno scritta in faccia la propria National ID), fatemelo capire PRIMA che io mi lanci in tutta una serie di spiegazioni contorte. Si accettano sguardi smarriti, cenni di diniego, saluti in altre lingue e segnali luminosi. Ancora non mi hanno consegnato la tavoletta per la selezione automatica della Lingua.
  15. Non venitemi a chiedere con fare furtivo "Ma vi pagano? Quanto vi pagano?", perchè non posso rispondere. Magari evitiamo anche commenti conditi di luoghi comuni sui giovani fancazzisti, a voce alta. Così, giusto per tenere moderata la pressione.
  16. Se siete appena entrati e avete già fretta al primo Padiglione, perchè "Abbiamo solo oggi e dobbiamo vedere tutto", io mi metterei già l'anima in pace e mi godrei la visita in tutta calma. In particolare se avete una certa età e lo sprint non è dalla vostra parte.
  17. Alcuni padiglioni sono più frequentati di altri, tanto che prevedono, a volte, dei biglietti gratuiti di prenotazione. In mancanza di essi, c'è la fila. I visitatori sono tanti, ergo è normale che ci sia sovraffollamento. Lo Staff vi fa aspettare per evitare calche e/o perchè è una visita guidata, i commenti offensivi e le sciorinate logorroiche su quanto sia per voi penoso rimanere in fila per cinque o dieci minuti non vi fanno guadagnare terreno, tanto meno delle medaglie.
  18. Sono un Dipendente. Diiiiipendente. Con necessità e voglia di lavorare. Non mi si può ritenere responsabile per le decisioni prese direttamente dal Comitato Expo o attaccarmi perchè ho deciso di partecipare "ad un evento deprecabile, su basi corrotte". Verrebbe da chiedervi perchè siete entrati, se avete una così alta considerazione del luogo e di ciò che rappresenta.
Questo ottadecalogo è ovviamente incompleto, però può già portare a una civile convivenza.
Perchè ho deciso di dirlo? Per lamentarmi?
Nope.
Per ricordarvi che io, insieme al resto dello Staff, pagato, stagista e volontario, sono qui per voi. Sto lavorando al vostro uso e servizio, per potervi permettere di vivere un'esperienza piacevole, non di certo per ostacolarvi. Il rispetto dovrebbe essere una priorità, in questo come nel resto dei contesti di vita quotidiani, unitamente a virtù quali la pazienza e la comprensione. 
Inoltre, sto lavorando anche per me stessa. Perchè voglio fare esperienza, interfacciarmi con un pubblico e approfittare di quest'occasione per crescere professionalmente e personalmente. Perchè, nonostante il calvario dei colloqui, le delusioni, il trasferimento quasi immediato con espiantazione da casa a luoghi sconosciuti, le incertezze contrattuali e tutte le fatiche, sono grata di essere dove sono.
Non pretendo mi stendiate un tappeto rosso davanti, ma che almeno mi si ritenga un essere umano, impegnato a lavorare e non a divertirmi (anche se, per fortuna, a volte le due azioni vanno di pari passo).

Peace and Love <3

martedì 9 dicembre 2014

"Not a Monologue", or "A Dialogue with myself"

Quando si rimugina per troppo tempo sul da farsi o si procrastinano gli impegni all'infinito, è naturale trovarsi in una posizione di conflitto.
Nel mio caso, tuttavia, devo ancora capire perchè mi trovi ad avere ospiti indesiderati in camera ogni qual volta stia passando un periodo di crisi. Come se già non avessi evidenti problemi con l'Universo.

*Rimane davanti alla porta per qualche secondo, prima di entrare nella stanza*
- (tono esasperato) Non puoi essere di nuovo qua.
*la figura si rotola sulla schiena, per portarsi a pancia in giù sul letto che ha occupato*
 A me pare di sì. (sorride sorniona, puntellandosi coi gomiti sulla trapunta)
- No, invece. Gli accordi erano che te ne saresti stata buona buona all'incrocio tra il Plöck e Sophienstrasse.
 Evidentemente sono decaduti i termini contrattuali.
- Oh, non ci provare!
 Ci ho già provato e ci sono riuscita. Problems?
- Tanti problems. Soprattutto visto che sei una proiezione...
 ...Mentale del tuo io digitale?
- SHUSH! Una proiezione di me stessa, solo con 20 chili in meno e molta più presunzione!
 Se lo dici tu. (fa spallucce) Ti ricordo che le mie caratteristiche sono uguali alle tue. Eccetto l'avvenenza, quella è farina del mio sacco, ovvero della tua testa.
*Lara si massaggia le tempie, guardando l'Altra in tralice e sedendosi a cavalcioni della sedia accostata alla scrivania*
- Ascolta, capisco che noi si abbia avuto delle divergenze e che tu ritenga opportuno porre rimedio a ogni singolo dettaglio della mia vita, per ripicca o meno che sia...
 Stavolta ti ho anche fatto uno schemino. (solleva un foglio pieno di appunti e diagrammi)
- (prende un profondo respiro) ...Ed è molto premuroso da parte tua, lo apprezzo. Ma potresti evitare di comparire quando avrei altre cose da fare?
 Ti devo ricordare che fai tutto da sola e che, tecnicamente, i sintomi di questo comportamento sono associabili alla schizofrenia?
- Quel che è. Sparisci e basta, prenditi una vacanza, vatti a fare un giro su tutti quei mondi che ci siamo create assieme, scrivi post inutili sul web, infesta Tumblr. Come ti pare. Basta che mi lasci in pace, una buona volta.
*L'Altra inclina la testa, pensierosa, sospirando e annuendo mentre contempla il soffitto*
 Naaah. Passo. Perseguitarti è divertente!
- Ci avrei giurato.
 A tal proposito, che ne è della Questione Universitaria?
- Potresti essere un po' più specifica?
 Ma lo sono stata. LA Questione.
- Ah. Quella.
 Ah-ha.
- Sì. Beh, ecco, è annullata.
 Molto maturo da parte tua.
- Senti, ho passato un anno in Germania, manca un esame e poi di finire la Tesi. Mi pare un po' tardi, ormai.
 Certo. Come no.
- Non è che qualcuno mi abbia obbligata.
 Ovviamente. E dell'esame di domenica che mi dici?
- Sul serio? Cerchi per caso di farmi venire più dubbi di quanti già ne abbia?
 Mbeh, che ti aspettavi.
- Quell'esame è andato e neanche male, direi.
 Disse lei basandosi sul Potere della Botta di Culo, per gli amici PBC.
- Oh, piantala! Le cose le ho capite, è quello l'importante!
 Com'è importante rispettare le scadenze che ci si prefigge.
- Ti prego, no.
 Sì, invece. A Settembre pensavi di aver già finito con la tesi, a quest'ora. E invece stai ancora lavorando al primo capitolo.
- E' stato un periodo difficile.
 Lo è stato per tutti, non tirarti fuori solo perchè negli ultimi mesi non vedi altri che te stessa,
- Questo non è vero.
 Ah no? Quanto hai legato con i ragazzi del tuo gruppo? O gli educatori?
- Ci sto lavorando, dovresti smetterla di farmi pressione. Non è che rimedio dall'oggi al domani.
 Se ci aggiungo anche altri rapporti interpersonali, mi rispondi allo stesso modo?
- Dio, ma tu non ti stanchi mai.
 Mi ricarico sulla tua ansia, che ci vuoi fare.
- Anche lì ci sto lavorando, ma mi pare di esser messa bene con gli amici.
 Ma certo. Sei stata apertissima e disponibilissima, in fondo.
- Avverto una nota di sarcasmo, ma non vedo i sarcasmini fluttuarti attorno.
 Sì, scusa, avrei dovuto dirti che si sono presi una settimana di pausa.
- Una settimana?! e io che faccio?
 Affari tuoi, io ce l'ho come impostazione di default.
- Se l'hai tu, dovrò averlo pure io da qualche parte.
 Sì, ma senza i sarcasmini la vedo dura accederci.
- Bbboia vacca.
 Piccola Scaricatrice di Porto, non deviare dagli argomenti importanti. Non mi riferivo solo agli amici.
- Non ti riferisci mai solo a loro.
 Sarebbe troppo comodo non stuzzicarti a riguardo.
- Sorvoliamo.
 Certo, sorvoliamo e osserviamo il panorama.
- Altra me, NO.
 Essì. Ti dovrai pur decidere, una buona volta, per chiarire i tuoi sentimenti.
- Nope.
 Guarda che a sfogarti sul cibo e fingere di disinteressarti non risolvi nulla.
- La cioccolata mi ama, almeno.
 Ma ti amo anch'io!
- Balle.
 Sei tu che non credi di potermi amare.
- Non sono Narciso.
 Ti sarebbe utile, invece, L'amor proprio è una gran cosa, senza arrivare a casi Coxiani si intende.
- Stai iniziando a citare Scrubs? Mi pare che l'ultima volta avessi fatto mille storie per intimarmi a smetterla.
 Che ci vuoi fare, sono pur sempre te!
- Non ci capisco più nulla.
 Perchè continui a sviare dagli argomenti topici di questo conflitto interiore antropomorfizzato. La questione è: quanto e come vuoi essere felice?
- Una domanda cui si può rispondere in maniera assolutamente univoca.
 Fai la seria.
- Te non lo sei.
 Io sono sempre seria, solo che uso chiavi espressive diverse dalle tue.
- Fai troppe domande, altro che chiavi espressive.
 Che male c'è?
- In cosa?
 Nelle domande.
- La loro stessa natura è un problema. L'esistenza delle domande esistenziali e di vita è un problema. TU sei un problema.
 Perchè?
- No, pure i perchè no, adesso.
 Why not?
- Perchè no, Perchè non voglio.
 ...Perchè?
- Perchè evitare di pensare posticipa il problema permettendomi di concentrarmi su altro.
 Perchè dovresti pensare ad altro?
- Perchè ne uscirei matta.
 Perchè? Sono fatti normali, di vita. Credi che gli altri ne siano esenti?
- No, certo che no, ma devo pur pensare alla mia salvaguardia.
 Ma se sei qui di fronte a me, vuol dire che non stai ottenendo dei risultati soddisfacenti, con questa tecnica.
- Touché.
*Lara si sdraia sul letto assieme all'Altra*
- Non posso semplicemente rimandare?
 In questo modo, mi costringi a ripresentarmi più spesso, però.
- Chissà. Magari sto bene così.
 Allora mi vuoi almeno un po' bene.
- Appena. Ma non montarti la testa.

