lunedì 28 novembre 2011

Le Voci di Shanghai (Racconto)

Mi stringo al sedile dell’aereo. Non è la prima volta che mi trovo a sorvolare territori e città da un punto invidiabile. Di certo, tuttavia, questa è la destinazione più lontana che abbia mai dovuto raggiungere, logisticamente e spiritualmente parlando. No, non ho sbagliato a usare i termini. Mi ero preparata, prima o poi, ad andarmene in Asia Orientale – non studio Giapponese per nulla, vero? Quel che mi ha lasciato perplessa è l’aver raggiunto prima la Cina. Strana la vita.

Sono dovuta arrivare quasi dall’altra parte del mondo per rendermi conto di così tante cose, che non saprei da dove iniziare. È stata una lavata a freddo, essere catapultata in una nuova realtà. La Cina è e rimane il fulcro potenziale dell’Asia, contrapposta a quell’essere Occidente che può essere un’Unione Europea o un’America. È facile pensare di passare ad una vita ormai globalizzata. Se si capitasse in Giappone, si potrebbe avere una sorta di via di mezzo tra Oriente e Occidente – la storia ne parla per noi. Ma arrivare a Shanghai e trovarsi in una metropoli dalle mille concezioni è un bel dire.

Percorro le strade alienata, insieme al gruppo di giovani con cui mi son ritrovata a condividere una magnifica esperienza. Vedo quartieri d’alto rango, vedo enormi Skyscrapers, posso toccare con mano ciò che negli ultimi anni ha lasciato senza parole l’economia mondiale, questa sete e fame di un posto nel mondo molto più avanzato rispetto a quanto si potrebbe immaginare. Dietro l’angolo, una voce mi sussurra che sui canali i bassi ranghi esistono.

Sì. È il progresso. Una corsa sfrenata per raggiungere ciò che di meglio si sia mai potuto anche lontanamente immaginare. Palazzi di vetro, acciaio e plexiglass svettano nello smog serale, le mille luci che allibiscono ogni qual volta ci si ritrova ad esserne circondati. Vita, vita affrettata, taxi che sfrecciano in folle, mentre stormi di bici arrivano a tagliare la strada, semaforo o no. Non una stella – non una, e se credete di intravederne è un satellite – che puntelli le nubi industriali ad alta quota. Frenesia.
…Da dove arriva la voce?

Le luci di Shanghai stregano, ammaliano. Il Bund risuona dello sfarzo dovuto a chi vi trascorre una, due, cento sere. Tutto questo è l’avanzamento, le infrastrutture che sorgono ad occupare quelle minime frazioni di spazio vitale, a supplire qualcosa che ancora non c’è con la costruzione di una garanzia promettente, invitante, che non può far altro che parlare da sé. La Garanzia…L’urlo dipanato dalle pareti in vetro, unito allo stesso lanciato da quella zona di “Città Vecchia” dedicata in esclusiva ai Turisti è forte e chiaro: vogliamo avere le carte in regola, più considerazione. Abbiamo bisogno di arrivare in alto per poter partire. Aneliamo quel vostro voto a dire, finalmente e in piena fede, “La Cina può farcela”, “è una Nazione del terzo millennio!”, “ha superato chiunque”. Chiunque, sé stessa e la sua gente in primo luogo. Grande sentimento nazionale, radici espiantate dalla rivoluzione culturale – ma sempre presenti, immancabilmente, o almeno così pare. Ci vuol niente a giocarci sopra per un’immagine posticcia rispettabile. Là in fondo, un’Expo da mille e un quartiere – Dio solo sa che cosa ne sarà dopo tutto lo sfarzo sfoggiato con orgoglio dalle nazioni per la popolazione; in centro, l’enorme manifesto della Cina, rosso e rigonfio delle potenzialità, dei sogni e dei ricordi di una popolazione. Da qualsiasi parte ci si giri, in mezzo al tripudio di Paesi ospiti, si respira un’Esposizione universale da record, molto differente dalle altre. Tutta per loro, tutta dei cinesi.

Ogni nucleo familiare ha un proprio biglietto d’ingresso alla Città nella Città – quella meraviglia che trascina ingenti porzioni di mondo in un unico luogo – ricevuto grazie alle direttive di stato. Tutti i cinesi possono accorrere ad assediare i Padiglioni, nella frenesia Culturale che li attornia. Può anche darsi che tu viva del tuo carretto, di ciò che vi friggi sopra, al margine del marciapiede – un passo dalle fogne, il legno tarlato del ripiano come tuo giaciglio. Avrai il tuo biglietto. È la tua assicurazione, pungente tanto quanto l’odore che si propaga dalla griglia bisunta, il lasciapassare per il futuro e il palcoscenico globale. Continua a far andare baracca e burattini, questo è il debutto che tutti aspettavano. Se il tuo presente non è roseo, lavora per tuo figlio, quell’unica creatura che nello studio può forse risollevarti, in vecchiaia, grazie proprio alla tua scommessa fatta in partenza. Voci, tante voci…

In mezzo ai palazzi imponenti, fuori dai padiglioni, ho modo di appropriarmi di quel che cercavo. Anche se, a dirla tutta, finché non l’ho avuto di fronte agli occhi non avrei mai detto che potesse essere questo il mio obiettivo. Tutto funziona, la dissidenza non si vede neanche col lanternino, e le condizioni sembrano nazionalmente accettate. Perché, se ci si sofferma così tanto su quel che è il presente, come si potrà mai raggiungere il futuro? Un passato in recupero può anche andare, una riscoperta d’identità millenaria, seppure in chiave nettamente diversa rispetto alla cosiddetta tradizione. La mattina noto, con la coda dell’occhio, un gruppo che si muove sinuosamente, in uno spiazzo seminascosto, andando verso la periferia. Cala il sipario, cambio scena. Nuove voci, ben poco recenti.

La vera Città Vecchia di Shanghai, non quella per gli stranieri, giammai tirata a lucido, aspetta dietro l’angolo. Muri, residui, templi sopravvissuti, casupole, frammenti d’umanità. Un sussurro tenace che si appiglia a ciò che è rimasto del tempo che fu, guardando i grattacieli lontani e offuscati, sognante, mentre cerca di tener in piedi quel che ha. Una voce d’orgoglio che la fa in barba ai pregiudizi di chi non sa cosa significhi la vita nei suoi meandri. Ogni oggetto, ogni possessione è trattabile con un po’ d’astuzia – la logica di mercato è intrinseca a chi non pensa lontanamente di averla anche toccata. La vita stessa, nel desiderio di arrivare a quell’inesistente classe media, può essere il gioco che vale la candela. Una pedina da sfruttare con arguzia.

Cammino sul marciapiede, senza ancora aver compreso a fondo tutto quel che è passato attraverso di me, come chi che m’è transitato al fianco, lungo la via. Sento suoni ancora estranei per il mio senso della lingua, ma la cui intensità pare trasmettermi messaggi ed emozioni note. Lontane, certo, eppure vagamente familiari, nella loro supposta stravaganza. Pochi giorni, non sufficienti per un’unione completa – ma con un segno decisamente indelebile.

Zhōngguó. Un gigante, da un miliardo e trecento milioni di voci, dalla pietra della muraglia alle venature del sud.
Diciotto milioni di grida che avanzano solo dalla Regina d’Oriente.


(Racconto 1° Classificato alla prima edizione de "L'emozione del Viaggio", premio Sparkasse - 2010)

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