- 'Till the next time -

domenica 12 ottobre 2014

MemoryTraining - Chapter #5: Il dramma di un Lettore in Viaggio

Image by Kristi (on Flickr)

Il Lettore in Viaggio deve affrontare tutta una serie di sfide.

Ad esempio, cosa faccio, indosso le cuffie con la musica, conscio che i brani potrebbero cozzare contro il ritmo narrativo e darmi sui nervi, oppure sto senza, sopportando le interferenze provenienti da un bambino capriccioso urlante/un gruppo di teenager che produce idiozie lessicali/gente a caso che se fosse stata casa avrebbe fatto un favore all'Universo? Mi estraneo del tutto, chiudendomi in un mondo mio, con il rischio di trovarmi a Timbuctù, senza valigia, dopo essermi congiunto a una carovana di venditori di cammelli?

Ma l'ostacolo più grande è dato da Lei.
LA pagina.
Calato in uno stuolo di Babbani miscredenti che insiste nel chiedere, insulsamente, "Ma perchè ti devi sempre portar dietro un libro?!", il Lettore si allena alla pratica del "Conceal, don't feel, don't let them know" (Elsa docet), reagendo alla storia che ha tra le mani con più o meno malcelate pokerface (ma anche no).
Ma quando arriva LEI, quella particolare pagina, prima o dopo la quale l'intuito letterario suggerisce il disastro emotivo più totale, il "Well, now they know" si affaccia dietro il sedile del treno/aereo/autobus, facendo capolino con il suo ghigno malefico.

Allora, e solo allora, il Lettore in viaggio giunge a una decisione: chiudere il libro e rimandare il fatidico momento.

Perché in momenti simili non si coinvolge solo la pericolosità che l'esplosione del proprio assetto interiore potrebbe avere sull'ambiente circostante, ma anche (e soprattutto) l'importanza del tenere per sé e sé soltanto certi momenti clou di un racconto.
Vogliamo mettere a confronto una simile situazione incresciosa con la libertà di reazione psicofisica che un Lettore può concedersi, faccia a faccia con un libro, in luogo isolato?
Solo lui/lei e quel mucchio di carta stampata (o schermino dell'E-reader, siamo attuali), quel volume che, aperto in quella fatidica Pagina, rimane appoggiato su un letto o una scrivania, mentre il suo proprietario si sbraccia, lo insulta, si dispera, rotola a terra preso da uno spasmo di ilarità, piange rannicchiato in un angolo buio e tetro mentre tenta di farsi consolare dal gatto, che fugge via all'altro angolo della casa mentre il proprietario gli urla, singhiozzando, "Torna qui e amami!".

Quindi, nonostante il richiamo del procedere verso la fine del libro, in attesa del momento propizio in cui troverà il coraggio di fare i conti con sé stesso e la storia con cui, ormai, è in piena simbiosi, il Lettore in viaggio procrastina.
Di norma, iniziando a leggere qualche altro libro. O a scrivere.

sabato 31 maggio 2014

MemoryTraining - Chapter #4: Memory is a tricky thing

(sì, da molto non scrivo, ma sorvoliamo i soliti preamboli)
Image by Madeleine

La Memoria è un fattore problematico, sopratutto se si parla di definirne una collettiva o pubblica.

Tra le prime impressioni che ho avuto, arrivata in Germania, me ne ricordo una precisa, che si è installata nella mia testa quasi fosse un preconcetto. Stando ad essa, i Tedeschi parevano avere seri problemi con tutto ciò che potesse concernere la Seconda Guerra Mondiale, il regime Nazista e compagnia.

Sì, mi sto addentrando in un ambito molto discusso, ma è da parecchio che pondero in merito. Insomma, mettetevi nei miei panni, prima analizzo le questioni identitarie e l'idea di "Guilt" nell'immaginario Giapponese, poi mi trovo catapultata in una Nazione che pare avere simili problemi. Non potevo resistere ancora a lungo.
Quale modo migliore per parlare della questione Memoria di per sé, se non sfruttando questa bellissima collana di Memory Training?

Gli indizi che mi hanno portato a simili considerazioni, nei primi mesi di permanenza ad Heidelberg, sono stati molteplici: Propensione ad evitare discussioni in merito, anche tra studenti (che si spera abbiano un minimo di dimestichezza nel trattare tematiche dubbie); assenza di letteratura specifica in lingua dalle Librerie pubbliche; strutturazione delle sezioni storiche nei Musei o nelle esposizioni in modo da lasciare il periodo bellico sempre un po' opaco.
Certo, questi sono casi abbastanza peculiari, su cui forse mi sono istintivamente voluta concentrare - chiamiamola deformazione personale, mi piace trovare argomenti scottanti nella maggior parte dei contesti possibili, mi stimolano a pensare.
E' vero che pronunciare ad alta voce il nome di Hitler, anche in una conversazione del tutto obiettiva, può far girare tutte le persone circostanti con uno sguardo a metà tra preoccupazione e stupore (tanto che anche scriverlo mi pare un mezzo taboo). Come è vero che la struttura gerarchica stabilita nel periodo Nazista è ancora sottesa nell'assetto istituzionale, in particolare nel sistema scolastico e burocratico - ci sono tutt'oggi tracce e residui dei regimi anche in Italia, Giappone e Spagna, se è per questo.
Vogliamo poi considerare i consensi che sta mobilitando il Partito Neonazista, negli ultimi anni, arrivando anche a vincere un seggio alle Europee?
Ci sarebbero svariati argomenti da citare, a sostegno della tesi secondo cui "I Tedeschi non sono cambiati". Più o meno gli stessi riportati in superficie dal film "L'Onda", nel quale un ragazzo afferma che ormai la Germania ha imparato dal proprio passato, giusto prima che il gruppo sull'Autocrazia di cui fa parte degeneri e confuti una simile affermazione.

Un dubbio, tuttavia, mi si è insinuato col tempo: certo, i crimini compiuti nella Seconda Guerra sono palesi a tutti ormai, ma è necessario continuare a identificare i Tedeschi sempre e solo con questa fase storica? Può essere definito un atteggiamento corretto nei confronti delle ultime generazioni o, in generale, di una Nazione che per la maggior parte sta tentando di fare ammenda da quasi settant'anni?
Cosa è diventata la Memoria per il tedesco medio?

I primi sintomi di questa riflessione sono emersi grazie alla tendenza fastidiosa di certi buontemponi locali nello schernire l'Italia secondo vecchi e tediosi stereotipi.
Io e la mia precedente coinquilina, ancora a Novembre, siamo capitate in RufTaxi con un paio di tedeschi che avevano alzato abbondantemente il gomito nel bere e il cui linguaggio era talmente strascicato da capirci ben poco. Al nostro "Non vi capiamo più, parlate in inglese almeno" e all'affermazione distratta del "No, non siamo inglesi, siamo italiane", la risposta ci ha basito alquanto.
"Ah, venite dall'Italia? Ahah, Berlusconi, Mussolini!!"
Al che, mentalmente, stava scattando la risposta istintiva del "Da che pulpito", trattenuta per evitare stilettate nei calcagni. Rimuginandoci sopra più tardi, mi veniva da pensare, tra me e me: Ma ti pare che un Paese si debba identificare solo tramite esponenti che hanno fatto parlare di sé?
Poi, una lampadina. La stessa domanda era applicabile alla Germania stessa. Tutti avrebbero continuato a vederla sotto una determinata luce, sempre e comunque, almeno in Europa.
Non vi dico la confusione e il groviglio di idee nella testa.
Negazionismo, elisione di dettagli scomodi, stereotipi e colpe.
In tutto ciò, la Memoria pareva sottoposta a un doppio trattamento
Da un lato, c'era la ripetizione spasmodica, tipo mantra, di tutte le macchie che avevano segnato la coscienza collettiva: monumenti, memoriali, libri di testo, Musei specializzati; mesi di istruzione scolastica su cosa sia successo e su come i tedeschi debbano prendersi le proprie responsabilità, fin dalla prima infanzia; targhette in ogni angolo della Germania, da Berlino ai paesi più sparuti, davanti alle case in cui un tempo abitavano persone morte nei campi di concentramento, perlopiù Ebree.
Dall'altro, la superficialità data dall'evitare semplicemente di citare temi anche remotamente collegati alla questione, sorvolando, non parlandone, perchè tanto se ne creerebbero problemi e basta - un'autocensura, se vogliamo darle un nome.
Caso a parte è la minoranza nazionalista, sopravvissuta alla purga ideologica, sulla quale non mi voglio soffermare.

Ecco. Ora come ora, direi che il peso della Memoria è consistente. La sua interpretazione però è molto distressed, tirata e sformata della sua consistenza ideale, in certi casi perfino esasperata.
In questi mesi, ho saggiato il terreno più volte, per capire a chi potevo chiedere un approfondimento in merito. Siamo in Germania, suvvia, parliamo coi diretti interessati.
Facile a dirsi, un po' meno a farsi. Perché in questo insieme di impressioni temi anche di offendere determinati individui, se "pretendi" di conoscere la loro percezione in merito. Una volta mi hanno risposto piuttosto male, con un "Non può andare in giro a fare queste domande!".
Però non demordo facilmente. Ho trovato persone più disponibili, entro l'ambito accademico. E ho avuto dei riscontri molto interessanti. Una volta, c'è stata una chiacchierata in amicizia con un professore brasiliano e dei compagni di corso tedeschi, mentre prendevamo qualcosa al bar, a degna conclusione del semestre.
L'argomento è semplicemente emerso, senza attriti o che. Il corso trattava il Buddhismo nel Giappone degli ultimi secoli, passando anche per la fase Totalitarista.
Ricordo quel che disse una ragazza.
"Voglio dire, è normale che si debba ricordare, è da una vita che ci sentiamo ripetere quanto sia importante ricordare. Ma io, io in quanto persona, lì non c'ero. Perchè mi devo sentire vincolata e colpevolizzata? Quanto tempo sarà passato, sei-sette decadi? La memoria è un conto, ma chi vive ora dovrebbe avere il diritto di poter andare avanti senza un'etichetta derivata da una responsabilità vecchia di quattro generazioni."
I contenuti erano circa questi, il tono totalmente privo di risentimento. Una considerazione pura e semplice, data da una persona estranea al negazionismo, molto diretta e disponibile, che conosce bene la realtà in cui vive e che è stanca di avere a che fare con vecchi sentimenti.
Si potrebbe ribattere, questo è sicuro. Ma si potrebbe anche mettere in discussione la propria visione delle cose, visto che siamo nel terzo millennio e dovremmo aver imparato qualcosa a riguardo della dialettica (giusto un po'), anche se certi elementi tendono a dimenticarsela.
A supporto di questa personale reinterpretazione della Memoria, ci sono state altre persone. Tra di esse una compagna di corso, qualche settimana fa, con cui mi sono persa a chiacchierare del più e del meno, dopo una lezione riguardante il fattore Memoria per il Giappone, messo a confronto con Germania e Italia.
"Non è facile spostarsi per il mondo e trovarsi a nascondere quanto più a lungo possibile il fatto che sei Tedesca. Mi piace qui, si vive abbastanza bene e c'è libertà di espressione. Dover fare a meno della mia identità perchè altrimenti partono tutta una serie di stereotipi è frustrante. Sono la prima a condannare quello che è successo, la mia famiglia ha perso dei membri durante gli anni del Nazismo, ritenuti oppositori politici o magari in ottimi rapporti con persone di origine Ebraica. E sono d'accordo con il prendersi le proprie responsabilità e tutto, ma non è ora di andare avanti?"
Siamo andate avanti parecchio con i discorsi, declinandoli anche al caso Nipponico e Italiano.
Non potevo darle torto. Anche perchè, per quanto in Italia ci sia stata la resistenza, la collaborazione con gli Alleati post '43 e corollari, gli Italiani stessi detengono una buona dose di responsabilità a loro volta, per motivi simili. Dalla nostra prospettiva, si dovrebbe capire cosa comportano certe azioni. Ed è giusto che se ne faccia Memoria, nel limite dell'umano.
Quando la Memoria pregiudica l'autoaffermazione dell'individuo in quanto tale, però, forse diventa un problema. Nella stessa posizione, personalmente reagirei allo stesso modo. Parlerei e discuterei apertamente di quel che è successo, ma allo stesso tempo mi verrebbe spontaneo cercare un modo per liberarmi del peso dato dalla coscienza collettiva, per vivere secondo i miei principi, rispondendo di quello che compio.

Insomma, una questione decisamente contorta e ben palese nella realtà tedesca. Non si sa dove sbattere la testa, non si sa se siamo in grado o nella posizione di giudicare; non si sa nemmeno in che modo si dovrebbe distribuire la colpa o dove la si dovrebbe andare a cercare nella società di oggi.
Forse, il guilt è diventato talmente abitudinario da essere assunto come prerogativa del vivere, in stile Protestante?
Chissà.

For sure, Memory still is a tricky matter.

sabato 29 marzo 2014

100 books to read in a lifetime - The Big Read

Ok. Ho interrotto la produzione di Post.
Mea culpa, mea maxima culpa.
E ancor più colpevole potrei essere per riprendere la scrittura con un articolo del genere.
Però ultimamente sto scrivendo e leggendo molto poco, se si escludono i paper e i testi accademici. Quindi, trovarmi davanti la lista dei Must della letteratura stilata dalla BBC mi ha dato da pensare. Sinceramente l'avevo già vista ed è molto probabile che sia una versione rivisitata appositamente per il web, o per questo genere di giochetto per social network, visto che l'indagine della BBC era meno definita e più ampia.
Ma non importa, per ridare un po' di vita al blog e una certa curiosità a me stessa, procediamo.

Sono segnati in grassetto i libri da me letti e quelli che non ho finito sono invece in corsivo.
Alla fine il risultato. Ci terrei a precisare che molti di quelli non segnati sono nella mia infinita lista d'attesa, sotto la categoria "da leggere". Come svariati di quelli non finiti.
Ecco.

1 Orgoglio e Pregiudizio – Jane Austen
2 Il Signore degli Anelli – J.R.R. Tolkien
3 Il Profeta – Kahlil Gibran
4 Harry Potter – JK Rowling
5 Se questo è un uomo – Primo Levi
6 La Bibbia
7 Cime Tempestose – Emily Bronte
8 1984 – George Orwell
9 I Promessi Sposi – Alessandro Manzoni
10 La Divina Commedia – Dante Alighieri
11 Piccole Donne – Louisa M Alcott
12 Lessico Familiare – Natalia Ginzburg
13 Comma 22 – Joseph Heller
14. L’opera completa di Shakespeare (e adesso, tutta tutta??)
15 Il Giardino dei Finzi Contini – Giorgio Bassani
16 Lo Hobbit – JRR Tolkien
17 Il Nome della Rosa – Umberto Eco
18 Il Gattopardo – Tommasi di Lampedusa
19 Il Processo – Franz Kafka
20 Le Affinità Elettive – Goethe
21 Via col Vento – Margaret Mitchell
22 Il Grande Gatsby – F. Scott Fitzgerald
23 Bleak House – Charles Dickens
24 Guerra e Pace – Leo Tolstoy
25 Guida Galattica per Autostoppisti – Douglas Adams
26 Brideshead Revisited – Evelyn Waugh
27 Delitto e Castigo – Fyodor Dostoyevsky
28 Odissea – Omero
29 Alice nel Paese delle Meraviglie – Lewis Carroll
30 L’insostenibile leggerezza dell’essere – Milan Kundera
31 Anna Karenina – Leo Tolstoj
32 David Copperfield – Charles Dickens
33 Le Cronache di Narnia – CS Lewis
34 Emma – Jane Austen
35 Cuore – Edmondo de Amicis
36 La Coscienza di Zeno – Italo Svevo
37 Il Cacciatore di Aquiloni – Khaled Hosseini
38 Il Mandolino del Capitano Corelli – Louis De Berniere
39 Memorie di una Geisha – Arthur Golden
40 Winnie the Pooh – AA Milne
41 La Fattoria degli Animali – George Orwell
42 Il Codice da Vinci – Dan Brown
43 Cento Anni di Solitudine – Gabriel Garcia Marquez
44 Il Barone Rampante – Italo Calvino
45 Gli Indifferenti – Alberto Moravia
46 Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar
47 I Malavoglia – Giovanni Verga
48 Il Fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello
49 Il Signore delle Mosche – William Golding
50 Cristo si è fermato ad Eboli – Carlo Levi
51 Vita di Pi – Yann Martel
52 Il Vecchio e il Mare – Ernest Hemingway
53 Don Chisciotte della Mancia – Cervantes
54 I Dolori del Giovane Werther – J. W. Goethe
55 Le Avventure di Pinocchio – Collodi
56 L’ombra del vento – Carlos Ruiz Zafon
57 Siddharta – Hermann Hesse
58 Il mondo nuovo – Aldous Huxley
59 Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte – Mark Haddon
60 L’Amore ai Tempi del Colera – Gabriel Garcia Marquez
61 Uomini e topi – John Steinbeck
62 Lolita – Vladimir Nabokov
63 Il Commissario Maigret – George Simenon
64 Amabili resti – Alice Sebold
65 Il Conte di Monte Cristo – Alexandre Dumas
66 Sulla Strada – Jack Kerouac
67 La luna e i Falò – Cesare Pavese
68 Il Diario di Bridget Jones – Helen Fielding
69 I figli della mezzanotte – Salman Rushdie
70 Moby Dick – Herman Melville
71 Oliver Twist – Charles Dickens
72 Dracula – Bram Stoker
73 Tre Uomini in Barca – Jerome K. Jerome
74 Notes From A Small Island – Bill Bryson
75 Ulisse – James Joyce
76 I Buddenbroock – Thomas Mann
77 Il buio oltre la siepe – Harper Lee
78 Germinale – Emile Zola
79 La fiera delle vanità – William Makepeace Thackeray
80 Possession – AS Byatt
81 A Christmas Carol – Charles Dickens
82 Il Ritratto di Dorian Gray – Oscar Wilde
83 Il Colore Viola – Alice Walker
84 Quel che resta del giorno – Kazuo Ishiguro
85 Madame Bovary – Gustave Flaubert
86 A Fine Balance – Rohinton Mistry
87 Charlotte’s Web – EB White
88 Il Rosso e il Nero – Stendhal
89 Le Avventure di Sherlock Holmes – Sir Arthur Conan Doyle
90 The Faraway Tree Collection – Enid Blyton
91 Cuore di tenebra – Joseph Conrad
92 Il Piccolo Principe– Antoine De Saint-Exupery
93 The Wasp Factory – Iain Banks
94 Niente di nuovo sul fronte occidentale – Remarque
95 Un Uomo – Oriana Fallaci
96 Il Giovane Holden – Salinger
97 I Tre Moschettieri – Alexandre Dumas
98 Amleto– William Shakespeare
99 La fabbrica di cioccolato – Roald Dahl
100 I Miserabili – Victor Hugo

RESULTS:
- Letti 33/100
- Non finiti 18/100

sabato 1 febbraio 2014

MemoryTraining - Chapter #2: Being Italians

Image by Giorgio Ghezzi

C'è una caratteristica insita dell'essere italiani: trovarsi. Ovunque, comunque.
E se anche, rimanendo nel Bel Paese (ora più che mai in senso Dantesco), vi venga il dubbio di dovervi vergognare del vostro luogo di provenienza, una volta all'estero, preparatevi a riconsiderare le vostre valutazioni, almeno un po'.

Non lo nego, siamo una popolazione alla quale sono state attribuite valanghe di stereotipi, positivi e negativi, oltre che a volte decisamente romanzati.
Ad esempio, abbiamo fama di essere una specie di modello Orso Abbracciatutti, cosa che spinge qualsiasi sconosciuto ad avere una confidenza immediata nei nostri confronti, completa di baci e abbracci - se siete come la sottoscritta non è l'approccio più appropriato (andiamo, do I even know you?? Nooon si tocca!), ma fa comunque intendere che partiamo con una marcia in più in molteplici occasioni. A parte con chi ci detesta a prescindere per la nostra nazionalità, ovviamente, cosa che - ahimè! - può capitare anche a noi, per i più svariati motivi.
In mezzo ai vari apprezzamenti, ci sono ovviamente tutti quelli riferiti all'arte, alla cultura, alla buona cucina e alla moda, ovvero tutta una dimensione estetico-gastronomica che può mettere in difficoltà l'interlocutore internazionale. Mi è capitato di avere a che fare con ragazzi ai fornelli, messi in soggezione dal fatto di dover servire da mangiare a un gruppo di italiani: sarà anche stata una mia impressione, ma c'era un certo nervosismo nell'aria, che mi ha fatto sorridere non poco, soprattutto considerato che sono di poche pretese, quando mi viene offerto qualcosa. Sì, amo la buona cucina e sì, sono convinta che lo stile Mediterraneo sia quello che preferisco, ma andiamo! Un po' di varietà non guasta, soprattutto fuori porta. Dicasi spirito di adattamento. Bene, mi è pure venuto appetito, ora.

Sto un tantinello deviando dal leitmotiv. O forse è solo un'impressione. Ma tornando al punto (se mai ce n'è stato uno)...
Il fattore stereotipi, siano essi culturali, comportamentali o accademici (sì, pure questi e meno negativi di quanto si possa immaginare), ha grande eco non soltanto con persone di altra nazionalità, ma con gli stessi connazionali - o nella maggior parte dei casi, i loro "derivati".
Un italiano in viaggio o in situazione di fresco trasferimento all'estero ha un'altissima probabilità di incontrare le seguenti tipologie di individui:
  1. altri Italiani residenti/dislocati temporaneamente all'estero;
  2. persone che parlano correntemente italiano, anche straniere;
  3. gente che è passata in Italia, che ci ha vissuto o viaggiato più volte;
  4. figli di famiglie italiane trasferitesi da decenni, stranieri di seconda generazione.
Queste quattro categorie se la giocano praticamente alla pari, variando a seconda dello Stato in cui ci si trova. Personalmente, ho avuto modo di trovare almeno uno dei punti sopra citati in ogni luogo che ho visitato. Ogni. Singolo. Posto.
Al che, se anche io avessi mai avuto in mente di staccarmi dal mio Paese Natio in modo drastico, mi troverei nella condizione di rinunciare a prescindere.
Image by Alina Deacu
L'Italiano, l'Italianità è ovunque.
Ma proprio ovunque, eh, partendo dalle persone incontrate alla fermata dell'autobus, per poi andare a trovare, all'angolo del borghetto sparuto in cui siete capitati, un localino che fa una pizza meno buona di quella di casa, ma pur sempre "Al cigno" o "Da Mario" si chiama.
Dall'Italia non si sfugge, ti ritrova ovunque tu sia, in molteplici forme.
Se negli ultimi anni sono i Cinesi a spargersi per il mondo a macchia d'olio, per chiari motivi numerici, un ruolo simile è stato ricoperto a suo tempo da noialtri, c'è poco da fare. Gli effetti sono palesi tutt'ora.

Tornando all'elenco di prima, pensiamo un po' all'incontro con la tipologia 1 e la tipologia 4. Entrambe, rendendosi conto di essere davanti a un connazionale, diventano improvvisamente e splendidamente disponibili, curiose come falene davanti a uno spettacolo pirotecnico.
Nel primo caso, c'è quel momento di reciproco studio, una manciata di secondi in cui si appura in silenzio di essere proprio voi, sì, siete italiani entrambi e tra tutta la gente che c'avevate attorno, avete finito con l'incontrarvi.
*momento suspence*
E via di stramazzi, risate e "Ma tu da dove sei?", "Ma va!", "E ti pare che io a Timbuctu vada a trovarmi proprio un Italiano!". Eccetera.
Di norma, a me parte un filmino mentale nel quale i due imitano una corsa sulla spiaggia al rallentatore, tipica dei film sentimentali, per poi finire con l'abbracciarsi manco si conoscessero da sempre. O, se meno touchy, scambiarsi una stretta di mano/pacca sulla spalla con annesso sorriso complice, ma questi sono dettagli.
In stile, facciamoci riconoscere.

Se valutiamo invece il quarto caso, l'italiano di seconda generazione ha spesso ereditato un senso di nostalgia consistente nei confronti della terra di provenienza dei propri genitori, dove molto probabilmente hanno ancora parenti.
Questi sono in grado di riconoscere la vostra sfumatura d'accento, che stiate parlando con l'autista di un autobus per chiedere informazioni o che ordiniate un caffè al bar. Illuminati, quasi folgorati sulla via di Damasco, non vedono più altri che voi, raccontandovi di come sognino di tornare nello Stivale per studio o lavoro.
Siete in una pista da ballo affollatissima, vi sentono scambiare due parole in italiano e subito vi fermano, occhi sbarrati e sbrilluccicosi. Proprio voi in tutta la massa di gente, è un segno.
E ancora, camminate tranquilli con un gruppo di amici in una strada metropolitana, un ciclista in senso inverso vi osserva, inchioda e con un sorriso a trentadue denti vi fa notare come ambedue i suoi genitori fossero italiani, "Padova e Potenza, sì?". Una chiacchierata di mezzora, tentando di coprire i rumori del traffico.
Sì, è affetto puro, non c'è da sbagliarsi.

Allora, forse davvero la nostra reputazione è da rivalutare.
Ci sarà anche una triste parentesi politica (altro punto noto tra gli stereotipi), il pessimo status economico e l'insicurezza su tutto quanto rappresenti la parola "Futuro", che quando pronunciata ad alta voce per le vie di una qualsiasi delle nostre cittadelle funge da spauracchio come pochi.
Ma ciò non vuol dire che l'Italiano all'estero non si faccia notare per adattabilità, openmindness e duttilità, abilità che riscopriamo nostre solo quando messi alla prova, come qualsiasi essere umano.
Ci troviamo. In tutti i sensi che questa parola possa avere, all'estero troviamo il significato della parola "altro", troviamo persone con radici simili alle nostre, ma soprattutto ritroviamo un'identità sana, mutata, che ci fa star bene con noi stessi, restituendoci quella condizione di obiettività che permette di rientrare in gioco.

Chissà, magari se tutti gli italiani medi passassero di regola un periodo all'estero, avremmo già imparato a ristrutturarci.
Con calma, impareremo.
Ci troveremo, anche in quell'insieme geografico che non sempre riusciamo a definire casa.
That's being italians. (or, at least, should be)

giovedì 23 gennaio 2014

MemoryTraining - Chapter #01: L'uomo delle noccioline

Fare da portinai ha sempre qualche vantaggio, checché la categoria lavorativa in questione possa subire l'ironia della gente.
Ci sono porte grandi, porte piccole; anonime porte di condomini, porticine variopinte in casette a schiera su modello nordeuropeo; porte del seminterrato, portoni da garage. In qualche parte di mondo, le porte ci sono e non ci sono, con un concetto relativo di spazio e dimensione privata.
Image by Kristin614

Cosa c'entra con il MemoryTraining? C'entra, c'entra.
E con l'Erasmus? Ben poco, ma come ho detto ci sono alcuni arretrati con diritto di precedenza.
Un po' di pazienza, è il flusso di memoria.

Dicevo, i portinai. Hanno un compito gratificante, per quanto riguarda la comunicazione, ma al contempo ingrato, se si bada a dover tener fuori chi è da tener fuori - non sempre un affare facile da sbrigare.

Immaginatevi di essere sulla soglia di uno di quei grandi portoni in ferro battuto, riverniciato per bene con doppia mano di verde bottiglia, che delimita il confine tra il marciapiede di una via minore in una comune metropoli e un cortile di un collegio scolastico - svuotato degli ordinari studenti e riempito di gente all'opera per gruppi che vanno e vengono. Viavai.
Fuori, passanti curiosi come Tangare, messi in fibrillazione dalle variazioni nel loro ambiente abituale.
Bene. Piazzatevi a fare da portinaio qui. Meno restrizioni in entrata, un puro e semplice ruolo interattivo. Semplice, beh, insomma. Ad interpretazione. Aggiungete la vostra incapacità comunicativa, con una differenza di lingua madre e carenza di basi idiomatiche locali.
Mettersi a fugare dubbi e a rispondere a domande in questo contesto è una sfida interessante. Con un po' d'impegno, portinai miei, potreste trovarvi gratificati.
Da che? Ci impariamo la lingua?
Meglio.
Incontriamo personaggi di spicco in borghese senza saperlo?
Meglio, meglio.
Noccioline.
Che?!
Noccioline, sì. Il classico contentino per riempire i buchi nello stomaco.
L'uomo delle noccioline sgranocchia tutto serio davanti a voi, senza far emergere emozioni particolari, oltre a una certa voglia di far passare la noia. Almeno, a voi pare di intravedere una cosa simile sotto la pelle grinzosa. L'intonazione un po' strascicata non vi fa capire tutto quello che dice, imbrogliando l'intuito interpretativo. Cerca di aiutarvi una donnina che lo conosce, con fare paziente più verso lui.
In mano ha un sacchettino di noccioline sudamericane di quelli che paiono presi a sbafo da qualche frigo bar, piccolo, carta blu lucida e stropicciata.
Dopo qualche sbuffo e alcuni discorsi che riuscite a capire solo per un quinto, al massimo due, fa gesto di allungare la mano. Ingenuamente, imitate il movimento senza capire, realizzando a fatica anche quando vi ci versa parte del contenuto del sacchettino. Tentate di dire che non serve, ma un verso dell'uomo vi fa intuire che non le rivuole, quindi ringraziate e sgranocchiate pure voi, mentre lui si siede su una sedia a caso, che avevate messo a tenere il portone e a supporto vostro per gli attimi di moria.
Mentre condividete il premio inatteso con un collega e vi accingete a dare un paio di informazioni a due giovani in cerca di altri, non lo perdete di vista, più incuriositi degli autoctoni. Eppure, quando questo svuota ufficialmente il resto delle noccioline in mano vostra e del collega, manco vi siete resi conto che s'era alzato.
Non si capisce bene come comunichi. Sarà che le noccioline v'hanno traviato e, nonostante siano decisamente salate, addolcito, ma in fondo vi sta simpatico, brontolii e companatico inclusi.
Magari sarà superfluo, incidentale, eccetera. Intanto, l'Uomo delle Noccioline c'è.

MemoryTraining - Chapter #00 (Pilot): Chi&Come

Image by Street_Spirit

Avrei dovuto iniziare a scrivere un diario di Viaggio dall’inizio, mica a quasi quattro mesi da quando sono all’estero.
È una questione di correttezza cronistica e umana. Chiariamoci, non è un obbligo morale o un sommesso tentativo di autocelebrazione, non credo arriverei a tanto. Dovrei sapere assumere toni epici, il che esula vagamente dalle mie competenze. In ogni caso, da quando è iniziato questo capitolo di vita avrei dovuto attribuire il valore adeguato a certi suoi aspetti e a determinate persone.
Cercherò di rimediare.
Non credo sia il caso di fare lunghe descrizioni prolisse di eventi accaduti, anche perché da un certo punto di vista dovrebbe vigere la regola del “Quel che avviene in Erasmus, resta in Erasmus” (le balle, sto raccontando alcuni dettagli vari et eventuali, a chi sa come chiederli). Sì, un Fight Club modalità studentesca che poggia su enormi stereotipi, talmente fantasmagorici che sfidano l’abilità immaginativa dei più azzardati utopisti (con certe basi, quello è da ammettere).
Mi piacerebbe che però la categoria di post che mi accingo a lanciare non si limiti a quest’esperienza. Ho molte cose in arretrato, relative a viaggi e non, che non ho mai diffuso a dovere.
Ci sono persone e fatti che caratterizzano i momenti della nostra vita, i quali possono rientrare nella nostra sfera personale come anche essere semplicemente persone di passaggio, punti di contatto, fraintendimenti, attimi di confusione, soggetti nei quali si individua una linea comune alla nostra, che si perdono di vista in un batter d’occhio, nell’unica intersezione che le linee temporali reciproche possano avere.
Ecco, di questo vorrei parlare. Non sembra molto chiaro, forse. Spero di dissolvere un po’ di dubbi.
Dopotutto, delle pietre vanno pur posate, anche tornando indietro con la memoria. Un valido esercizio per chi, come me, a volte rifiuta di ricordare perché troppo pigro.

E non lasciamola scappare, ‘sta ispirazione.

lunedì 9 dicembre 2013

Chi ha sputato nel piatto di fagioli?

"Sai, avremmo dovuto prendere uno di questi taccuini e fare una specie di diario di bordo, fin dall'inizio."Nel dirmi questo, qualche giorno fa ai Weihnachtsmarkt, la mia coinquilina non aveva tutti i torti.

Sono circa due mesi che non scrivo sul blog. Il mio arrivo qua precede l'ultimo post di una manciata di giorni.
Non è che abbia qualche strano blocco dello scrittore. Ho creato tre racconti in italiano, un testo in giapponese, sto preparando una presentazione in tedesco di cui mi devo prima fare uno script, ho trovato una tematica specifica che probabilmente porterò a Tesi, sto lavorando su due esami da non frequentante e su due papers, ho pronto il canovaccio di un video e ho vari racconti in sospeso.
Mi sono anche premurata di tenere aggiornate un po' di persone - oralmente, via skype, via social.

Sta andando bene. Dico sul serio, anche se faccio fatica ad adattarmi al sistema locale e alla mescolanza di lingue, sto cercando di adattarmi al meglio e il metodo mi piace. Ho alcuni problemi ancora con la burocrazia e con dei corsi in Italia, ma si sistemeranno. Studio e incontro persone. Tante, varie, belle. Raccolgo storie, raccolgo esperienze e caratteri senza i quali questo periodo non sarebbe stato uguale.
Sono passata per Francoforte, Karlsruhe, Mannheim, Stoccarda, Esslingen, i dintorni di Heidelberg oltre alla città stessa.
Mi metto in gioco. Non per questo mi scordo del punto da cui sono partita.
Ho perfino previsto un ritorno a casa per Natale, fuori programma. E ad essere sincera, sono un po' pentita del fatto di rimanerci appena una settimana. Ma mi aspetta un Capodanno con Erika quassù. Mi verranno a trovare altre due persone, nel frattempo, Alessia la prossima settimana e Miriam a Gennaio.

Rimane qualcosa che non va.
Non è il posto. Non è la gente. Non è lo studio.
In sostanza, è una cosa tra quelle che temevo accadessero. Sento di esser stata messa da parte.
Il che è buffo, da un certo punto di vista sono io ad essere partita fregandomene di tutto e tutti, così, per un anno - dieci mesi, quel che è.
In molti si sono raccomandati, "Non scordarti di me, eh!". Seems legit, io mi creo nuovi contatti qui per non essere un'isola, quindi viene automatico pensare che tutto il resto non mi interessi. Lo capisco, davvero. Ciò non giustifica, dall'altra parte, un comportamento analogo. Qualcuno ci scherza sopra, a riguardo - ma normalmente, si tratta di persone che sento regolarmente e che sto apprezzando sempre di più per questo.
Onestamente? Ci sto provando.
Per quanto possa esser dura, non sono in capo al mondo e anche se mi è impossibile esserci fisicamente per certe cose, continuo a pensarci, a farmi venire in mente persone che hanno caratterizzato la mia vita finora, a riti quotidiani e settimanali che non sono più la mia norma e la cui assenza ha sostanzialmente modificato il mio stile di vita in appena due mesi.
Non sarò costante - la vedo dura, tenendo conto di tutti i fattori, è naturale non avere gli stessi riflessi e la stessa prontezza che a "casa". Però almeno ci penso, ci provo. Perchè devo essere solo io a prendere l'iniziativa? Perchè io sono una e gli altri sono tanti, quindi l'una isolatasi dalla massa è quella che deve fare il maggiore sforzo? E ripeto, l'ho fatto.
Tant'è che, comunque, la massa mi ha tenuto in conto per ben poco, facendo emergere probabilmente quei pochi che vogliono ricambiare lo sforzo, per quanto soffrendo la distanza - e a questi pochi, che hanno sopportato papiri via messaggio o via mail, ore infinite di conversazione tramite uno skype che sembra intenzionato a riavviarmi il pc almeno tre volte per sessione, va il più grande e sincero affetto che la mia me delle 3.30 del mattino sia in grado di produrre (vi voglio bene, sappiatelo).
I restanti forse ci hanno provato, ma con così poca convinzione che il tentativo è sfumato nel corso delle prime settimane. Passato ottobre, passata la festa. Basterebbe un messaggio a caso, come fa qualcuno, che lascia delle chicche in giro per le bacheche che apprezzo tantissimo, pur nella loro essenzialità.

Sarà per questo che non nutro un così grande interesse a rendere nota ogni cosa al "pubblico", se c'è mai stato. Se qualcuno vuole davvero sapere per filo e per segno le cose, basta chiedere. Ma anche no, suvvia, cosa pretendiamo. Sono via, quindi ho già dato tutto quello che potevo dare. Non servo mica.
Tanto che me frega, a me. Tanto, son qua pei cazzi miei, se voglio mi devo muovere io. Tanto si sa che è così.
Tanto poi mi abituo, no?
Certo.
Tanto poi mi abituo.
Tanto.

Grazie. Danke. Thanks. Gracias. Obrigada. ありがとう. 谢谢. Merci. 감사합니다. Tapadh leibh.
Spero il senso di sarcasmo riesca a filtrare attraverso tutte queste lingue.

venerdì 12 luglio 2013

In Viaggio

Presumibilmente, questo è un blog bipolare.
Come il canale video. Va e viene così, a ispirazione. Ma dopotutto, non penso proprio che scrivere debba essere una cosa forzata. Non sono una scrittrice, ne ho avuto la comprova pochi giorni fa davanti a una persona dalla fantasia encomiabile, in grado di creare storie dal nulla in tempi stretti. Io non ne sono in grado. Vado a tratti. Talora mi sfogo per ore, stendendo e correggendo brani, racconti, poesie, robe non altrimenti meglio definibili. Altre volte passano mesi tra una fase di creatività e l'altra.

Morale: non pubblicherò mai nulla, se non mi viene assegnato.
Ragion per cui tesi e ricerche per esami non mi spaventano affatto. Sono parecchio indietro con una tesina da preparare per un esame opzionale, da non frequentante, sul tema del razzismo trans-pacifico tra USA e Giappone. So cosa fare, ma aspetto, sapendo di produrre al meglio quando avrò la mente più libera. Il 13 settembre è ancora distante.
Idem con patate e rucola per un saggio/racconto/concorso svolto il 1° luglio: mi sono presentata a Venezia, sotto antibiotici e in vista di ben due partenze nel giro di dieci giorni per svolgere un tema di matrice Erasmus, solo per competere a livello nazionale con chissà quanti altri pretendenti delle due borse di studio da 500 euro. Il tutto senza preparazione alcuna, senza dizionario, senza alba di possibili tracce subodorate. Così, all'acqua di rose. Finendo poi per scrivere un racconto.

Fatico a capirmi, in senso lato.
Fatico a capire perché a casa non mi sento più a casa.
Fatico a capire perché dico di amare la lettura e la scrittura se, ora come ora, sono fattori parecchio messi al patibolo nel mio immaginario personale.
Fatico a rendermi conto di essere una persona ufficialmente in viaggio, che si sente più a suo agio e più presa in considerazione in ogni luogo tranne che dov'è sempre stata.


Sto notando che, appena prima di partire, non ho il senso della partenza, almeno non in modo così accentuato e non negli ultimi tempi. Ero eccitata all'idea di partire per Shanghai, tre anni fa (oh cielo, son già tre anni), come lo ero prima di tornare in Irlanda per San Patrizio, sempre nel 2010.
Più o meno è da allora che non mi muovo all'estero, escludendo brevi tappe in Slovenia-Austria, alle quali però posso dire di essere in qualche modo abituata. Tagliamo fuori anche quelle due volte che ho accompagnato o sono andata a prendere mia cognata e i bambini in Germania.
Gli ultimi tre anni sono rimasta qui, perdendo come non mai il senso dell'altro. Non dello "straniero" e basta, chiariamoci. Dell'Altro, quello con la A maiuscola. Mi sono man mano atrofizzata nelle relazioni.
Non fosse stato per alcune parentesi che mi hanno smossa, sarei totalmente apatica, a forza di soffocare emozioni non corrisposte o tentativi di approccio verso un qualsiasi prossimo messi a tacere.

Le parentesi in questione mi hanno, per così dire, salvato. Momenti di aggregazione, momenti di confronto, momenti che sono culminati in Campiscuola estivi, di una settimana al colpo tra Giugno e Luglio assieme a X giovani e un centinaio di ragazzi, delle più varie età.
Banale? Mah, per qualcuno forse. Non per me. Non credo siano una dimensione scontata. Vero, faccio animazione in parrocchia e professo un certo Credo. In più, ho aspettato ben più del dovuto per aderire a una simile iniziativa estiva. Ritengo sia un'opportunità da non sprecare, tuttavia. A scanso d'equivoci, finora ne ho fatti tre, uno per estate, dal 2011 incluso. Il primo è sempre il primo, il secondo aveva un che di sospetto nei ragazzi, il terzo... Beh, il terzo è il terzo, forse più del primo.
Non mi sto spiegando, no. Mettiamola così: prima dei Campi del 2011 e del 2012, ero oltremodo preparata, pronta a tutto, mi ero assestata psicologicamente per l'esperienza, tesa peggio di una corda di violino in una composizione di Béla Bartók (oddio, reminiscenze).
Quest'anno no. Niente, ma proprio neanche l'ombra di uno stralcio di consapevolezza del fatto di dover andar su in montagna con 91 ragazzini delle Medie e altri 11 educatori, più Capocampo e Capocasa.
[starò parlando aramaico, per chi non conosce il sistema, ma reggetemi il gioco]
Ciò non vuol dire che non sia andato bene. Anzi, se posso azzardare la combinazione di persone che si era creata penso fosse la più efficiente, efficace e bella degli ultimi anni. Davvero, gente spettacolare che mi ha fatto commuovere come non avrei mai pensato.
Forse le mie percezioni si stanno distorcendo? Chi lo sa. Fatto sta che, anche adesso che sto per partire per il Brasile, con 20 giorni di servizio per la GMG con il Papa e un gruppo di circa 25 giovani da tutta Italia, non mi sembra di essere davvero sulla porta di casa, nuovamente, nel giro di dieci giorni.
Spero sia di buon augurio, come lo è stato per il Campo.

Non so se ho fatto il punto della situazione. Non credo nemmeno il mio obiettivo fosse veramente trovare un punto, sempre che ci sia.
Sono più in crisi per il fatto di dover partire 10 mesi in Erasmus per la Germania che dall'imminente volo transoceanico. In crisi per quel che ho costruito finora, in crisi per quel che lascio in casa e fuori. In crisi per il dubbio che si sta insinuando in me, che mi mette davanti alla possibilità di non essere davvero in grado di vivere da sola.
La prova del nove, insomma. Mi trovo davanti a due occasioni che mi chiariranno una volta per tutte come entrerò nel mondo. E no, considerato cos'ho in testa per il post-lauream, non credo di esagerare. Per nulla.
Spero solo che tutto l'affetto raccolto nell'ultima settimana, a forza di abbracci e nostalgia, non vada perduto, accompagnandomi nei passi successivi.

Crossing fingers.
Até logo!

martedì 31 luglio 2012

La curiosa produttività del Martedì

Non so se questa cosa sia più curiosa o inquietante.
Gli ultimi cinque... ah, no, con questo sono sei. Gli ultimi sei post di questo blog sono stati scritti di martedì. A intervalli quasi regolari di un mese, eccezion fatta per i due di luglio.
Ok. Certo.

Iiiin ogni caso, vorrei capire perché il martedì mi risulti tanto produttivo. Forse perché negli ultimi anni mi sono abituata a sostenere imponenti esami proprio il secondo giorno della settimana. Forse perché gli orari peggiori e più impegnativi, all'Università come dapprima a Scuola, vengono piazzati il martedì, peggio di un accumulo da pesca di beneficenza.
Non ne ho idea. Fatto sta che è così. Il martedì scrivo, sia via blog che via word. Il martedì giro spesso e volentieri video, che poi ovviamente non ho voglia di montare in giornata. No, non ho relazionato con la mia amata videocamera, oggi. Ma la media d'utilizzo vale comunque. E poi, intendo farlo a breve.
03/30: UK Journals 11 and 12

E sì che non si tratta affatto del mio giorno preferito.
Nel corso delle superiori, andavo a lezione di pianoforte il martedì pomeriggio. Il che, considerando solo il momento in cui eravamo io e il mio insegnante, alle prese con i vari brani studiati nei passati sette giorni, era una gran bella cosa. A disturbarmi erano più una serie di corollari: il fatto di interrompere un pomeriggio stra-pieno, guidare/essere trasportata fino a Oderzo sperando di non fare ritardo come al solito, rimanere invischiata nel traffico, andare in ansia perché sapevo di non aver studiato come Dio comanda. Cose così. Che bastavano per rendermi insopportabile la giornata.
Poi, il giorno dopo era Mercoledì. Che per tre su cinque anni di liceo ha per la maggiore rappresentato sei ore di materie e/o persone sgradevoli, intervallate fortunatamente da gente più accomodante. Conseguenza diretta, o per meglio dire pregressa: valanga di compiti del martedì quasi onnipresente.

Io e il martedì non andiamo d'accordo.
Ma è il giorno prescelto per ospitare gli scritti di Giapponese. Oltre che il mio giorno solitamente più produttivo. Non oggi, si intende, a livello di studio. Le altre settimane sì. Oggi no, oggi indico uno Sciopero del Martedì.
Ah, ecco cos'altro ha il giorno dedicato al Dio della Guerra. I fottutissimi scioperi di Trenitalia che quasi mi fanno mancare gli unici appelli d'esame nel giro di mesi. Mi mancava giusto la chicca.

Perché il Martedì??

Bah. Vai a capire.
Delirio.

martedì 21 febbraio 2012

Si chiama Mondo (Racconto)


“Grazie della penna. Lei va a Venezia per studio?”
Continuo a stupirmi di come il minimo tragitto possa rivelarsi intenso.
“Dovrebbe fare un viaggio simile. Non è poi impossibile, neanche oggi.”

Ho imprecato, stamattina, in stazione a Milano. Una volta che arrivo a bruciapelo e il treno lascia il binario in anticipo, neanche in orario. Regionali. Dovrei piantarla di meravigliarmi. Non sono Shinkansen giapponesi. Nemmeno ho idea di quando potrò fare davvero il paragone, di questo passo.

“Mio fratello ci ha vissuto un anno, io sei mesi. Ho rinunciato alla scrittura dopo i primi cento kanji. Ma ero scusato. Lei cosa fa?”
Rispondo, cortese. Devo avere un’insegna al neon, sopra la testa. “Orientalista Raccoglitrice di Racconti”.
Attiro chi ha a che fare con l’Asia Orientale, il Giappone, o anche solo con sprazzi di mondo. Il mio interlocutore sgrana gli occhi, ma non perché trovi la cosa strana. Più per affinità. Mi rilasso. Sono abituata ad altre reazioni, meno piacevoli. Vai a capire perché.

“Ho approfondito varie lingue. Il francese, ad esempio. Ha mai sentito di questo libro?”
Per tutto il tragitto, il volume che ho iniziato a leggere rimane a pagina 167, tra Marblehead e Salem, Massachusetts. Quello che l’uomo regge è un libro narrato da un giovane africano, naturalizzato francese. Interessante per il linguaggio, pare. Il fascino di una lingua originale. Non conosco quell’idioma, ma posso capire.

“Sia mia moglie che i miei figli, mio fratello e altri. Un po’ tutti ci siamo mossi in vari paesi.”
Qualcosa stride. Dove sia la famiglia originaria è una cosa che non riesco a definire. Qualcosa di impalpabile, mentre la confidenza del mio sconosciuto, il mio ospite, prosegue. Passiamo Brescia, Verona, Padova. Nei suoi occhi scorrono l’Australia, l’Indonesia, il Sud-est Asiatico risalito in anni incerti. Poi la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti. Non fermiamoci sull’Europa, diamola per assunta. Conosco persone che mai ho incontrato.

“Son finito a lavorare anche a Marghera. Ho smesso da anni. Ora preferirei diventar scrittore.”
Di certo ha di che narrare, penso. Acquisterei un suo libro, se mi ricordassi il cognome. Ma credo lo riconoscerei in ogni caso. Dei racconti di viaggio. Posso dire di avere un grande sunto della sua opera, allora.
“Non intendo fermarmi, se possibile. Mai.”

Una vita in due ore. Non voglio interrompere, su di me minimizzo. Gli imprevisti del mattino sfumano in un bagaglio cosmopolita come pochi. Io sono ferma, seduta in treno. Al contempo, vengo portata all’altro capo del mondo dalle sue parole.

Non ricordo quando l’abbia detto. Di tutti i suoi racconti, ho memorizzato sprazzi. Dovrei imparare a segnarmi subito le cose che lasciano un segno.
“Basta capire che la nostra società, ormai, non è più Italia, Germania o Europa. Oggi si chiama Mondo.”
I miei viaggetti europei vengono ridotti a gite estemporanee, come pure quello a Shanghai. Ma non mi infastidisce. La mia prospettiva si allarga, per empatia e non solo. In fin dei conti, sono io quella grata. Nel pomeriggio andrò alla stanza da tè, a bere qualcosa in suo onore.

Perderei il treno altre cento volte, con un estraneo bardo accanto.

martedì 13 dicembre 2011

Per Sempre

« Tira vento, dall'oceano. Rimango distesa sulla roccia fredda, sapendo che l'alta marea non tarderà. Sensazione di umido, di gocce che passano attraverso il cotone. Ricordi. Sono ormai sei anni da allora e io non sono che sulla costiera opposta dell'Isola Verde. Non a Dublino. Non adagiata a quell'erba di fresco bagnata da una shower. Riemergono. Attimi di spensieratezza, di infinito, di un tempo che per qualche motivo sarebbe stato per sempre nostro. »
In concorso qui: http://persempre.leiweb.it/gallery/elyador 

lunedì 28 novembre 2011

Io sono qui - Brainstorming (Proto-Racconto)

Alla partenza del treno, o si sale o si resta al binario. Sono di quelle occasioni che possono capitare cento volte quanto un’unica sola. Il treno ha fischiato – è Pirandello, no?
Sicché, al fischio risvegliante della realtà e all’incedere della vita, qualcuno non comprende se si trova a bordo, ancora alla stazione ad attendere o, chissà, appeso con un gancio fuori dal finestrino.
Giù il paraocchi.


Dove sono?

Il fronte della pioggia avanza compatto, sostenuto da cumuli neri sullo sfondo. Una barriera d’acqua, che corre su un campo di soia ormai rinsecchita. C’è una voce che richiama, da lontano, perché si rientri in casa. Il vento fa malanni, di quelli come questo temporale sembra stia tenendo in serbo. Non in croato, in serbo. Viene spontaneo iniziare a divagare sulle lingue da qualsiasi appiglio riesca a trovare. Non posso farci nulla. Chiamatela scelta di vita, studio a perdita di tempo, mezzo per arricchirsi facendo girare benignamente l’economia, scuola di preparazione al precariato. Quel che vi pare. Mi è indifferente, posso oscurare l’orgoglio.

Dove mi trovo?

La stazione è praticamente vuota. Il sole riflette sui binari sgombri, non ci sono che rimasugli di nubi. Era un’illusione? Inizio a dubitare della realtà dei miei ricordi. Se foste al mio posto, come vi comportereste?
Sfoglio le pagine con l’indice, seppure conosca già quella storia. Salirei su un treno qualsiasi, se potessi. Partirei. Sarei ovunque e da nessuna parte. Tecnicamente, anche solo via treno, da qui una persona può sperare di arrivare a Vladivostok. Poi, prendendo il traghetto, passare alle isole Curili, al Giappone. O all’Alaska.
La cosa straordinaria dello stringere in mano un libro appena concluso è il riuscire ancora a viaggiare a mente aperta. Nonostante la trama si sia diramata, in qualunque tematica affondasse radici, permette un’estensione intellettuale di almeno mezzora. Il quanto, in realtà, dipende dal singolo e dalla sua propensione al perdersi in altri mondi.
Per quanto mi riguarda, se avessi tempo e voglia rimarrei isolata dalla società per ore e ore, solo per concedermi questo piacere. Ma ho la routine da tenere in mano, non posso perdermi. Fantasticare inizia ad essere un lusso.

Dove sto andando?

Pur se inizialmente rinfrescata dal fortunale, la giornata si trasforma in calda e umida nel lasso di poche fermate. Scendendo al capolinea, lo sbalzo tra dentro la vettura e l’ambiente esterno è palese. Non ci bado.
La fiumana di gente si separa tra le calli più frequentate, affollando Calatrava e ponte degli Scalzi. Senza contare le code ai vaporetti.
Tra tutte le città, Venezia. Tenuto conto che non so nuotare, un risvolto poco intelligente.
Ripongo malvolentieri il libro, sapendo che fine farà. Presagendo la meta alla quale siamo diretti, è più probabile fare marcia indietro o cambiare il gioco. Uno dei motivi  per cui rifiuto l’idea di un cosiddetto “destino”, o un percorso prestabilito. Sostanzialmente è assurdo doverci pensare. Se parliamo di scelte di vita e conseguenze, posso farcela, o almeno credo. Capisco che prefissarsi un obiettivo sia naturale e necessario, seppure il suo conseguimento sia opinabile. Fortemente opinabile.
Ma per quanto creda ci possano essere dei segni sulle cose che siamo portati a fare, per quanto possa affidarmi alla fortuna, agli altri, a Dio, non chiedetemi di confidare ciecamente nella Provvidenza. Né oggi, né mai. Che poi ci sia un aiuto superiore per scalzare determinati ostacoli o schiarire la mente,quello è un altro discorso. Quello è affidamento, self-confidence, rientrare in sé stessi, avere un lato spirituale in cui porre la propria fede. Il Fato è una balla.
Continuando a pensarla così, aggiro solo la cosa. Come faccio a definire il mio obiettivo ultimo in questo modo? E soprattutto, è mai delineabile una cosa simile?

Gli altri sono. E io?

Lei voleva esser medico: al secondo anno di specializzazione per Chirurgia è rimasta incinta, il compagno l’ha abbandonata nel panico e nella consapevolezza di voler continuare per la propria strada. Ora vive dell’autoscuola ereditata dai genitori, convivente con i suoi gemelli e l’unica donna che abbia mai scoperto di amare. In qualche modo, dice, ha trovato un suo equilibrio.
Lui si definiva poco di buono: mandato fuori a calci in culo dalla maturità dopo due anni da ripetente, fumato, trasognante una vita da perdigiorno; ha finito per approdare ad architettura e design, laureato con ottimi voti. Gli hanno affidato, alcuni mesi fa, il rinnovamento di una serie di costruzioni fuori Napoli. Ha già ricevuto lettere minatorie da qualche clan camorristico, ma pare non farci caso.
Chi sono io per definire il mio futuro a priori? I progetti, le ambizioni, le prospettive, persino la scelta di arrendersi. Qualsiasi cosa può essere spazzata via con una folata di vento. Lavoro intanto con quello che ho in mano, per  vedere se almeno, questo fantomatico futuro, lo posso costruire un po’ a modo mio.
Posso sperare, forse, di avere uno spettro di sviluppo d’ampio respiro, finché non mi troverò soffocata. E anche quello accadesse, probabilmente ritenterei per la stessa via o lungo qualche alternativa valida. Tutti sono consapevoli, a partire da un distinto momento della propria vita, di non “stare” e basta. Anche non avendo la più pallida idea di quel che la società riservi per loro, azzardano una delle tante opzioni che, siamo onesti, sono sempre disposte a ventaglio davanti agli occhi. Che poi si sia ciechi di fronte ad alcune…
Questo è un passaggio di definizione: dallo Stare puro e crudo, inconsapevole nonostante tutto, si vira bruscamente all’Esistere, l’Essere finalmente qualche cosa, anche se non sapremmo mai spiegare esattamente cosa. Non che sia un cammino semplice. Di frequente, il mondo è così avverso alle nuove Esistenze che finisce per soffocarne la voce, nel tentativo, di principio vano, di recarvi danno.
Digrigno i denti, percependo una fitta dentro la cassa toracica. Fa così da anni, ormai. Come se i polmoni urlassero per l’assenza di grida mie effettive. Come se stessero soffocando della loro stessa aria repressa.
Prima o poi, si finisce almeno una volta in gabbia, in fondo.

Io sono qui.

Lo stabilire un luogo preciso incorre in diverse limitazioni. Per definizione, non perché lo dica io. Ma già il riconoscere di essere arrivati a una tappa di un certo percorso, sia essa il capolinea o un tratto d’intercambio, come pure una fermata alla quale non siamo diretti, crea una consapevolezza indescrivibile.
Io esisto. Io sono. E non in un punto incerto e imperscrutabile dello spazio. Con tutti i miei dubbi, le mie divagazioni, i pensieri che a fiotti scorrono e si accavallano tra le mie terminazioni nervose e la mia anima.
Non avete mai provato a fare il punto della situazione? Ci si arriva. Giovani o meno, non c’è un’età. Si può raggiungere un caposaldo, per quanto innocuo, a tredici come a sessantatre anni. Senza presunzione, solo per assunto. Un momento di perfetta chiarezza che non si può esplicare a parole.
Potremmo non sapere cosa fare della nostra vita. Potremmo attenerci all’immaginazione per ricreare attimi che avremmo voluto diversi, o per reinventare il futuro. Potremmo anche delineare perfettamente il nostro percorso da quell’attimo in poi. L’unica cosa certa è quel che è stato, oltre che quel che è.
Io sono. Io esisto. Hic et nunc. E, almeno per un po’, di certo sarò.
Proseguo a piedi. Molti prenderebbero il vaporetto, nella prospettiva di dover camminare quaranta minuti abbondanti per attraversare mezza città. Nonsense.
Oltrepasso gli ultimi gradini dell’ennesimo ponte, scartando bruscamente nella direzione designata mentalmente in treno. So che è un parco frequentato in determinate ore della giornata, quello in cui mi inoltro. Inizio a sfilare il libro dalla borsa, prima di accomodarmi sul bordo di una panchina.
Fisso la copertina. Non ho idea del perché lo faccia. Ho sentito dire che più di qualcuno abbandona, per così dire, determinati libri sulle panchine, sul treno, sugli autobus. L’intento è di far girare quella storia, gratuitamente, perché passi di mano in mano, da immaginario a immaginario, macinando pagine davanti agli occhi di ciascun lettore occasionale. Ciascuno, poi, aggiunge la propria firma alla lista preesistente nella quarta e lo affida a un luogo. Io ho trovato questo nel portaoggetti del regionale che cinque giorni su sette mi ospita. La carrozza era vuota e il poveretto vagava inerte sulla grata. Aprendolo, ho scoperto di che si trattava. Il precedente lettore non ha una gran bella calligrafia – ancora sono incerta se si chiami Giorgio o Sergio. Il meccanismo, in fondo, mi piace. Pare quasi che una volta messo il mio nome su quelle pagine io possa andare ovunque e comunque, passando di mano in mano a qualsivoglia lettore decida di raccogliere la sfida come io stessa ho fatto.
Provo un moto d’affetto verso la maggior parte di ciò che sfioro o che, anche per breve tempo, ha un legame con me. Can’t help it. La connessione anche con le piccole cose fa sentire più veri, più vivi. Il passaggio per un luogo, per una sciarada di emozioni, per una compagnia: sono tutti generi di viaggio. E come tali, ogni loro parte può ottenere tutto un archivio di simboli, dal quale ripescare pensieri e ricordi, come impressioni, sensazioni e persone. Rimuginare su questo insieme di fogli scritti, con un suo percorso e una sua silenziosa meta variabile, rende il tutto ancora più interessante, poiché l’oggetto a me appartenuto in breve è al contempo di una miriade d’altre persone, di transito in chissà quanti “qui ed ora”. Ciascun suo possessore è ovunque, comunque, in una parte di Mondo.
Aspetto che passi una coppia di studenti, poi appoggio il volume, neanche tanto spesso, sul ferro verde. Riprendo la mia strada. Salgo a bordo.
Io sono qui.

Ma questo è il posto che mi piace, si chiama Mondo.(cfr.)